Conosco pochissimo la società e la cultura giapponese e, forse per questo, non le ho mai troppo amate.
Riaffiorano lontane nella mia mente alcune scene del documentario di Wenders Tokio Ga, girato nel 1985 durante una pausa della lavorazione del bellissimo Paris, Texas oppure un articolo di un quotidiano della fine degli anni settanta che raccontava come molti lavoratori giapponesi che svolgevano la loro attività lontani dalla propria residenza preferissero dormire, durante la settimana lavorativa, in dei cubicoli messi loro a disposizione dall’azienda stessa. L’idea mi fece rabbrividire.
Chi si apprestasse ad acquistare questo libro pensando di trovarvi una situazione attuale dello sviluppo politico-sociale di una nazione in cui convivono tradizione e modernità da decenni, farebbe bene ad astenersi.
Chi pensasse, lasciandosi sedurre dalla seconda e terza di copertina, peraltro in genere sempre smaccatamente di parte e bugiarde sui contenuti e il valore oggettivo della pubblicazione in questione, di trovarvi atmosfere (cyber)punk o almeno lontanamente ballardiane (il perché si vedrà in seguito) meglio che lasci perdere. Lo affermo perché io stesso, molto ingenuamente, sono caduto nella trappola.
Infatti, incuriosito dalla giovane età dell’autrice, dalla sua provenienza geografica, dal fatto che questo romanzo avesse vinto il prestigioso premio Akutagawa, ho comprato e letto Serpenti e piercing pensando di trovarmi di fronte a un testo di qualità. La seconda di copertina poi, ha sciolto anche le mie perplessità residue perché afferma, condensando apparentemente la trama, che il desiderio della protagonista, Luì, di farsi uno split tongue (sì, farsi la lingua biforcuta partendo da un piercing) come Ama, un giovanissimo ragazzo conosciuto da poco, non è altro che “l’inizio di un viaggio nel mondo sotterraneo della body modification, una pratica che l’attira ossessivamente e che le permette di esprimere il suo disagio nei confronti del mondo e di se stessa.” E, continuo a citare testualmente “sesso e morte, dolore e piacere, carne e metallo (ecco l’accenno precedente a Ballard) si fondono in questo viaggio a spirale nella metà oscura del Sol Levante che è diventato il manifesto della nuova generazione underground giapponese.”
Tutti argomenti decisamente affascinanti, almeno per il sottoscritto.
Ebbene, io non so se effettivamente il romanzo della Kanehara sia diventato il manifesto della nuova generazione undergroung giapponese, ma credo che questo libro contenga molto poco di quello che ci si poteva attendere.
I protagonisti sono tre. Luì, che rimane affascinata dalla lingua biforcuta di Ama tanto da volerne seguire l’esempio. Ama, lingua biforcuta, pieno di piercing e un bellissimo dragone tatuato sulla schiena. Shiba, tatuatore professionista, con manie masochiste e pulsioni omicide che applica il piercing sulla lingua di Luì.
Ama è perdutamente innamorato di Luì, per la quale uccide un uomo, Luì vuole bene ad Ama ma fa sesso con Shiba, attratta dalle sue manie.
Tutto il resto, a partire dai piercing per passare ai sensi di colpa finali di Luì, dalle scene di sesso più o meno spinte alla descrizione dei tatuaggi, è — o almeno sembra – semplicemente superfluo.
La struttura della narrazione, la mancata caratterizzazione dei personaggi non riesce a dare un senso ai comportamenti degli attori della vicenda, sicuramente non riconducibili a un certo tipo di disagio o ribellione rispetto alla società. Che, tra l’altro, riesce a intravedersi solo appena.
Avete presente Melissa P. e i suoi 100 colpi di spazzola? La stessa impressione, quella di trovarsi di fronte a un’operazione puramente commerciale riuscita e niente più.
La Kanehara ha una scrittura essenziale ma arida, uno stile piatto e monotono, senza scosse che ravvivino e diano un certo ritmo alla lettura. Come se il romanzo fosse un semplice espediente per presentare, ogni certo numero di pagine, una scena di sesso più o meno spinta e quasi mai ben riuscita.
Basterà per un boom delle vendite? Non resta che aspettare.
Hitomi Kanehara — Serpenti e piercing (Hebi ni piasu) — Trad. di Alessandro Clementi — Fazi editore, pp. 127 — euro 12,00