Treni differenti hanno corso per le recenti elezioni europee. Alcuni sono deragliati, mentre altri sono arrivati a destinazione. È inutile girarci in tondo: per ora hanno vinto i peggiori. Anche se risultava davvero difficile individuare i migliori.
Analizzare brevemente il significato e i motivi di tutto ciò può, però, contribuire a non sbagliare ancora in futuro e a intravedere le possibilità di superamento del sistema attualmente, ed apparentemente, vincente.
Gli elementi che hanno infatti portato, a livello nazionale, Renzi e il suo partito alla vittoria sono estremamente diversi da quelli che, ad esempio, hanno caratterizzato la vittoria delle destre xenofobe e nazionaliste soprattutto in Francia e Gran Bretagna.
Paradossalmente, infatti, su un solo punto ha avuto ragione Grillo fin dall’inizio della sua carriera “politica”: il Movimento 5 Stelle è riuscito a contenere i possibili estremismi. Sia di destra che di sinistra. Ma su questo torneremo più avanti.
TRENITALIA
Con Renzi non ha vinto la sinistra e nemmeno la democrazia, ma semplicemente il partito della classe imprenditoriale medio-alta italiana, che dell’Europa e della Germania si fa scudo per proseguire nella sua opera di finanziarizzazione dell’economia. Applicando in casa, a spese dei lavoratori, le politiche “industriali” che la borghesia tedesca ha imposto ai lavoratori degli stati dell’Europa dell’Est limitrofi.
Per raggiungere l’obiettivo della vittoria elettorale il PD renziano ha messo in atto una strategia diversificata che è andata dalla mera elemosina elettorale (i famosi 80 euro in busta paga) al terrorismo mediatico nei confronti di una classe (ex-) media formata soprattutto da impiegati dello Stato (amministrativi, insegnanti, etc.), pensionati, lavoratori che si sentono ancora garantiti, piccoli e medi risparmiatori ed artigiani che hanno intravisto nella instabilità istituzionale un vero e proprio pericolo per la propria sopravvivenza. Insomma l’attuale maggioranza silenziosa.
A questi primi due punti devono essere sommati la garanzia per le imprese e cooperative coinvolte della prosecuzione delle grandi opere (Expo, TAV) nonostante gli scandali e il conteggio nell’ambito del PIL (e questo avverrà anche a livello europeo) dei proventi derivanti dalle attività illegali (droga, prostituzione, contrabbando), comunicato a due giorni dalle elezioni. Destinato a lasciare sempre più impunite le mafie finanziarie che se ne occupano, dal produttore al consumatore.
Infine, occorre tener conto dell’appoggio garantitogli dai messaggi provenienti dal mondo della Chiesa e dal Papa stesso a favore della stabilità pro-europea e i continui richiami al pericolo del rialzo dello spread. Messi fattivamente in atto negli ultimi giorni della campagna elettorale e rientrati già fin dal giorno successivo al trionfo elettorale PD/uista.
Il fatto che Silvio Berlusconi sia evidentemente bollito e le susseguenti magagne interne al centro-destra non hanno, poi, avuto altre conseguenze se non un travaso di voti da FI e Ncd al PD stesso.
Che, però, anche questo va ricordato, ha preso il 41% del 57% di coloro che avevano diritto al voto, avendo raggiunto l’astensionismo il 43% ( molto più alto quindi che alle Politiche del 2013, ma anche decisamente più elevato che alle ultime Europee).
Apparentemente Renzi avrebbe preso il 15% in più di Bersani nel 2013, ma a conti fatti sugli elettori reali la differenza è di pochi punti in più. E già si trova a fare i conti con la debolezza dei suoi alleati di governo: Ncd e SC.
I giovani tra i 18 e i trent’anni, i precari, i disoccupati e gli indigenti che non hanno nemmeno potuto usufruire dell’elemosina non hanno votato oppure hanno costituito una parte importante del voto pentastellato. Ma i grillini hanno visto ridurre i loro numeri ovunque, particolarmente in Sicilia e nel Nord Est. Quindi il Movimento 5 Stelle ha perso elettorato proprio là dove era sembrato più forte tra il novembre del 2012 e il febbraio del 2013.
Da un lato (Sicilia) ha pesato l’astensionismo della delusione (fallimento dell’alleanza regionale con Crocetta), dall’altro (Veneto) il fatto che molti voti siano tornati alla Lega, mentre altri abbiano optato per una più serena “convivenza europea” facendo sì che il PD salisse al 43% e il M5S scendesse al 19%. Senza contare, poi, che il PD ha mantenuto e rafforzato le sue posizioni nelle regioni del Centro tradizionalmente legate a quel partito e al suo sistema di governo locale.
La lista Tsipras, in Italia, con il 4% non ha nemmeno raggiunto i voti ottenuti lo scorso anno da Sel e Rivoluzione Civile (3,2% + 2,2%). Dimostrando così che l’ennesima lista di pupi dello spettacolo, della cultura e della politica vetero-sinistrese, sempre pronta al compromesso e alle vuote affermazioni retoriche, non poteva esercitare alcun fascino sull’elettorato giovanile e/o proletario. Anche se, come era prevedibile, permette già a Renzi di parlare di una possibile alleanza di centro-sinistra con Sel per le future elezioni politiche.
Senza contare, poi, che l’Italia non è la Grecia. Il forzato e retorico riferimento a quella nazione e alla sua povertà è soltanto servito, per chi lo gestiva (da Sel allo stesso Grillo), a limitare il discorso sul programma politico che, tra due nazioni di dimensioni economiche e demografiche così diverse, avrebbe dovuto essere ben più complesso e differenziato. Sicuramente molto più audace e autoritario quello italiano, soprattutto nei confronti delle banche e del debito pubblico accumulato con i titoli di stato detenuti dalle banche italiane e dalla finanza italiana e straniera.
Grillo ha perso un bel po’ di voti a destra , un po’ per l’astensione, ma, paradossalmente, ha mantenuto i voti del suo elettorato di “sinistra”. Risultato che se, da un lato, ha dimostrato la funzione di contenimento esercitata dal suo movimento, dall’altro ha dimostrato che il giochino dei programmi confusi e delle consultazioni via web non paga nella battaglia politica reale. E non ripaga, soprattutto, chi si è affidato al M5S concedendogli una cambiale in bianco che difficilmente avrebbe potuto essere onorata.
La sconfitta di Grillo, dovuta anche alla voluta assenza di organizzazione e radicamento territoriale del suo movimento, fa venire in mente una celebre domanda posta da Stalin al primo ministro francese Pierre Laval, in visita a Mosca nel maggio del 1935, allorché questi gli chiese di intervenire a favore dei cattolici russi, sostenendo che un tale provvedimento avrebbe accreditato al politico francese molto merito presso il papa (allora Pio XI)): “Il papa? Quante divisioni ha?“
TRANS-EUROPE EXPRESS
Ma se si esce dalla solita Italietta delle farse, ci si accorge che a livello europeo la situazione si è fatta ben più drammatica.
La lue dei nazionalismi, che in Italia si manifesta ancora soprattutto attraverso un macchiettistico particolarismo locale, riportandoci ancora ai tempi e ai ragionamenti di Guicciardini, si è manifestata con virulenza nelle elezioni europee appena avvenute.
Manifestandosi in una maniera che più classica non potrebbe essere: con quel fervore anti-tedesco che da sempre ha animato l’odio britannico e francese nei confronti della nazione posta al centro dell’Europa continentale e della sua economia.
Sguardi superficiali, abituati a ragionare di Storia in termini di anni, mesi, giorni e minuti e non in termini di secoli o, almeno, di decenni, come si dovrebbe, hanno liquidato tutto sotto la comoda sigla dell’ “anti-europeismo”, ma la verità è che la crisi economica mondiale sta portando nazioni ed economie sempre più in prossimità di un confronto destinato ancora una volta a sfatare il mito della Pace europea. Tanto utilizzata nelle pubblicità a favore della partecipazione alle elezioni europee.
Come se non bastasse il manifestarsi del plurisecolare conflitto lungo l’asse renano, la desolazione e la differenziazione economica tra stati introdotta nell’Est europeo dallo sviluppo delle contraddizioni politiche successive al crollo dell’URSS ha portato ad una affermazione sempre più virulenta di organizzazioni politiche di estrema destra, di chiara matrice anti-semita e nazista.
Da Alba Dorata in Grecia ai movimenti corrispondenti che sembrano ormai dilagare nel Nord Europa e nei distretti un tempo soggiogati al Patto di Varsavia.
Movimenti che, non si possono avere dubbi, troveranno motivi di rafforzamento nel trovarsi uniti a Bruxelles nell’opporsi alle politiche messe in atto dal sicuramente prossimo governo di larghe intese su scala europea cui saranno costretti, dalle rispettive difficoltà, i Popolari Europei e rappresentanti del blocco socialdemocratico. Insomma un governo di destra destinato a spalancare le porte alla destra estrema.
Partiti che avranno sempre più buon gioco ad affermarsi organizzativamente, ma, anche, militarmente nella vera e propria balcanizzazione del continente che trova nelle faide ucraine soltanto la prima manifestazione di un iceberg manovrato dalla diplomazia e dalla finanza americana. Che, in quelle che lo storico Timothy Snyder ha definito “Terre di sangue”, giocano sulle memorie e gli odi accumulati in un secolo di genocidi, violenze e conflitti etnici e di classe irrisolti che ancora covano sotto le ceneri. Dopo aver scaricato per decenni, sugli stessi territori, rivoluzioni arancioni e concerti dei Toto come simboli di libertà.
Senza contare, in fine, che anche le guerre civili, legate agli interessi arabo-sauditi, israeliani e statunitensi che infiammano ormai tuta la costa meridionale ed orientale del Mediterraneo, dalla Libia alla Siria, sono destinate, senza alcun dubbio, a soffiare sul fuoco della paura dell’invasione dei migranti.
Alimentando, come hanno già fatto, tutti quei movimenti, come quello della Le Pen o la Lega, che proprio da questi timori traggono linfa per i loro messaggi xenofobi e razzisti.
E’ un quadro sociale, politico, economico e militare terribile. E deve spaventare l’inettitudine con cui i governanti italiani degli ultimi decenni e, ancor più, di oggi stanno precipitando la nazione nel baratro, con il sorriso ebete di Renzi e dei suoi cortigiani stampato sulla faccia.
L’italietta da sempre moderatamente conservatrice, fascista quasi per caso, bigotta nel cuore e autoritaria nello spirito è destinata a ripetere gli stessi errori che già ne hanno caratterizzato la storia passata. Con l’unica differenza che al momento attuale tutto il peggior marciume e la corruzione morale e politica che ne consegue è pronto a sfilare con i vestiti di Palazzo Pitti più che con quelli di Palazzo Venezia.
Anche se la camicia non è più nera, ma bianca e gli alamari sono stati sostituiti dal giubbottino di pelle del bulletto de noantri, il carattere dell’uomo al governo non è cambiato. Né, tanto meno, la sua proposta politica.
Con buona pace di chi, avendo votato per il carrozzone del PD pensa ancora di aver votato qualcosa di sinistra soltanto perché quest’ultimo ha lasciato alla Lega il compito di esprimere l’odio xenofobo più estremo.
NO TAV
Avevamo sperato, pochi giorni fa e su queste pagine, che le conseguenze delle elezioni di maggio potessero almeno far in qualche modo traballare il governo di Re Giorgio, delle banche e di Pierino. Non è stato così. Ma, sostanzialmente, per chi si vuole opporre all’imbarbarimento in atto e all’appropriazione massiccia e privata della ricchezza socialmente prodotta, non è cambiato nulla.
Sia nel caso di un differente risultato elettorale che in quello che si è effettivamente verificato le funzioni e i compiti dell’antagonismo non sarebbero e non sono cambiate.
Un treno per ora sembra essere deragliato, l’altro no.
Ma anche in questo contesto qualcosa è cambiato.
Il forte astensionismo a livello europeo e la perdita di seggi da parte delle due formazioni politiche principali (PPE e PSE) obbligano infatti, come si è già detto, queste due a cercare un alleanza che potrà avvenire soltanto sulla base di una promessa di spesa keynesiana per la crescita.
Che lascerà comunque la porta aperta anche a soluzioni di carattere più autoritario essendo ormai stata sdoganato l’estrema destra europea in tutto il continente. Anche in Germania, dove la decisione di abolire ogni tipo di quorum ha permesso al locale partito nazista di entrare al parlamento europeo pur avendo raggiunto soltanto l’1% dei voti.
Per non cadere ancora nelle trappole di alternative politiche ed economiche che non esistono, occorre ricostruire una reale forza di opposizione, con contenuti di classe derivanti dalle lotte e dalle necessità immediate e storiche. Senza continuare a delegare forze sostanzialmente estranee alla tradizione classista, oppure travestite in tal senso, a fare ciò che dovrebbe essere esclusivamente compito di classi e movimenti autonomamente organizzati.
Per questo occorre darsi un programma. Comune e condiviso.
Occorre ricostruire una coscienza internazionalista che, a partire dalle lotte locali e nazionali, sappia tradurle in esperienze universalmente condivise. Occorre tornare, idealmente, agli albori del secolo breve perché il nostro sole dell’avvenire deve ancora sorgere. Occorre, forse, tornare allo spirito organizzativo, sindacale e politico anarco-comunista e socialista che animò il movimento operaio delle origini. Occorre lottare contro l’orrore che ci circonda e abbandonare l’illusione che la sola lotta parlamentare, ridotta a puro elettoralismo, possa portarci fuori dal baratro.
Perché il tempo dei compromessi e delle deleghe è davvero finito.
* per Steve Reich, anche.