di Salvatore Romagnolo e Roberto Saracco
[dall’omonimo e-book edito e distribuito gratuitamente da Apogeo]
Il termine robot è stato coniato dallo scrittore
ceco Karel Čapek nel suo romanzo fantapolitico
R.U.R. (Rossum’s Universal Robots), del 1920. In
realtà, pare, Karel Čapek non fu il vero inventore
della parola, che gli venne, invece, suggerita dal
fratello Josef, scrittore e pittore cubista, che
aveva già affrontato il tema in un suo racconto del
1917, “Opilec” (L’ubriacone), nel quale però
aveva usato il termine automat.
La diffusione del romanzo di Karel ha dato
un’enorme fama al termine Robot, anche se il
libro è caduto lentamente nel dimenticatoio,
almeno in Italia. Attualmente non è disponibile
una versione in italiano e per leggerlo è necessario
accontentarsi di quella in inglese. Anche se i
robot di Čapek erano uomini artificiali organici, il
termine viene generalmente utilizzato per indicare
un uomo meccanico. Uno dei sinonimi di robot è androide (dal greco anèr,
andròs, uomo, e che quindi può essere tradotto “a forma d’uomo”), mentre
cyborg (“organismo cibernetico” o “uomo bionico”) sta a indicare una creatura
che combina parti organiche e meccaniche.
UN P0′ DI STORIA
Il primo progetto documentato di un robot
umanoide viene fatto risalire a Leonardo da Vinci.
Gli appunti del genio toscano contengono disegni
dettagliati per la realizzazione di un cavaliere
meccanico, apparentemente in grado di alzarsi in
piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella.
Il progetto era probabilmente basato sulle sue
ricerche anatomiche registrate nell’Uomo di
Vitruvio. Il robot leonardesco non pare venne mai
realizzato.
Il primo robot funzionante conosciuto risale,
invece, al 1738. A costruirlo fu Jacques de
Vaucanson, che realizzò una serie di macchine che
svolgevano azioni umane o, quanto meno, animali:
un’androide che suonava il flauto e un’anatra che,
secondo alcune testimonianze, mangiava e defecava.
Nel XIX secolo si registrò un vero
fiorire di storie con al centro automi e
uomini artificiali in genere, che culminarono
nell’ Uomo elettrico di Luis
Senarens, del 1885.
MA CHE COS’È UN ROBOT?
La domanda può apparire banale e
la risposta semplice: un robot è una
“macchina” che svolge delle funzioni
proprie degli uomini. Ma secondo questa
definizione, ogni macchina può essere
considerata un robot. E infatti, alcuni
elettrodomestici tuttofare vengono
designati con questo termine. Ma un
frullatore, per quanto complesso, non
potrà mai essere considerato un robot.
Il termine, come suggerisce Isaac
Asimov nell’introduzione del suo
“Visioni di robot” andrà applicato a
quelle macchine computerizzate in
grado di svolgere compiti che soltanto
gli uomini riescono ad assolvere.
Compiti così complessi che una macchina
non computerizzata non sarebbe in
grado di svolgere. In ultima analisi,
accettando la sintesi di Asimov, “possiamo dire che un robot è una macchina
controllata da un computer”.
Sempre ad Asimov si devono, seppur
in ambito letterario e non scientifico,
la prime leggi della robotica. Uno
dei temi che ha maggiormente affascinato
gli scrittori di fantascienza, infatti,
è quello della ipotetica capacità dei
robot di competere con l’uomo o addirittura
di sopraffarlo. Nella serie di racconti
“Io, Robot”, Isaac Asimov enunciò
le Tre Leggi della Robotica, nel tentativo
di controllare la competizione fra robot ed esseri umani:
1) Un robot non può arrecare danno a un essere umano, o, per inazione,
permettere che un essere umano subisca danno.
2) Un robot deve eseguire gli ordini che riceve dagli esseri umani, ma non
quando tali ordini interferiscono con la Prima Legge.
3) Un robot deve proteggere se stesso, finché la sua autodifesa non interferisce
con la Prima o la Seconda Legge.
Anche se può apparire coreografico, nel suo tentativo di creare artificialmente
un essere a sua immagine e somiglianza, l’uomo ha tentato di tranquillizzarsi
di fronte a un problema del tutto ipotetico, ma che rimane aperto
e cioè quello dell’autonomia delle macchine, che un giorno potrebbero non
aver più bisogno del loro creatore e, anzi, contro di lui sollevarsi. Non si tratta
di un’ansia di tipo paranoico, anche se il problema oggi non si pone: le
“macchine computerizzate” costruite finora dall’uomo non hanno coscienza
di sé e anche le più intelligenti sono lontanissime dall’acquisire una qualsivoglia
autonomia. Ma i progressi fatti in questi ultimi anni suggeriscono scenari
futuri non del tutto prevedibili e gli scienziati paiono fortemente intenzionati
a proseguire lungo la strada che porta alla creazione della vita artificiale;
una vita, si presuppone, e si auspica, del tutto simile a quella biologica.