di Jean-Pierre Chevènement
Presidente onorario del Mouvement républicain et citoyen (MRC)
Trad. di Paolo Chiocchetti
[L’intervento dell’ex-ministro ed ex-socialista francese Chevènemet, apparso su Libération del 9 giugno, ci sembra particolarmente degno di nota. Esso interpreta alla perfezione alcune motivazioni dell’elettorato francese così vilipeso nella stampa italiana, mescolando una certa retorica “sovranista” con la richiesta forte di un inversione di tendenza neo-keynesiana della politica europea e una mano tesa ad una nuova unità delle sinistre che parta da settori socialisti fino ai trotzkisti della LCR. Su questo revival di una “sinistra keynesiana” nei paesi cardine dell’Europa avremo molto da dire nei prossimi mesi. PC]
Giscard d’Estaing ha raccontato la scena di quando nel 2003 consegnò a Berlusconi, allora Presidente di turno del Consiglio europeo, il progetto di “Costituzione” nato dai lavori della “Convenzione”, rilegato in cuoio blu. Girava una mosca, e il suo ronzare ostinato nuoceva alla solennità della scena. Berlusconi, dopo essersi impadronito dell’esemplare rilegato in pelle blu, con un rapido gesto schiacciò la mosca e si lascio sfuggire: “Almeno questa Costituzione sarà servita a qualcosa!” Oggi questa scena acquista tutto il suo sapore: questa Costituzione nata morta era veramente necessaria? Il presidente Chirac aveva proprio bisogno, sulla scia di Joschka Fischer, di agitarne l’idea davanti al Bundestag nel giugno 2000? Al suo ritorno in Francia gli chiesi: “Perché proporre a 25 popoli una Costituzione, quando solo un Popolo può darsi una Costituzione e tra di loro 25 popoli stipulano un trattato?” Il presidente Chirac, che non si fa certo togliere il sonno dall’idea di un “Popolo europeo”, a differenza dei nostri “federalisti”, mi rispose “E’ per rispondere alla domanda: ‘Chi fa cosa in Europa?’ E’ una specie di regolamento interno.” Se non si trattava che di questo, non c’era allora alcun bisogno di una “Costituzione”!
Giscard d’Estaing stesso ha ammesso che la convenzione da lui presieduta si era “appigliata” alle “parole fatte scivolare alla fine del testo [di Laeken… che] socchiudevano una porta ponendo la questione di sapere se questa semplificazone e riordino dei trattati non avrebbe dovuto condurre alla fine all’adozione di un testo costituzionale”.
Dunque, quello che è stato respinto con la Costituzione è la pretesa di “costituzionalizzare” nel nome di un “popolo europeo” che non esiste un insieme di regole paralizzanti che hanno instaurato in Europa la disoccupazione di massa, e che i popoli realmente esistenti non vogliono.
Il solo atteggiamento realista consisterebbe nel modificare ciò che nei testi in vigore si frappone ad un rilancio keynesiano su scala europea, l’unico modo per far indietreggiare rapidamente la disoccupazione.
Ma sia la destra che il Partito socialista vogliono che il processo di ratifica vada avanti come prima. Due “Francie” si guardano in cagnesco: da una parte il popolo, ovvero la maggioranza della popolazione attiva e dei giovani, e dall’altra l’insieme delle élite coalizzate, profondamente adombrati per lo sbaglio del primo. Al centro di questo abisso di incomprensione, la nazione. Per il popolo essa è la cornice naturale dell’espressione democratica. Per le élite invece la nazione ha appena dimostrato ancora una volta di essere la radice del male. Ciò che vogliono le élite è spogliare il popolo della sua sovranità. Naturalmente per il suo bene. Poiché le élite sanno quello che è buono per lui. Aggrappate al loro riflesso aristocratico, nel senso etimologico del termine, le nostre oligarchie non intendono cambiare nulla della propria politica. Che si tratti della destra o del PS, esse stanno cercando di ricondurre il “no” ad un moto irrazionale d’umore. Continueranno a screditare il popolo, ad attizzarlo, a colpevolizzarlo con la segreta speranza, già rivelata da Bertolt Brecht, di riuscire infine a dissolverlo. Tenteranno ancora una volta di bloccarlo nel “sistema dell’è tutto uguale”, con il rischio di un nuovo 21 aprile(1). La questione che si pone oggi è di come riuscire a tradurre il formidabile segnale di saggezza che ci ha appena inviato il nostro popolo all’interno di un sistema politico la cui funzione è proprio soffocarne la volontà. Ciò che non è stato possibile nel 2002 lo sarà nel 2007?
Lo scenario di devastazione dell’attuale sinistra francese non può non evocare il suo stato rovinoso degli anni 60. Come dopo il 1969, la direzione del Partito Socialista non riesce ad immaginare che ci possa essere un’altra ricetta per tornare al potere che non sia l’immobilismo: ieri la “terza forza”, oggi il “social-liberalismo”. Essa ha scelto di trattare il rigetto della Costituzione come un semplice incidente di percorso: nessuna autocritica di questo gruppo dirigente emerso nel 1998 e che si aggrappa alla sua linea social-liberale come ad un salvagente, non attendendosi la propria salvezza se non dal naufragio della galera governativa. Non c’era stata nessuna autocritica nemmeno al congresso di Dijon, dopo lo scacco delle presidenziali. Un tempo si diceva “la colpa è di Rousseau, la colpa è di Voltaire”. Dopo il 2002 essa fu di Chevènement e oggi è di Fabius. La ricerca di un capro espiatorio permette di cementare l’unità della tribù, evitando di interrogarsi sulle proprie responsabilità. Soprattutto mira a mantenere ben salda la rotta e a condurre al porto sani e salvi: il ritorno alle delizie e ai veleni di un Potere diventato fine a se stesso.
Così, il 4 giugno il PS ha condotto un consiglio nazionale punitivo (2), incapace di rispondere al disconoscimento dell’elettorato di sinistra e perfino dell’elettorato socialista in un modo che non fosse una derisoria sanzione contro la violazione di una “disciplina” sacralizzata dalla quale il popolo sovrano si è appena affrancato. Che illusione pensare che la profonda politicizzazione permessa dalla campagna referendaria possa sfociare nel 2007 nell’oblio e in qualche rattoppo! La rifondazione della sinistra implica evidentemente un’altra visione dell’Europa, che essa diventi, come ha detto Robin Cook, “una protezione contro la globalizzazione”. Il mondo del lavoro in Europa non è disposto a sacrificare un secolo e mezzo di conquiste sociali sull’altare di una globalizzazione liberista che, fondata sulle immense armate di riserva industriali dei paesi dell’Asia, non tende ad altro che a restaurare in tutta la sua purezza lo schema marxista del massimo sfruttamento della forza lavoro. La sinistra, il cui elettorato di riferimento ha votato in modo largamente maggioritario “non”, ha la responsabilità di elaborare un progetto repubblicano esigente e realmente alternativo. Deve dunque combattere le tentazioni di scorciatoie che condurrebbero il Partito Socialista ad aggrapparsi alla sua linea social-liberale come ad un albero marcio, il Partito Comunista a mettersi a ruota di un simile Partito Socialista, e l’estrema sinistra ad accontentarsi di un ruolo di mera testimonianza. E’ tutta la sinistra che deve riorganizzarsi per portarsi all’altezza delle sfide che l’attendono nel 2007. Niente verrà dal PS lasciato a se stesso. Sarebbe inconcepibile che esso presenti alle elezioni presidenziali un candidato sostenitore del “si” alla Costituzione. Chi può credere che un tale candidato, chiunque sia, possa raggruppare l’elettorato popolare?
Riuscirà una risposta repubblicana ad imporsi da oggi al 2007 sulla base di un progetto di chiara rottura col social-liberalismo? Un simile progetto implica chiaramente la visione di un’Europa riconciliata con i suoi popoli, dotata di un’organizzazione flessibile in grado di associare, a geometria variabile, chi vuole avanzare verso un’Europa democratica, solidale e indipendente.
Per questo la sinistra deve rompere con il miope riflesso condizionato che troppo spesso la spinge a contrapporre la nazione e l’Europa. Quest’ultima deve costruirsi come prolungamento delle nazioni democratiche. Il popolo francese ha espresso la sua volontà. Esso non scomparirà, al contrario; ha ricominciato a riaffermare il proprio ruolo, che Karl Marx definiva come quello della “nazione politica per eccellenza”.
Un tempo François Mitterrand diceva: “Partendo dal PS si possono fare molte cose. Col PS non si può fare niente”. Questa strategia non può più funzionare. E’ tutta la sinistra che bisogna riunire in un unico movimento, senza esclusioni né tabù, per un progetto che restituisca un senso all’idea di progresso. Degli stati generali della sinistra dovrebbero permettere il confronto delle idee dal quale potrebbe sorgere un progetto all’altezza delle speranze e delle sfide.
La sfida principale che oggi s’impone è quella del rilancio economico dell’eurozona. Noi chiediamo al Consiglio europeo del 16 e 17 giugno di metterlo al centro del suo ordine del giorno. Sarebbe opportuno che un Consiglio dei Dodici (i dodici dell’eurozona) si riunisca al più presto per mettere in piedi un “governo economico” della zona suddetta.
E’ dal dialogo tra le nazioni e in primo luogo tra la Francia e la Germania, ma senza esclusioni nei confronti delle altre, che passerà il riorientamento della costruzione europea. Un’Europa dei popoli, rispettosa della sovranità popolare, autorizza la delega di competenze quando esse siano mirate e controllate democraticamente: così la competenza monetaria può essere esercitata congiuntamente dalla Banca centrale e dall’Eurogruppo (o “governo economico” dell’eurozona). Ancora, bisognerebbe rivedere gli statuti della Banca centrale, in modo da far figurare la crescita e l’occupazione tra i suoi obiettivi e da rimettere in causa la sua religiosa indipendenza. Tutte le componenti del “no” potrebbero ritrovarsi su questo obiettivo.
Il “governo economico” potrebbe così deliberare a maggioranza qualificata sulle questioni relative alla politica di bilancio, all’armonizzazione fiscale e alla fissazione di alcuni criteri sociali chiamati a convergere. E’ tempo di rimettere il carro dietro ai buoi. Se la sinistra non è in grado di farlo, sarà la destra che, in definitiva, lo farà.
Questa rivoluzione copernicana permetterà di far nascere l’attore strategico europeo del quale abbiamo bisogno in tutti i campi (scientifico, tecnologico, industriale, militare, diplomatico, etc.). Questa svolta porterà la Francia all’attacco, il suo popolo all’avanguardia e la sua sinistra all’offensiva, se solo sarà in grado di superare i riflessi di bottega e di mettersi all’ascolto dei popoli.
(1) Il 21 aprile 2002, quando Lionel Jospin fu escluso dal secondo turno delle elezioni presidenziali francesi (a favore di Jean-Marie Le Pen) a causa della frammentazione delle sinistre critiche verso il suo operato di Primo Ministro.
(2) Laurent Fabius, principale sostenitore del NO socialista, è stato escluso dalla direzione nazionale in attesa dello show-down del congresso di novembre.