Il siparietto sta per raggiungere l’acme. Emilio Fede, al solito abbronzato ma con quel fondo lividamente disneyano che conferisce la pelle stracotta, vive del conforto del golfino in cachemire, azzurrino. Per minuti e minuti, alle sue spalle, un fotoposter di Romano Prodi effigiava l’ex presidente della Commissione Europea con una boccuccia a culo di gallina. Quell’immagine è stata scelta. Fede, fino a quel momento, aveva tirato bordate contro la battuta di Prodi sui mercenari di Forza Italia – battuta peraltro filologicamente corretta, visto che il premier aveva annunciato che avrebbe inviato due giovani in ogni regione, pagandoli, per sistemare le cose nelle sedi locali del partito. Da Prodi faccione, si passa ai lumini natalizi. Tra Fede e la sua collaboratrice al computer inizia un dialogo da Operette Illeopardiane. Il dialogo dipinge l’Italia. L’Italia, Paese Delle Meraviglie. La Merda fatta Zucchero. La Pillola non va giù, resta sullo stomaco.
In pratica, mentre Fede deve passare a leggere la classifica della serie A, si fa interrompere dalla collaboratrice biondina, cinerina anch’ella. Le chiede: “Devi dire qualcosa?”. E lei, sì, ha qualcosa da dire. Questo: dice che secondo “una rilevazione” (quale, dominiddio, quale rilevazione?) quest’anno in Italia i mercatini sono aumentati vertiginosamente, tutti vanno a fare compere ai mercatini. E Fede dice che sì, è giusto, è bello, è allegro, l’Italia è un paese allegro, ai mercatini “si può anche trovare un quadro raro”, è allegro e divertente, basta col pessimismo, la biondocinerina dice “anche un oggetto di artigianato”, lui le dice “tu sei di Napoli e lì c’è una tradizione”, vedete che l’Italia non è come vogliono certi uccelli del malaugurio, mamma mia i portasfiga, non è così, è allegra e divertente, i mercatini sono sintomo di divertimento, e poi andremo a vedere cos’è successo in quel mercatino dei presepi a Napoli, “come si chiama?”, la biondina precisa “San Gregorio Armeno”, sì, dice Fede, ogni anno fanno una statuina nuova, vedremo qual è quest’anno, è divertente.
Ora, comincio dal fondo, lo dico io che statuina nuova c’è a San Gregorio Armeno, lo so già, l’ho studiato. Ce ne sono due, in realtà. Una è dedicata a Costantino. L’altra è dedicata a Berlusconi in bandana, vestito di bianco, sardegnuolo estivo radical kitsch. Mica è una novità, questa. Lo sappiamo tutti che Fede è felicissimo di fare l’araldo berlusconiano. Lo dichiara a lettere di fuoco ovunque, vuole dare un bacio al Cavaliere.
Così facendo, essendo così smaccato, Fede fa passare in secondo piano ciò che fa. Ciò che fa è contrario a qualunque principio etico del giornalismo, il che è un paradosso, perché il giornalismo non si erge su alcun principio etico, ma solo su principi dinamici e di microfisica della comunicazione. Ciò non toglie che Fede stia facendo – e la faccia sempre – una cosa grave: mistifica.
Il siparietto su Prodi potrà essere un’opinione. Il siparietto sui mercatini, invece, non è un’opinione: è una mistificazione. Se la gente sta tornando a comperare molto nei mercatini rionali, è perché mancano gli euro. Vuoi una cintura? Col cavolo che vai a spendere 120 euro per una roba simil-Charro della Guru, cioè una roba che è un’emulazione ma firmata; vai al mercatino, 20 euro, e ti compri una cintura simil-Charro senza firma della Guru. A Milano, che è il luogo privilegiato di osservazione per chi scrive, l’abbattimento dei livelli di qualità nello stile del vestiario è evidente. Il fenomeno riguarda le auto, anche. Non avrei mai creduto di dovere dare, un giorno, ragione a Luca Goldoni, ma in questa occasione lo faccio. Goldoni scriveva poco tempo fa, sul Corriere, uno dei suoi articoli ante-Severgnini che tanto bene esprimono il parere della gente: diceva che i negozi stanno tornando a riparare le cose. A Milano è così: spuntano, soprattutto nelle catene di elettrodomestici e sulle vetrine dei negozietti di idraulici, ferramenta ed elettricisti questi cartelli che annunciano che lì si ripara.
Non avere grano è duro, ma passare per gente che, non tirando la fine del mese, si diverte ad andare per allegri mercatini – beh, questa è una menzogna insopportabile, enunciata peraltro a spese della gente. Quando adotto il termine “gente”, lo faccio di proposito. La gente è quella vasta e mediocre classe nemmeno tanto benestante che, in massa, si affrettò a votare Berlusconi, aderì al suo fintomoralismo forcaiolo, ne assunse i connotati estetici brianzoli, si uniformò allo stile di pensiero di quel gruppo di forsennati fancazzisti anziani che si trovano in piazza Duomo a sparare contro la Borsa, contro i comunisti, contro Kofi Annan, per poi andare a giocare somme esorbitanti alla tris. La gente sta pagando e si sta accorgendo di pagare. La gente ne ha piene le palle. La gente non ci crede più.
Mio papà è pensionato e per molti anni ha fatto volontariato sindacale nel quartiere, aprendo uno sportello gratuito della Cgil in una sede dell’Anpi, e ammortizzando il panico dei pensionati che non capivano niente di quello che dovevano pagare allo Stato. Molti di quei pensionati, mi raccontava l’altro giorno mio papà, sono andati alla fine di novembre a ritirare la pensione ed erano incazzatissimi perché non c’erano gli euro dei tagli delle tasse. Va da sé che allo sportello volontario di mio padre (una sorta di banchetto di Lucy dei Peanuts, di carattere non soltanto psicologico, bensì anche sindacale) arrivavano torme di non-vecchietti, cioè pseudobenestanti tra i cinquanta e i sessanta, tutti An o FI, che pensavano di farsi il commercialista gratis. Anche quella gente lì, mi ha detto mio padre, si chiedeva dove fossero gli euro promessi col taglio delle tasse.
Questa breve parabola familiare serve a dire quanto penso: che la “gente” sta scavando la fossa a Berlusconi.
Il grado di mistificazione comunicativa sta alzandosi esponenzialmente proprio per questo motivo. Il giorno dello sciopero, niente quotidiani al bar, tranne gli unici usciti: Il Giornale e Libero. Io mai ho letto davvero Libero, ma per puro masochismo, anche grazie al conforto del cappuccio, mi sono concesso l’esperienza. Leggere le battute del Feltrino, cioè del figlio di Feltri che scrive sul giornale del padre, faticare nelle leziosità stilistiche antintellettuali di Renato Farina, assistere al roboante peronismo giornalistico di Vittorio Feltri – beh, credetemi, è stato molto meglio del luna-park. In questo senso: a me il luna-park non piace, esattamente come non mi piace il circo, ma anche come non mi piacciono i mercatini rionali. Sono luoghi di sottocultura emotiva devastante. Una tristezza sclerotica mi coglie e non mi abbandona più per ore. Ne traggo non gli auspici, ma l’immagine diretta di una specie in crisi, di un genere animale in via d’estinzione. Il luna-park mistifica il divertimento, così come Libero mistifica l’informazione, facendola diventare opinione. Al posto dell’informazione, c’è il giudizio sull’informazione, la selezione partigiana dell’informazione, elzeviri che propalano attacchi indiscriminati, che fanno leva sull’ingenuità della gente. Quando ci sono i reportage, sono sempre del tipo: quelle case lì ce le hanno con affitti bassi, la gente paga e quelli se la godono.
Tutto questo, ovviamente, è noto. Non importa se sia noto: va ribadito con estrema semplicità.
Il luna-park è una mistificazione del divertimento che fa il paio con la mistificazione difensiva attuata dai due parlamentari forzitalioti che difendono il premier al processo Sme. Con una voce calma e franca, l’avvocato e deputato di Forza Italia, Ghedini, ha pronunciato la sua arringa senza mai entrare nel merito delle accuse. Come certi maghi, tipo Binarelli, che a me trasmettono la medesima tristezza che mi comunica il luna-park, ha attirato la pubblica attenzione su un severo monito, che sta a Cicerone come l’Idroscalo a Las Vegas: “Voi giudici potete cambiare la storia d’Italia, con questa sentenza”. Dei gravissimi indizi probatori, dei flussi di denaro in direzione Svizzera – non una parola. Anzi, l’elogio di Berlusconi, genialmente definito “brava persona”. Gente, appunto. Un bravo ragazzo, cioè.
La gente del 2000, di cui canta Dario Baldan Bembo, crooner apocalittico del giro che fu di Cologno Monzese, appare stanca. Il termometro segna 37°. A questa stanchezza, se abbiamo studiato la storia dell’uomo, non si possono opporre mistificazioni. Il pane è finito, ma anche le brioche. Se questa idea fissa si installa nel conscio collettivo, che è uno degli strumenti più reazionari dell’intera vicenda umana e che altre volte fu chiamato “buonsenso”, c’è poco da fare per le élite e per la gente stessa. E’ il momento in cui ciò che ha creato se stesso fa germinare la propria decadenza.
Preme da sotto qualcosa di immane, di oscuramente splendido, un tumore vitale pronto a erompere, un rapido contagio che sarà latore di altro. E’ già latore di altro e lo è a un punto tale che Gad Lerner, sabato, si chiedeva se esista ancora, e Fabio Fazio, che è il prossimo Bruno Vespa, sconcertato non ne parla, preferendo discettare con Bill Gates vestito da clown (che, ho dimenticato di dire, mi dà una tristezza, ma una tristezza…).
Sto dicendo che preme da sotto la Fabrica Sin Patròn. Zorro è già tra noi.
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