Mauro e Valter si salutano
di Mauro Baldrati
Nel cortile grigio, con gli alti muri senza finestre, spalmato di una luce priva di ombre, Valter Binaghi ed io sediamo sull’unica panchina del piazzale deserto. Se guardo in alto, il cielo è grigio, uniforme, come una lastra di cemento. Nessun suono, nessuna corrente d’aria, nessun colore. Non fa freddo, né caldo. Valter è serio, quasi cupo. Tiene la testa bassa, sembra incapace di guardarmi negli occhi. Ed io so perché.
“Quanto tempo è passato?” chiedo.
“Direi seicentotre anni” risponde Valter, senza alzare gli occhi.
Restiamo qualche istante in silenzio, ascoltando l’assoluta mancanza di suoni. Anche i nostri respiri non emettono suoni. Forse non respiriamo affatto.
“Sei secoli di Fabio Fazio, di Matteo Renzi, di Giorgio Napolitano, di Fabio Volo, di Sting, Ligabue, Claudio Baglioni, senza un attimo di tregua. Come abbiamo fatto a non impazzire Valter?”
“Abbiamo resistito. Abbiamo imparato a sopportare. A capire. A essere più umili. Più proiettati in noi stessi.”
“Già. Tu soprattutto. Mentre io… Puoi dirlo apertamente. Tanto so tutto.”
“Come, sai?” dice, guardandomi finalmente negli occhi. I suoi sembrano tristi.
“Ma sì. Li ho maledetti, con tutte quelle presentazioni ossessive, quelle prediche televisive. Le ho contate: 220.395 comizi televisivi di Renzi, oltre 300.000 tra interviste e presentazioni di Fazio, 200.000 prediche di Napolitano. Non è stato altro che un lavaggio del cervello, cui ho cercato di resistere.”
“Perché?” obietta Valter. “Il fine era di ripulirci la mente e l’anima. Di riscattare i rancori, le invidie.”
“Questo è quanto dicono loro. In realtà dovevamo dimostrare assoluta sottomissione.”
“Sbagli, amico, fratello. Hai sbagliato. Ed ora…”
“Ed ora, già…” lo interrompo. “Ora mi mandano giù, negli abissi. Perché ho fallito la prova. Perché non mi sono allineato. Ma io non li aspetterò.”
“Che vuoi dire?”
“Ho già deciso di andarmene. Di scendere al cosiddetto Inferno senza aspettare il loro maledetto processo.”
“Non è un processo.”
“Sì che lo è. Una corte di angeli bianchi che mi osservano severi e mi dicono che ho fallito qua, sbagliato là, che ho maledetto, insultato ecc.”
Valter si copre la faccia con le mani. Sembra oppresso da un peso insostenibile.
“Perché parli così? Speravo che saremmo rimasti insieme.”
“Ah, sì, e dove? Nel cosiddetto Paradiso? Tanto anche là regnano le caste. Gli angeli bianchi hanno realizzato un golpe, nel Tempo Antico. Noi, come tutti gli altri del Purgatorio, saremmo stati bassa manovalanza, schiavi, senza accesso ai livelli superiori. Non illuderti.”
Valter mi fissa di nuovo. I suoi occhi sono indagatori. Smarriti. Forse un dubbio si è insinuato in lui. Ma io non voglio questo. Deve arrivarci da solo. E poi non sono sicuro di avere ragione. Nessuno lo è. Ma la decisione è comunque presa. Fuggirò dal Purgatorio e raggiungerò l’Inferno. Che non è altro che una prigione. I tormenti sono una invenzione. Si è semplicemente segregati, impossibilitati a nuocere.
“Chi ti ha raccontato queste cose? Tu non hai mai avuto la fede.”
“Vero. E per questo ti considero fortunato. Ma per come ce l’hanno spacciata, Valter, la fede è una truffa. In realtà i bianchi hanno scacciato gli angeli ribelli, che volevano l’uguaglianza di fronte al Creatore Indifferente, l’Idea che non si esprime mai, non si mostra mai. Li hanno esiliati, imprigionati all’Inferno. Poi hanno inventato la favola del peccato e del pentimento. Per mantenere il loro sporco potere mafioso. Ma all’Inferno qualcosa si muove. Io lo so, e anche loro lo sanno.”
“Mauro… ma io li ho visti. L’Inferno è un luogo orrendo, era un groviglio di corpi…”
Lo interrompo. “Anch’io li ho visti.”
Mi guarda stupefatto. “Ah, sì? Come hai fatto? Io li ho visti il primo giorno, sei secoli fa, mentre transitavo verso il Purgatorio.”
“Ho trovato un varco nella curvatura, sono entrato per quasi un minuto.”
“Un varco? Ma dove? Quando? E come l’hai scoperto?”
“Non posso dirtelo, Valter.” Lancio occhiate agli altissimi muri grigi senza finestre. “Lo sai che quei figli di puttana ci ascoltano.”
China il capo. “Capisco. Da come ti esprimi deduco che non hai più nulla da perdere. Dunque per te i giochi sono fatti. Non hai intenzione di chiedere un’altra occasione, un perdono, una deroga.”
“Una deroga? Altri secoli di prediche e di cazzate? Guarda, Valter, i grovigli umani che abbiamo visto dipendono dal freddo intenso che regna in certi settori dell’Inferno. Stanno tutti vicini per scaldarsi. Non c’entrano i tormenti. Sono degli esiliati, dei prigionieri. Ma è in preparazione una rivolta. Saliranno dall’Inferno e cercheranno di spazzare via i bianchi. Ed io ho intenzione di unirmi a loro.”
“Allora…” dice Valter, alzandosi in piedi. Mi viene di fronte, mi appoggia le mani sulle spalle. “Non mi resta che augurarti buona fortuna, fratello.”
Anch’io mi alzo in piedi. Ci abbracciamo. E’ dura questa separazione. Ci siamo sostenuti per sei secoli. E’ un salto nell’ignoto.
“Anch’io ti auguro buona fortuna.”
“Forse ne avremo bisogno entrambi. Se ciò che dici si avvererà io… spero solo che non ci ritroveremo avversari, l’uno di fronte all’altro per combatterci.”
“Lo escludo, Valter. Sono sicuro che anche tu capirai. Perché non potrai mai accettare il tuo ruolo di schiavo. Per cui…”
Ci stacchiamo, ci guardiamo negli occhi con le mani sulle spalle, tesi, preoccupati, spaventati forse.
“… Per cui ti concedo massimo un secolo. Poi anche tu ci raggiungerai, ne sono sicuro. Dunque il mio saluto è: ci vediamo all’Inferno.”