di Mary Carmichael
[da Newsweek]
Grazie alle ricerche neurologiche del premio Nobel Eric Kandel e di altri suoi colleghi, l’elementare sistema nervoso dell’Aplysia Californicus (una lumaca marina ermafrodita, il cui cervello è straordinariamente elementare, formato soltanto da qualche migliaio di neuroni di grosse proporzioni) sta aiutando gli scienziati a comprendere in che modo la memoria funziona a livello biochimico: è emerso infatti che le molecole della memoria delle lumache marine non sono poi così dissimili da quelle degli esseri umani, tanto che oggi queste creature sono al centro di studi volti a mettere a punto dei farmaci che possano un giorno scongiurare la perdita di memoria che moltissime persone si trovano a dover affrontare a mano a mano che invecchiano.
Se si escludono rimedi di dubbia efficacia, attualmente sul mercato non vi è alcuna pillola in grado di migliorare la memoria, ma sono molte le piccole società biotech al lavoro su sostanze messe a punto nel corso di recentissime ricerche. Alcune di esse si trovano già nelle prime fasi della sperimentazione clinica che potrebbero concludersi “entro due anni, se siamo fortunati” come spiega Kandel, attualmente impegnato al centro di medicina della Columbia University (Cumc) e all’Howard Hughes Medical Institute (Hhmi).
Alcuni dei farmaci più promettenti hanno preso origine proprio dagli studi condotti sull’Aplysia, mentre altri sono partiti da fattori ancora più inverosimili, come le conseguenze molecolari del fumo, con una particolare attenzione ai recettori che la nicotina prende di mira. (Chi avrebbe mai pensato che potessero esservi dei benefici nel fumo?).
“È un periodo molto esaltante per le ricerche sul trattamento della perdita di memoria” commenta Steven Siegelbaum, neurologo presso il Cumc e l’Hhmi. E ora che le sperimentazioni stanno per concludersi, l’entusiasmo è quanto mai alle stelle.
È stato faticoso, lungo e impegnativo arrivare fino a questo punto: i ricercatori ormai sanno per certo che il cervello – che funziona grazie a una sequenza chimica innescata dai neurotrasmettitori – in un primo tempo immagazzina le informazioni a breve termine nella corteccia prefrontale, e in seguito ne trasforma le parti prescelte in ricordi a lungo termine per mezzo dell’ippocampo, una regione vagamente somigliante a un cavalluccio marino che si trova in profondità nelle pieghe del lobo temporale sovrastanti l’orecchio.
Conoscenze di questo tipo erano del tutto impensabili anche soltanto una trentina di anni fa. “La biologia dell’immagazzinamento dei ricordi era davvero una sorta di buco nero per noi”, conferma Kandel la cui idea di risolvere un problema complesso studiando un organismo fin troppo elementare fu accolta con enorme scetticismo. Ma con i suoi studi su una lumaca marina, Kandel scoprì effettivamente qualcosa. Poiché i neuroni dell’Aplysia erano così pochi e di così rilevanti dimensioni, egli fu in grado di identificare le singole cellule nervose responsabili dei singoli comportamenti. Le cellule nervose del lumacone risultarono funzionare grazie ad alcuni degli stessi processi biochimici che fanno funzionare i cervelli di animali molto più evoluti.
L’Aplysia californicus, insomma, si rivelò essere un ottimo modello per comprendere i processi molecolari della memoria degli esseri umani. Entrambe le specie, infatti, funzionano grazie all’Amp, adenosin-monofosfato ciclico (ciclyc Adenosine Monophosphate) che modula una proteina detta Creb (Cyclic adenosine monophosphate Response-Element Binding protein): quest’ultima sarebbe una sorta di scultore che nel cervello forma i ricordi rimodellandone le sinapsi, i collegamenti tra i neuroni. Trasformazioni nei livelli dell’Amp ciclico – e conseguenti trasformazioni nei livelli di Creb – influenzano la capacità del cervello di rimodellare e riconfigurare le proprie sinapsi. Meno Creb equivale a meno capacità di formare i ricordi.
Il risultato pratico di questa ricerca, così come degli impegnativi test sui topi e sulle cavie, è sfociato nella messa a punto di numerosi nuovi farmaci in corso di perfezionamento presso la Memory Pharmaceuticals, una società fondata tra gli altri da Kandel nel 1998. La sostanza creata in seguito alle scoperte effettuate sull’Aplysia si chiama “Mem1414″: poiché l’Amp ciclico, il neurotrasmettitore che determina i livelli di Creb, è solitamente messo fuori uso nel cervello da enzimi detti fosfodiesterasi, l'”Mem1414” inibendo l’attività di questi ultimi incrementa i livelli di Creb, migliorando la memoria a lungo termine nei pazienti che soffrono di disturbi di memoria correlabili all’età avanzata, e allontana altresì le prime fasi dell’Alzheimer, anche se i due disturbi non sono collegati tra loro.
Vi sono poi la “Mem1917”, una sostanza simile alla 1414, la “MemM1003”, che protegge i neuroni dai dannosi accumuli di calcio, e la “Mem3454”, una sostanza contro la schizofrenia che prende di mira il recettore che ormai si sa che reagisce anche alla nicotina. I ricercatori ipotizzano che alcuni schizofrenici di fatto allevino i sintomi della loro condizione, compresa la perdita di memoria, autocurandosi con le sigarette.
Le aziende farmaceutiche coinvolte in questi studi sono moltissime. L’Helicon ha un inibitore della fosfodiesterasi tutto suo; la Sention, co-fondata da Mark Bear del Picower Center per l’apprendimento e la memoria del Mit (Massachusetts Institute of Technology), ha messo a punto una sostanza chimica che influisce sull’Amp ciclico e sul Creb. La Cortex Pharmaceuticals, una delle prime società a studiare delle sostanze per il miglioramento della memoria, si sta concentrando altrove, su alcune molecole dette “ampakine” che modulano i “recettori Ampa” nel cervello e che possono rafforzare le sinapsi. Per il momento, i ricercatori sono riluttanti a tessere le lodi di queste sostanze. Ma la corsa alla pillola della memoria, forse, è solo all’inizio.