Noam Chomsky , rispondendo alle domande del forum di ZNet, ha rilasciato l’altroieri alcune dichiarazioni notevoli sulla guerra, in qualità di osservatore critico privilegiato dall’interno degli Usa. Vale la pena di leggerle. [giuseppe genna]
L’impressione che ho tratto dai contatti con gente favorevole alla guerra in Iraq è che una delle ragioni principali, che fa piazza pulita di ogni altra, sembra essere la loro convinzione che Saddam odii l’America. Tu sei a conoscenza di azioni o intenzioni da parte di Saddam che diano consistenza a un’opinione del genere?
Non ho idea di cosa passi per la testa di Saddam, e anche ammesso che lui odii l’America (qualunque cosa questo significhi), l’idea che ciò possa costituire una giustificazione per scatenare una guerra è così folle che non vale nemmeno la pena discuterne. Neppure i nazisti si spinsero tanto lontano.
Saddam ha mai avanzato una reale minaccia contro gli Stati Uniti? Quest’idea sconfina nell’assurdo. All’altezza del 1990, all’apice delle accuse contro di lui per gli orrendi crimini che aveva commesso e stava commettendo, veniva comunque considerato un amico e un alleato proprio di coloro che stanno partecipando allo show di Washington in questi giorni. Ben lontani dal considerare Hussein una minaccia, gli hanno fornito ogni sorta di mezzi per sviluppare armi di distruzione di massa. La Guerra del Golfo e le sanzioni hanno ridotto l’Iraq a essere la forza militare più debole della regione mediorientale. Perfino i Paesi che Saddam aveva invaso non lo considerano, a oggi, una minaccia, ed essi stessi hanno tentato per anni di dare vita a un processo di reintegrazione dell’Iraq nella regione – al di là delle forti resistenze opposte dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono gli unici al mondo, a quanto mi risulta, a considerare l’Iraq una minaccia, militare o terroristica. Per “Stati Uniti” intendo in questo caso l’immagine che irradia il governo coi suoi media da settembre soprattutto – il che ha ottenuto effetti non secondari sull’atteggiamento della gente.
Da dove deriva questo superpatriottismo, quest’arroganza (come viene in effetti vista da molti non americani), questa idea che gli Usa siano simili a Dio, che non possono sbagliare, che qualunque cosa affermino o facciano – non importa quanta obbiettività vi sia – sia semplicemente perfetta perché sono gli Stati Uniti a farla? Da dove origina questo atteggiamento? E’ sempre stata una costante psichica americana? Sospetto che le élite e il loro sistema di propaganda promuovano questo atteggiamento attivamente e in piena consapevolezza – ma sono stati loro a crearlo?
E’ abbastanza sorprendente e inquietante. In due anni soltanto l’Amministrazione Bush è riuscita a ottenere che gli Stati Uniti diventassero la nazione che incute più timore in tutto il mondo, quella che solleva più disgusto e perfino odio. Un risultato non da ridere, che non lascia spazio a mezzi termini. I teorici della cospirazione dovrebbero così trarre la conclusione che essi stanno in realtà lavorando per Bin Laden.
Circa il superpatriottismo, sì, attraversa tutta la nostra cultura quasi da sempre, ma non è un dato unicamente americano. La Gran Bretagna, al culmine del suo splendore, non adottava un diverso atteggiamento, e se ne avvertono ancora gli echi. Il saggio di John Stuart Mill, ormai un classico, sull'”intervento di carattere umanitario” ne è uno splendido esempio – ed è particolarmente interessante proprio perché Stuart Mill era una persona di intelligenza e integrità morale fuori dalla norma. E lo stesso rilievo circa il superpatriottismo si poteva avanzare verso qualunque potere espansionista che io possa oggi ricordare. Perfino se si trattava di una nazione piccola, come Israele.
Quanto alle radici effettive di un simile atteggiamento, si tratta di un problema complesso, difficile da affrontare. Lo statuto di questa vocazione superpatriottica molto massiccia suggerisce che essa non possa essere attribuita unicamente a peculiarità di carattere storico, benché sia certo che inequivocabilmente esistano e che abbiano il loro peso. Negli Stati Uniti, per esempio, fu necessario scovare e fornire una qualche giustificazione che legittimasse lo sterminio delle popolazioni indigene e il ricorso a un’economia basata sulla schiavitù (e qui includo anche l’economia del Nord nei primi tempi – il cotone era il petrolio della rivoluzione industriale nel diciannovesimo secolo). E l’unico modo per giustificare il fatto che schiacci col tuo piede il collo di un altro è che tu esprimi una superiorità unica e l’altro una detestabilità parimenti unica. Una corrente di razzismo dominante, che persiste anche nell’attuale momento storico, intrecciata tanto intimamente con la cultura americana, e dell’Occidente in generale, che è ben al di sotto della soglia di consapevolezza e che a fatica può essere compresa da persone che sono state educate appositamente per rilevarla.
Per questo motivo la risposta alla domanda sulla genesi dell’atteggiamento superpatriottico non può essere semplice. Alcuni hanno evocato scenari evoluzionisti. Il problema è che una spiegazione del genere può essere impegnata praticamente per qualunque problema, mentre l’evidenza comparativa ci dice molto poco (intendo: comparazioni con scimpanzé dall’indole violenta o bipedi pacifici, studiati nelle relazioni intime – ricerche di questo tipo, insomma…).
Mi domando quale sia il tuo atteggiamento su come i media hanno trattato il tema della guerra finora. E’ un fatto degno di attenzione che la spaccatura interna all’élite di potere permetta una maggiore apertura nella scena mediatica. Tu noti comunque una maggiore copertura delle opinioni critiche e antagoniste rispetto al solito?
Non ho guardato se non sporadicamente la tv – CNN compresa. La mia impressione, ma si tratta appunto di una semplice impressione personale, è che la tv faccia semplicemente da majorette per la squadra di casa. Tutto trascurabile, a parte il fatto che uno può comunque disporre dell’opportunità di sottrarsi a questa polarizzazione imposta, affrontando i fatti al di là del tentativo di mantenerli celati alla pubblica opinione. La copertura stampa è invece qualcosa di più complesso, benché ancora si muova all’interno del quadro imposto dalla propaganda su un’invasione militare. Se si vuole approfondire l’analisi della questione, un ottimo sistema consiste comunque nell’andarsi a leggere quanto viene pubblicato sulla stampa estera – cosa non più difficile in questa fase storica, grazie all’accesso al web della stampa inglese, irlandese e straniera in genere, spesso in traduzione. Non sono favorevole a esprimere un’impressione generale e generica: senza ulteriori ricerche ed esperienze, non saprei come procedere.
Un esempio. Un attacco suicida da parte di forze dell’esercito che si sta opponendo a un’invasione non può assolutamente essere definito un atto di terrorismo. Supponiamo che l’esercito iracheno stia assediando New York e la sua aviazione stia lanciando bombe sulla città senza incontrare alcuna resistenza. Se un americano compisse un attacco suicida contro l’esercito invasore qualcuno avrebbe forse il coraggio di parlare di “terrorismo”? O violazione della legge di guerra? Oppure quest’atto verrebbe considerato come un gesto di eroismo straordinario, garantendo al suicida un posto d’onore nella storia nazionale?
Gli Stati Uniti non sono colpevoli di terrorismo di stato, al momento. Questa è a tutti gli effetti un’aggressione pura e semplice, da manuale. Persino la CNN fa circolare sufficienti informazioni per giungere a una conclusione tanto chiara e cristallina. Uno può forse obbiettare che una simile aggressione abbia una qualche giustificazione, ma è altamente improbabile che si contesti il fatto che si tratta di un’aggressione. Ancora una volta, proviamo a invertire le parti. Immaginiamo che un enorme esercito iracheno abbia invaso gli Stati Uniti e abbia attaccato le città e via di seguito. Ci verrebbe in mente di dire che si tratta di un atto terroristico o di un’aggressione?
E’ ben vero che i media non adottano una quadro interpretativo come quello che propongo – almeno non quando sono gli Usa a invadere. Ma questo risponde a gran parte della domanda su come io consideri i media oggi.