di Antonella Festa (di incroci de-generi)

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Melinda Cooper, La vita come plusvalore. Biotecnologie e capitale al tempo del neoliberismo, Introduzione e  cura di Angela Balzano,  Postfazione di Rosi Braidotti, Ombre Corte, Verona 2013, pp. 126, € 15.00

Quando il capitalismo si scontra con i limiti della Terra e dunque con l’impossibilità di una crescita produttiva lineare illimitata, può l’intera vita biologica essere messa a valore?
Da questo interrogativo di fondo  si sviluppa Life as surplus  di Melinda Cooper  pubblicato nel 2008 dalla Washington University Press e uscito in Italia nel settembre 2013 per ombre corte.

Melinda Cooper, ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Politica Sociale presso l’università di Sidney, muove da un punto di partenza dichiaratamente marxiano e si spinge  in un campo poco esplorato da Marx, definito  delle scienze della vita in senso lato, individuando le fasi cruciali di passaggio dalla valorizzazione economica della vita umana che ha un inizio ed una fine, cioè bios, alla valorizzazione della vita in sé, zoe, intesa come capacità riproduttiva e potenza generativa comune a tutti gli esseri viventi.
A partire dagli anni ’70, negli Stati Uniti si profila all’orizzonte l’idea di una crisi che interessa non tanto la produttività in termini economici, quanto i limiti rappresentati dalla finitezza del pianeta Terra e dunque i rischi di un disequilibrio ecologico causato dal venir meno di risorse non rinnovabili  e dall’inquinamento. Pertanto, i teorici della destra individuano un’appetibile risposta a tali rischi nell’innovazione, in cui la creatività della mente, risorsa inesauribile, prende il posto della produzione di massa di beni di consumo. L’era postindustriale viene inaugurata, dunque, da una forte scommessa nel campo delle biotecnologie, scommessa che apre il campo a quella rivoluzione biotech nella quale si ricolloca la produzione industriale postfordista.

Negli anni ’80, le tecniche del DNA ricombinante, che permettono di trasferire sequenze di informazioni genetiche ibridando le specie e creando così nuove forme di vita, fanno sì che la vita in sé venga riformulata come potenza espansiva che evolve secondo una complessità crescente, suprema espressione degli eventi capaci di autoregolarsi (Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, Order out of Chaos: Man’s dialogue with nature, Heinemann, London 1984, p. 185) e pertanto capace di generare plusvalore. Ma in tale processo, sottolinea il biologo Kauffmann, i momenti di catastrofe e di crisi sono inevitabili, anzi necessari, perché ad essi segue la scomparsa del vecchio ed una spinta in avanti.
Tale rivoluzione concettuale nel campo delle scienze della vita, ed in particolare della microbiologia, influenza le teorie sulla crescita economica: è il trionfo della bioeconomia, ovvero della comunanza tra vita e capitale, entrambi soggetti alla legge della complessità, secondo la quale i momenti di  crisi si alternano a quelli di crescita in un sistema che evolve meglio se messo nella condizione di autorganizzarsi, libero da regolamentazioni esterne.  Il neoliberismo, dunque, sposa la teoria della necessità della crisi e quella della capacità di autoregolarsi. Ne consegue la fine di ogni mediazione operata dallo stato sociale, della sua politica di equilibrio tra produzione dei lavoratori e riproduzione della nazione e di redistribuzione della ricchezza. Il neoliberismo assottiglia, tendendo a far scomparire, i confini tra produzione e riproduzione, tra lavoro e vita, e si pone come unico obiettivo l’accumulazione di capitale che si fonda su di una economia della vita. La filosofia del welfare state è dunque un fardello di cui liberarsi, perché i rischi sociali non possono più essere collettivizzati con profitto e vengono così individualizzati e scaricati sui singoli.
In questo quadro, non fa meraviglia il diffondersi di una retorica della protezione della vita in sé, che è quella sostenuta dal fondamentalismo religioso dei movimenti pro-life a difesa del non-nato. Laddove non arrivano i brevetti e gli accordi di tutela della proprietà intellettuale come il Trips  a capitalizzare la vita, Il neofondamentalismo diventa quindi se non il principale, sicuramente uno dei più fedeli alleati del neoliberismo perché si batte in difesa di una proprietà riproduttiva che trova nel corpo delle donne il suo campo di battaglia privilegiato.
I nodi politici posti da Melinda Cooper sono dunque molteplici. Innanzitutto, la riconfigurazione del valore della vita – non più mercificata, ma finanziarizzata –  ed il superamento della filosofia dello stato sociale fa sì che ogni battaglia per la difesa di quest’ultimo risulti, oltre che anacronistica, destinata alla sconfitta. Parte della  sedicente sinistra radicale, ad oggi, si attesta su posizioni di retroguardia, in difesa di vecchi equilibri, spacciati per diritti, che lo stato-nazione si impegnava a mantenere in cambio dell’omologazione della vita ai valori ed alle norme da esso stabiliti. Se la filosofia del welfare state è stata dismessa dal neoliberismo, allora ben venga un superamento  definitivo, e non un tentativo nostalgico di restaurazione, di quello stesso welfare modellato sulla famiglia eteronormata per far spazio  a nuove forme di autorganizzazione, di mutualismo e di cooperazione che soddisfino non solo i bisogni, ma anche i desideri delle singolarità più disparate e che si configurino anche come forme di organizzazione politica in grado di sottrarsi ai dispositivi di cattura del capitale. Se, come sottolinea Cooper, a partire dall’invenzione del DNA ricombinante le più recenti acquisizioni scientifiche hanno portato ad una de-standardizzazione della vita, allora si dischiudono possibilità infinite per la costruzione di soggettività de-standardizzate in grado di resistere alla capitalizzazione non solo di bios, ma anche di zoe e di attualizzare il futuro al di fuori dei confini controllati dal diritto alla proprietà. Si tratta di costruire quei modelli alternativi di soggettività nomadi cui guarda Rosi Braidotti nella postfazione  individuando nell’abbandono dell’antropocentrismo la chiave di volta per una politica affermativa di risposta alla logica devastatrice del capitalismo avanzato.

Quando non solo la vita umana, ma tutta la materia vivente è messa a valore ed i confini tra le specie vengono abbattuti dai processi di valorizzazione che sussumono indistintamente gli animali umani e non, è proprio la riconnessione con zoe, con la potenza generativa trasversale a tutte le specie a rendere possibili  quelle nuove genealogie che gli attuali mutamenti non solo climatici, ma anche biopolitici rendono urgenti. E qui entriamo nell’ambito di quel postumano inteso da Braidotti come legame trans-specie che segna il divenire animale di anthropos che l’arrogante supremazia della narrazione specista da sempre tiene in ostaggio.  Abbiamo bisogno di nuove genealogie, di contro narrazioni e di più profonde alleanze per liberare zoe dai dispositivi di cattura del capitale, demistificando ogni pretesa di neutralità delle scienze della vita e non solo.  È di questo che ci parlano Cooper ne La vita come plusvalore e Braidotti nella postfazione Cambiamenti critici del clima, un assaggio della sua ultima fatica The Posthuman la cui uscita in Italia è prevista per gli  inizi del 2014.

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