di Roberto Maggioni
[ExpoPolis è il libro collettivo di Off Topic e Roberto Maggioni (Agenzia X, 2013, pp. 176, € 11,10). Uscito in libreria lo scorso giugno (cerca qui la prossima presentazione), è l’unica pubblicazione non convenzionale sulla Milano che cambia con Expo 2015. Il testo che riportiamo di seguito è stato letto il 14 dicembre scorso da Roberto Maggioni allo Slam X @ Csoa Cox18 Milano].
Ok, allora, partiamo dall’inizio: Expo 2015 è un evento privato.
Ma come un evento privato? Expo 2015 è un evento privato.
E Comune, Regione, Governo? Pagano ed eseguono.
Expo nasce dal BIE, il comitato internazionale per le esposizioni, un ente privato non governativo. Il contesto dentro cui si muove Expo è di interessi privati, il BIE a questi risponde.
Interessi privati, investimenti pubblici, guadagni privati.
Paghi tu, voi, noi: 10 miliardi almeno. Destinati a salire nei prossimi due anni, perchè grandi-opere e mega-eventi funzionano così: ti chiedono 5 e si prendono 10.
Il BIE è nato nel 1928, l’anno di nascita di Topolino. Ha sede a Parigi e ogni 5 anni decide dove spostare il carrozzone di Expo, come e perchè.
Le Esposizione Universali sono operazioni di marketing. A livello internazionale si giustificano con la faccia presentabile dei temi nobili: nutrire il pianeta nel caso di Milano 2015. A livello nazionale e territoriale servono a muovere capitali e sperimentare forme di governo dei territori altrimenti difficili da far passare nell’ordinarietà della prassi cosiddetta democratica.
L’eccezione, come l’emergenza, giustifica l’ingiustificabile.
Dicono: “Expo è un evento eccezionale che capita, se capita, una volta ogni cento anni. Guai farsi sfuggire l’occasione”.
Per fare cosa?
Tra poco ci arriviamo.
Per capire Expo facciamo un passo indietro: Londra 1851, Parigi 1855.
Gli anni delle grandi invenzioni industriali, l’età dell’agricoltura meccanizzata e dell’industrializzazione, quando il capitale per raccontare e raccontarsi aveva bisogno di portare il suo sviluppo in giro per il mondo sotto forma di invenzioni, macchine, opere nuove.
Il lascito era diffuso e spalmato su città ancora da costruire, dove esserci significa esserci: essere lì, essere parte del cambiamento e vederlo con i propri occhi. Toccarlo.
Oggi, evidentemente, non è più così.
Per vedere, provare, acquistare, un nuovo modello di iPhone non ho bisogno di andare a Cupertino o a New York.
Expo è un evento anacronistico e come tale serve a giustificare altro.
Ci dice che vorrebbe migliorare il mondo in cui viviamo o quantomeno correggere le storture del capitalismo, loro, i capitalisti.
A Lisbona nel 1998 si parla di Oceani, una eredità per il futuro.
2005, Giappone, la saggezza della natura.
E via così. Fino ai nostri giorni.
Su Expo 2015 le intese sono larghissime.
Milano vince Expo nel 2008 con il centro sinistra di Prodi al Governo, la destra di Formigoni in Lombardia e quella della Moratti a Milano.
Expo 2015 accoglie tutti e c’è posto per tutti: per un appalto, per una poltrona, per uno scambio di favori, o anche solo per un pizzico di visibilità (come quei poveretti di Slow Food che dopo aver detto peste e corna di Expo tre settimane fa hanno deciso di rientrare nella partita perché “porteremo il tema della biodiversità”. Si certo, al festival della smart city che servirà a riportare gli OGM in Europa, perché questo è uno degli obiettivi non dichiarati di Expo: riportare l’agricoltura geneticamente modificata in Europa).
Per noi di Expopolis, Expo 2015 si riassume in sette parole chiave: debito, cemento, precarietà, poteri speciali, nemico pubblico, spartizione, mafie.
Debito, cemento, precarietà, poteri speciali, nemico pubblico, spartizione, mafie.
Dividiamo la faccenda in due tempi: il primo gli anni della Moratti, il secondo quelli di Pisapia.
Primo tempo. La scelta su “dove costruire Expo”.
Buona prassi vuole che le Esposizioni siano costruite su terreni di proprietà pubblica, e si capisce bene perché: sono già di proprietà del pubblico, non bisogna acquistarle da alcun privato e dopo l’esposizione l’area infrastrutturata è già di proprietà pubblica e non bisogna venderla a nessuno per rientrare dell’investimento. E’ tutto in house, tutto gestito dal pubblico.
No, a Milano si sceglie di fare diversamente.
Siamo tra il 2006 e il 2007, del comitato per Expo 2015 a Milano fanno parte: Regione, Comune, Provincia, Camera di Commercio, Fondazione Fiera.
Scelgono un area ex agricola di 1 milioni di metri quadri a nord-ovest di Milano, al confine con Rho e Pero. Aree quasi totalmente di proprietà di Fondazione Fiera e del Gruppo Cabassi.
Sono gli anni in cui Fondazione Fiera, completamente in mano alla destra ciellina, è alle prese con un importante buco di bilancio. La costruzione della nuova Fiera a Rho è stata un mezzo fallimento: sempre vuota tranne che per due/tre fiere l’anno. Chi si sposta più per andare a vedere una fiera?
E per Expo allora? Eh, appunto.
Dicevamo, Fondazione Fiera è in rosso, così decidono che Expo si farà sui suoi terreni.
Il primo conflitto d’interessi è qui: fra chi sceglie dove fare l’esposizione c’è anche Fondazione Fiera, proprietaria di metà dei terreni su cui si costruirà con soldi pubblici. E così terreni agricoli che valevano 10-15 euro al metro quadro oggi ne valgono 164 di euro al metro quadro. A fine Expo varranno almeno tre volte tanto. Ulteriore magia è che Fondazione Fiera fa parte anche della società nata appositamente per comprare quei terreni, Arexpo: il proprietario che vende a se stesso per poi rivendere e incassare a Expo finita.
Il 31 marzo 2008 il BIE assegna l’Expo a Milano. Cominciano mesi di litigi tutti interni alla destra: spartizione delle poltrone, degli incarichi, della governance dell’evento. Stipendi, doppi stipendi, consulenze: quattro anni di soldi buttati e poteri rimescolati.
Il progetto dell’orto globale tanto caro all’archistar della Moratti e assessore di Pisapia, Stefano Boeri, viene cestinato nel 2011: spazio alla smart city, alle nuove tecnologie, al turismo.
Verranno 30 milioni di visitatori.
No 27.
Più realistico 24.
Oggi parlano di 20 milioni di visitatori: 160 mila persone al giorno di media.
Non ci crede nessuno, Milano collasserebbe.
160 mila persone. Facciamo finta che 40 mila di queste vogliano spostarsi coi mezzi pubblici.
Expo sarà raggiungibile con la vecchia linea rossa e con il vecchio passante ferroviario. La nuova linea 6 viene cancellata il giorno dopo dell’assegnazione di Expo a Milano. La 5 per il 2015 collegherà il nord di Milano al nuovo quartiere per ricchi City Life, ma con un sovra costo di 79 milioni di euro a carico del Comune. La linea 4 forse vedrà pronte le prime due fermate Linate-Forlanini (una cosa senza senso per chi conosce Milano) e poi se ne riparlerà dal 2018. Nessuna nuova metropolitana arriverà al sito di Expo, alla faccia dell’eredità green dell’evento.
E pensatele quelle 40 mila persone in più sulla linea rossa ogni giorno.
La maggioranza arancio di Pisapia appena eletta, a luglio 2011 vota l’accordo di programma sulle aree Expo che ricalca l’impostazione della Moratti.
L’indice di edificabilità scende dallo 0.60 allo 0.52%. Poca cosa perchè sigifica che si potrà costruire su metà dell’area una volta finita l’esposizione. Nella maggioranza votano contro solo Basilio Rizzo e Anita Sonego.
Quel voto è il vincolo al cemento e alla speculazione edilizia che sarà fatta su quell’area. Certo, con del verde tra un palazzo e l’altro, tra il parcheggio da 2.000 posti auto e il centro commerciale gestito dalla Coop e da Eataly, due tra i partner di sinistra di Expo 2015. Insieme a Banca Intesa.
Ma c’è di più, le sette parole magiche dell’Esposizione più sgangherata della storia.
Numero uno: debito.
Expo 2015 è un evento che nasce in debito e genera debito. Lo sono tutti i grandi eventi. A Torino le Olimpiadi hanno lasciato 4 miliardi di debiti. Oggi Torino è una delle città più impoverite del nord Italia.
Non vogliamo portar sfiga, ci mancherebbe, se la portano bene da soli. Ma le Esposizioni degli ultimi vent’anni sono state, nella buona sostanza, un fallimento e hanno generato debito nelle casse pubbliche.
Perchè è il pubblico che offre: 10 miliardi di cui solo 1.5 per il sito di Expo. Gli altri sono per nuove autostrade, comunicazione, consulenze, immagine. Lo abbiam visto, pochissimo per le nuove fermate delle metropolitane, ancora meno in eredità alla città pubblica.
Debito, perchè guardando solo al comune di Milano nel 2013 con un buco di bilancio di 420 milioni di euro ha speso 370 milioni per Expo.
420 di buco, 370 spesi in Expo. Quando pagate l’aumento del biglietto Atm, l’aumento dell’Irpef o della tassa sui rifiuti, i tagli dei servizi…..state pagando Expo. Sapevatelo.
Numero due: cemento.
Nulla inizia e finisce con Expo. Ma con Expo anche autostrade progettate negli anni 70, come la Pedemontana, hanno ritrovato un nuovo motivo di esistere.
8 miliardi pubblici spesi per nuovo cemento su cui far viaggiare automobili.
Gli acronimi:
-Tem, tangenziale est esterna Milano. Devasterà le ultime aree agricole tra Melegnano e Agrate Brianza, non sarà pronta per Expo 2015, favorirà la nascita di un nuovo polo della logistica e del movimento merci. Doveva essere pagata dai privati col project financing, la finanza di progetto. Sarà invece pagata (quasi) interamente dal pubblico, perchè i privati non sembrano avere soldi e le banche non credono si possa rientrare dell’investimento in tempi brevi. E dagli di pedaggio.
-Pedemontana, vecchia di cinquant’anni, non sarà pronta per Expo 2015.
-Brebemi, Brescia-Bergamo- Mlano, sarà pronta per Expo 2015 solo in alcuni tratti, quelli dove governa la Lega, per capirci.
E poi la nuova autostrada Rho-Monza: 14 corsie, neanche fossimo negli Stati Uniti degli anni ’50.
E tutta una serie di strade minori ma altrettanto nocive. Come la Zara-Rho, la vecchia gronda nord milanese, per cui il governo ha appena staccato un biglietto da 50 milioni di euro. Vecchie carte comunali dicono passerrà su terreni inquinati. Della bonifica al momento non c’è traccia.
E poi lei, quell’inutile, costoso e nocivo canale idraulico chiamato “Via d’Acqua”. Nel sogno iniziale di Expo c’era “Milano come Venezia”, tutta navigabile fino a Rho. Una grande cazzata.
E così le Vie d’Acqua sono diventate una: la Via d’Acqua. Un canale quasi tutto in cemento di 20 km che collegherà la Darsena di Milano con il canale Villoresi passando per il sito di Expo. Servirà a far uscire l’acqua dal laghetto che sarà costruito tra i padiglioni del sito e porterà 2 metri cubi al secondo, neanche 40 cm di acqua, ad alcuni terreni agricoli nel sud di Milano. Nulla se pensiamo che il Naviglio può portare fino a 40 di metri cubi al secondo.
Però questo canale in cemento spaccherà quattro parchi milanesi: parco delle Cave, Bosco in città, parco Pertini, parco di Trenno. E passerà su terreni inquinati da bonificare. Ma il commissario unico, Giuseppe Sala, che è anche amministratore delegato di Expo spa, ha usato i suoi poteri speciali per declassare gli inquinanti e, forse, evitare la bonifica. Che sappiamo essere lunga e costosa, e l’inaugurazione di Expo non è come le altre opere, non può essere rinviata: il primo maggio si deve aprire. Fare, fare, fare, costi quel che costi. Poteri speciali del commissario, tra poco ci arriviamo.
Numero tre: precarietà.
La bufala del lavoro. Hanno detto che Expo porterà 30mila nuovi contratti di lavoro. Per ora abbiamo un accordo firmato ad luglio 2013 che prevede 18 mila volontari. Per 700 persone ci sarà un contratto a tempo determinato a 560 euro al mese.
E se Expo capita una volta ogni cento ed è un evento nazionale, la nuova precarietà per Expo va estesa a tutta la nazione. Così la pensano a Roma e stanno cercando il modo di far passare nuova flessibilità in nome di Expo per due anni e mezzo. Expo dura sei mesi ma la precarietà due anni e mezzo.
Grandi eventi, piccoli diritti. Altro che reddito minimo per chi non lavora: lavorare senza reddito.
Numero quattro: poteri speciali.
Decide tutto il Commissario Unico della società per azioni Expo spa. Decide per conto di altri, chiaro, ma il governo Letta gli ha dato poteri di deroga: i cosiddetti super poteri. Come si fa nelle grandi emergenze. Come quelli di Bertolaso dopo il terremoto a L’Aquila. E abbiam visto come è andata a finire.
Prima i commissari erano il sindaco di Milano e il presidente della Regione, che quantomeno dovevano rendere conto ai propri consigli comunale e regionale. Un minimo di prassi istituzionale.
Oggi no. E così il commissario può decidere di prolungare l’orario di lavoro nei cantieri, sveltire assegnazione degli appalti, o nel caso della Via d’Acqua declassare il livello degli inquinanti cui fare riferimento per i 20 km di canale.
Decidere sulla salute dei cittadini.
Nel caso della Via d’Acqua il Comune di Milano ha accettato di perdere potere e competenza e ora non conta (quasi) più nulla. L’opera si farà come ha deciso la spa.
Ma al parco di Trenno i cittadini si stanno ribellando allo scempio del parco e insieme alla rete No Expo da quattro giorni bloccano i lavori. La ruspa a un certo punto si è suicidata e così venerdì hanno dovuta portare via. Succede. Brutto periodo questo per le ruspe.
Pare che lunedì 16 dicembre tornerà accompagnata dai genitori. Se siete solidali l’appuntamento è alle 7 di mattina in via cascina Bellaria, di fronte al cimitero inglese nel parco di Trenno.
Numero cinque: nemico pubblico.
Come in Val Susa, come ovunque ci siano lotte reali. Chi lotta è un nemico, la repressione al volto dei tribunali, il nemico pubblico quello della narrazione tossica dei media.
“Chi si arrende si ammala” dice Erri de Luca a proposito della Val Susa “e invece la valle sprizza di salute pubblica, di fraternità, di voglia di battersi”.
E allora per farlo ammalare, il paziente sano va intossicato.
Va costruita l’epica del nemico pubblico da mettere su cui costruire consenso politico e isolare i ribelli. Ma il paziente sano ormai si è fatto gli anticorpi.
E qui a Milano il Corriere della Sera arriva a scrivere che secondo la Digos “la contro informazione No Expo è un problema di ordine pubblico”.
Un problema di ordine pubblico.
Numero sei: spartizione.
Davanti al cantiere di Expo c’è un grosso cartello d’inizio e fine lavori.
Sul quel cartello c’è tutta la geografia della spartizione italiana: da nord a sud, da destra a sinistra.
I due appalti più importanti sono stati vinti dalla CMC, la potente cooperativa di costruttori vicina al PD che lavora in Val Susa, al Dal Molin, e dove c’è da devastare territori, e dalla Mantovani, un raggruppamento di imprese venete vicine al PDL. Su entrambi gli appalti c’è un inchiesta aperta per turbativa d’asta.
Più a sud lavora Infrastrutture Lombarde, una società della Regione controllata da Pdl-Lega-Cl. E poi Compagnia delle Opere e Lega delle Cooperative a Cascina Merlata.
C’è spazio ovviamente anche per i subappalti. E quindi le mafie.
E’ la settima parola chiave: mafie.
Non è questo l’argomento per opporsi a un’opera o un evento: la bontà la si giudica dall’opera in se, non dal rischio infiltrazioni criminali. Che se c’è va combattuto a prescindere. In Italia il potere criminale è potere politico, rompere questo legame è atto quasi rivoluzionario.
Nel cantiere di Expo hanno messo piede aziende indagate per reati mafiosi o tipicamente mafiosi, come il traffico di rifiuti. Le White List per un expo mafia free non sono mai entrato in funzione davvero, i protocolli di legalità sembrano inadeguati: Ventura, Fondazioni Speciali, Pegaso, Elios, alcune delle aziende allontanate dal cantiere, e poi Fratelli Testa sotto inchiesta per tangenti al Pdl lombardo, e il responsabile cantiere di CMC anche lui indagato, e anche quello di Metropolitane Milanese. E poi, poi il movimento terra che, dice l’antimafia milanese, è monopolio dalla ndrangheta. Il mega-evento è anche questo.
A lotte comuni un vocabolario comune: debito, cemento, precarietà, poteri speciali, mafie, spartizione, nemico pubblico. Quello che sta succedendo a Milano con Expo è simile a quello che succede in Val Susa, a Niscemi, nella Roma degli dei festival o nella Bologna di F.I.CO.
A quale prezzo?
Se Expo 2015 indebiterà le casse pubbliche, se costruirà nuove autostrade, se permetterà a costruttori di destra e sinistra di far colare nuovo cemento e spartirsi gli appalti, se le mafie avranno la loro parte, se i contratti di lavoro saranno ancora più precari rispetto ad oggi, se si sperimenteranno forme di governo dell’eccezione con commissari unici a decidere per tutti, se il racconto dei media sarà sempre più e solo propaganda e verso la costruzione del nemico pubblico, beh, se tutto questo sarà, Expo 2015 si confermerà in quello che in altro modo non avrebbe potuto essere.
E allora se questo modello di sviluppo ha nel mega-evento e nella grande-opera l’unico orizzonte cui guardare, be’, che Expo 2015 e le sue contraddizioni siano la bara di questo modello di sviluppo iniquo.