di Giuseppe Genna
Arnold, avete presente quello con le guanciotte? Era il protagonista della fiction Il mio amico Arnold. Era un bambino di colore paffuto, simpatico, una peste. Arnold aveva un fratello, Willis (a cui lui diceva sempre “Che cosa stai dicendo, Willis?”), e insieme a lui era stato adottato dal signor Drummond, un bianco rimasto vedovo, che aveva una figlia bianca, Kimberly. Vivevano in un attico davanti alle Torri Gemelle. Arnold e Willis erano un problema per Kimberly, una razzista al cui confronto George Bush è Nelson Mandela. Il signor Drummond non aveva polso. Kimberly vessava i due fratellastri di colore come Rumsfeld vessa tutti gli afghani. Il telefilm intendeva dire che non bisogna mai essere razzisti, una cosa che chiunque ha già detto in tv e per questo siamo qui a metterlo in guardia.
Arnold era un bambino simpatico, si suppone che sia diventato un adulto simpatico. Ecco, non proprio. Non nel senso che ha perso la simpatia. Nel senso che non è mai diventato adulto. E’ rimasto per sempre così come lo si è visto. Si chiama Gary Coleman. Quando ha iniziato a girare Arnold, era già affetto da questa malattia, che si chiama lupus nephritis, un disguido del sistema immunitario, una forma di nanismo che ti mantiene sempre con l’aspetto di un decenne.
Se lo vedete adesso, Arnold è uguale ad allora, anche se ha la mia età, trentasei anni. Ora, nella statistica della sfiga di Arnold, questo dato non è significativo. Nel senso che non si può attribuire questa sfiga del nanismo al fatto che Gary Coleman abbia girato una fiction tv: lui, questa sfiga, ce l’aveva già prima. Ha subìto diverse operazioni prima dei cinque anni, due trapianti non riusciti e a tutt’oggi è in dialisi. Però quello che gli è successo dopo, questo sì rientra nella sfiga causata dal telefilm.
Tenete presente che, all’apice del successo di Arnold, Arnold guadagnava settantamila dollari alla settimana. L’America impazziva per lui. Appena finisce Arnold, però, Gary Coleman crolla. Iniziano a farlo crollare i suoi genitori: sperperano in un anno tutti i guadagni del figlio nano, cioè quattro milioni di dollari. Come avranno fatto? Cosa avranno comperato? Comunque, Gary si ritrova malato e povero. Si indebita e va in rosso di settantaduemila dollari. Uno dice: sarà per le cure. No: ha contratto una dipendenza da modellini di treni.
Ne compra a centinaia. Tutta la sua casa è invasa da binari che si intersecano, scambi ferroviari in miniatura. Lui addirittura sale su un trenino della sua taglia e gira per le stanze. Si dà all’erba: fuma come un disperato. Assicura che è per lenire i problemi di salute. A un certo punto, abbandonato dai genitori a cui ha fatto causa, Arnold deve trovarsi un lavoro, altrimenti è il fallimento. Diventa guardia giurata. E’ la sua rovina.
Mentre sta facendo sorveglianza in un grande magazzino, un’enorme cicciona lo nota, lo riconosce, gli chiede un autografo, Gary Coleman firma un foglio, lei pretende una dedica, Gary Coleman dice che basta così, lei lo mette all’angolo, lui la insulta. Meglio: gliene dice di tutti i colori. La cicciona lo pressa, nel senso che lo schiaccia contro una parete, è enorme, Arnold soffoca, allora le tira un pugno in un occhio. Gary Coleman, denunciato per oltraggio e violenza, va a processo. Lo condannano, deve pagare circa duemila dollari e frequentare un corso di elaborazione della rabbia per persone violente. E’ alto uno e quaranta e frequenta questo corso insieme ad aspiranti assassini e dropout che hanno preso a pugni moglie e figli.
Nel 1999 rilascia un’intervista alla rivista Us, sostenendo di essere ancora vergine a trentuno anni.
Passa a fare il venditore di auto. Alla disperata ricerca di un successo perduto, fa quello che fanno tutti gli attori sfigati: si candida per una carica politica, quella di governatore della California. Deve affrontare Schwarzenegger che, non avendo mai partecipato a una fiction televisiva, non soffre della sindrome da sfiga dei telefilm. E’ il 7 ottobre 2003, quando la CNN annuncia che Schwarzy ha vinto con quattro milioni e mezzo di voti. Ad Arnold ne sono andati quattordicimila.
Il telefilm Arnold è il Vajont della tv occidentale, la Waterloo del divismo americano, il D-Day del nazismo telegenico. Arnold è l’opera d’arte della sfiga, un Picasso della malasorte, un Van Gogh della sfortuna.
Prendete la sorellastra bianca di Arnold, Kimberly, la figlia del signor Drummond. La interpretava l’attrice Dana Plato. Era carina, sempre col fiocchetto e la gonna scozzese. Molto pulita, bianca, disciplinata. La perfetta ragazza della porta accanto. Solo verso la fine della serie tv era un poco ingrassata, ma niente di che. Ma non era ingrassata: era incinta. Si era sposata di nascosto con il rocker Lenny Lambert e di lì a poco era rimasta gravida. Quelli di Arnold l’hanno licenziata subito. Di lì, una tragedia senza fine.
Appena le nasce il figliolino, lei torna a bussare alle porte di Arnold. Il produttore si convince e la riassume: il ritorno di Kimberly farà fare un salto di audience. Col cavolo: la serie viene chiusa di lì a poco. Passa un anno e l’amatissima mamma di Dana Plato muore di leucemia. Una settimana dopo la morte della mamma, il marito di Kimberly la molla e sparisce.
Siccome è sola e povera e ha il figlio a carico, Dana Plato accetta di esibirsi nuda su Playboy. La mossa non si rivela azzeccata: la sua carriera langue, nessuno la chiama più e lei viene arrestata nel corso di una rapina a mano armata in un videostore. Viene condannata a cinque anni di prigione, glieli abbonano, il suo caso commuove il pazzesco cantante crooner di Las Vegas Wayne Newton, che le regala tredicimila dollari (si tratta di un tizio che soffre di una forte dipendenza da operazioni di chirurgia plastica e che spunta davanti agli occhi degli italiani nel film con Clooney e Pitt, Ocean’s Eleven).
La rovina di Dana Plato, però, non si ferma davanti a nulla; anzi, accelera. Viene arrestata per contraffazione di una ricetta medica che prescrive Valium – uno psicoformaco tipo Tavor che si usa però anche come droga – oltre che per violazione di libertà condizionale, e si fa trenta giorni di galera. Esce di prigione e frequenta una comunità per tossicodipendenti. C’è un altro tipo di tossicodipenza da cui non riesce a liberarsi: la tv. Recita in B-movie televisivi come Bikini Beach Race. Appare in un videogioco. Partecipa a film a luci rosse. Diventa lesbica: fa outing sulla rivista di orgoglio saffico Girlfriends. Partecipa a una parodia softcore di Arnold. Si fa fotografare mostrando i buchi da eroina all’avambraccio.
Si suicida con un’overdose in una roulotte l’8 maggio 1999. Suo figlio e il suo ultimo convivente si sono disputati la proprietà della roulotte in tribunale.
Questa è la sorte che tocca a chi gira una fiction tv! Si parla di Arnold per fare un esempio estremo. Anzi, di più che estremo, perché non rientra tra i normali estremi il fatto che persino Willis, il fratello maggiore di Arnold, abbia vissuto un martirio allucinante anche lui.
L’attore che faceva la parte di Willis si chiama Todd Bridges. A sei anni, del tutto ignaro dell’esistenza della sindrome di Bershowitz, vede alla tv la fiction Sanford & Son (quella con Lamont, il figlio del robivecchi Sanford) e decide di fare l’attore. Non immagina cosa lo aspetta, cioè esattamente quello che attende l’attore che interpreta Sanford, Red Foxx, morto di multinfarto tra atroci dolori, solo e disperato.
Todd Bridges fa Willis e di colpo diventa miliardario. Tocca l’apice con la partecipazione straordinaria a una puntata di Love Boat, per cui lo strapagano. Prima che Arnold finisca, Todd Bridges, che ha iniziato a farsi le canne da un paio di anni, denuncia la polizia di Los Angeles per molestie. Da questo momento inizia ad avere problemi di ordine automobilistico: viene accusato di estorsione a un venditore d’auto; viene arrestato per guida senza patente; viene sorpreso mentre cerca di rubare una macchina; viene denunciato per non avere pagato il conto di una compravendita di un’automobile. Lo accusano di rapina a mano armata, ma se la cava. Abusa di una convivente. Viene arrestato per possesso di droga. Torna ad avere problemi con le auto: usa la macchina prestatagli di un amico per sfondare un videostore dopo un alterco. Poi fa retromarcia. Poi ingrana la prima e rientra nel videostore. Quindi subisce l’illuminazione: diventa il conduttore di una trasmissione televisiva evangelico-cristiana, sulla rete TBN, Trinity Broadcast Network.
La fiction tv uccide. Non pensate neanche lontanamente che quello di Arnold sia un caso isolato. La casistica è sterminata, migliaia di tragedie personali da partecipazione a fiction televisive!
Baretta, ve lo ricordate? Il pulotto italoamericano con la coppola e la maglietta e i bicipiti, tarchiato e brutto. Interpretato da Robert Blake. Attualmente Robert Blake è appena stato liberato dopo dura detenzione, sospettato di avere ucciso la moglie.
Il capitano Kirk sarebbe scontato, quindi possiamo ricorrere a TJ Hooker, il poliziotto americano. Era William Shatner, l’attore. E’ stato sospettato pure lui di uxoricidio, perché una notte è rientrato a casa e ha trovato la moglie annegata nella piscina della loro villa.
La famiglia Bradford, quella di quei due conigli che avevano fatto settantacinque figli, ve la ricordate? La prima stagione venne tutta dedicata a raccontare solo dieci minuti di vita famigliare dei Bradford, da tanti erano. L’unico che ci si ricorda sempre è il piccolino, Nicholas, quello col caschetto. Lo interpretava Adam Rich. Galera: per cocaina, rapina a una farmacia, guida irregolare. Non recita da vent’anni. Non gli danno più una parte.
Il padre della Casa nella prateria, il signor Ingalls: si chiamava Michael Landon, finisce la serie, gli viene un cancro al fegato e al pancreas, impiega sette anni a morire.
Mr T, il palestrato di A-Team. Quello ha avuto delle sfighe pazzesche anche prima di fare tv: Nancy Reagan si è fatta fotografare seduta sulle sue cosce, Michael Jackson era guardato a vista da lui. Però, alla fine di A-Team, per il signor-T è stato un disastro: gli è venuto un tumore che si chiama — guardacaso — linfoma-T. Era mezzo impazzito: lamentando allergie immaginarie, aveva abbattuto centinaia di alberi secolari che crescevano nei 17 acri della sua proprietà.
Graham Chapman dei Monty Python: fa tv, finisce alcolizzato, soffre per anni di delirium tremens, gli viene un tumore, muore a 58 anni.
C’è il caso di Tatù, il nano di Fantasilandia. Una variante della sindrome da sfiga tv che si avvicina moltissimo al caso di Arnold. Nel senso che Tatù, che in realtà si chiamava Herve Villechaize, il che già di per sé è un nome che non suona bene, è un nano anche prima di girare Fantasilandia. Stiamo parlando del telefilm in cui il nano Tatù guida un veicolino da portamazze di golf, vestito con un completo bianco, insieme a Ricardo Montalbàn. Questi due vivono tutto il tempo in un atollone delle Hawaii dove realizzano i sogni dei clienti. Vuoi diventare il Barone Rosso e pilotare un Caproni del 1923? Vuoi fidanzarti con Bo Derek e mandarla a raccogliere le patate? Vuoi fare uno scherzo a Don Lurio (ai tempi di Fantasilandia, era vivo, poi è morto)? Basta che sganci milioni a Tatù e lui ti fa vivere una situazione fiction che è precisa precisa il tuo sogno. Beh, finisce Fantasilandia e il nano Tatù si suicida nella sua villa di Hollywood.
Leroy Johnson, il ballerino di Saranno famosi!, giubilato nella seconda serie perché ormai i neri erano integrati e bisognava integrare i portoricani, quindi i produttori puntarono su un ballerino portoricano: è morto di Aids a 41 anni.
Se mi fermo qui, è per pietà. Potrei andare avanti. Citare tragedie nelle tragedie, come la Sottiletta di Happy Days che nella vita si fidanza con il cuginetto di Fonzie per davvero. Potrei evocare la triste sorte di Ralph Supermaxieroe, col capo di Ralph che nella vita ha subìto cinque divorzi e altrettante richieste di alimenti miliardari, che lo hanno prostrato dal punto di vista economico. Potrei ricordare che Jack Nance, quello che in Twin Peaks interpreta il boss della segheria, quello coi baffi: è stato assassinato nel corso di una banale rapina a una pasticceria, a 53 anni. O che il nano della stanza rossa, sempre in Twin Peaks, fa l’informatico per la Nasa perché a Twin Peaks è riuscito a imparare a parlare alla rovescia e questo serve alla Nasa. Potrei evidenziare che Gopher, lo spiritosone di Love Boat, ha avuto un figlio disabile e gli è venuto un infarto.
Guardate cos’è successo a Giusva Fioravanti dopo avere fatto in tv La famiglia Benvenuti.
Datemi retta, ha ragione Ratzinger: astenetevi.