di Mauro Baldrati
Intanto è tornato, dopo un periodo di sosta, forse di bonifica, uno degli spot più stupidi della storia dei “creativi”: Nespresso, ossessivo, violento, di una ripetitività demente, da lavaggio del cervello ai telespettatori drogati da video, quelli che non guardano né leggono nient’altro (i quali, secondo alcuni studi, rappresenterebbero circa l’88% dell’intera popolazione italiana).
Ma non occupiamoci solo di idiozie “creative”: citiamo per una volta alcuni prodotti divertenti, anche se disgiunti da polemiche, peraltro legittime: gli spot per il rinnovo del canone RAI: uno è stato addirittura denunciato da una associazione di consumatori perché ingannevole: confonderebbe una tassa con un canone. Giusto. Tra l’altro è particolarmente odioso dovere pagare una tassa/canone obbligatoria per una televisione “di Stato” così asservita al Pensiero Unico di regime, che disinforma, confonde, nasconde chi si oppone, enfatizza le gesta di chi domina, edulcora la notizia, crea realtà di comodo. Nulla ormai la distingue dalla finta concorrente Mediaset. La RAI, se non cambia (ma quando mai cambierà?) andrebbe chiusa, privatizzata selvaggiamente, che si arrangino tra padroni, tanto già lo stanno facendo, perdipiù col nostro contributo, estorto per legge. Che resti un solo canale pubblico, per esempio per salvare un programma come “Geo”, uno dei pochi davvero gradevole, intelligente e interessante.
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Ciò premesso almeno due spot sul canone sono (sono stati, infatti non girano più) ironici, smaliziati e spassosi: quello della moglie, assorta nella visione di Montalbano, che viene interrotta dal marito che accartoccia la lettera della RAI, provocando l’implosione dell’apparecchio. La donna, furiosa, emette l’urlo che uccide spalancando in modo abnorme la bocca (che sembra il forno di Steven Tyler), devastando la casa. Non sappiamo se “i creativi” abbiano voluto evocare il film del 1977 di Skolimovski, L’Australiano; dubitiamo, vista l’ignoranza cosmica che dimostrano in generale, in ogni caso è questo che accade: dove avrà imparato l’urlo la donna? Anthony l’australiano l’ha imparato dagli aborigeni, chissà lei.
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L’altro è il nonno, rapito davanti a un apparecchio antidiluviano, che si arrabbia e si lancia in un attacco di arti marziali acrobatiche, con uno straordinario salto mortale che lascia allibito il nipote con l’amico che hanno accartocciato la lettera. Impossibile non ghignare di gusto.
Questi spot, come l’altro che vede protagonisti i bambini, che sembrano prendere fuoco quando la solita lettera viene accartocciata, hanno generato molte invettive, insulti addirittura, per l’uso strumentale dell’infanzia (in effetti quest’ultimo è il meno efficace), per la solita esternalizzazione del prodotto con lievitazione dei costi. Tutto legittimo, tutto ragionevole. Resta il fatto che i corti, in sé, estrapolati dai contesti di backstage, sono ironici, ben girati e arguti.
A questo punto il problema è il seguente: si tratta di un giudizio etico, l’opera in sé per sé decontestualizzata?
Oppure è terzista?
O cinico?