di Giuseppe Genna
La situazione olandese, visti gli ultimi sviluppi, sta diventando una sorta di vetrino da microscopio: riassume, nella sua totalità, il baratro europeo, l’abisso occidentale. Che è pura sofferenza. Non si sa se da doglia di parto o da entrata in coma irreversibile. Certo è che, nelle sue linee essenziali, la trasformazione dell’Olanda, che sta violentemente scuotendo un popolo e un modello di vita, serve a osservare da vicino a quali risposte dovremo dare domande sempre più appassionate e, infine, umane.
E’ di ieri il grottesco blitz dell’antiterrorismo a L’Aja: un circondario evacuato, una trattativa durata una decina di ore con tre – dico: tre – supposti terroristi, uno dei quali fatto uscire con le mani alzate ma in mutande, perché evitasse di farsi esplodere, nascondendo cariche da kamikaze sotto i vestiti. A vederlo in foto, è alto 1.32, accanto all’enorme gendarme neerlandese. E’ pure filippino, o qualcosa di simile, e non marocchino, come sperava l’opinione pubblica neocon di tutta Olanda (l’assassino di Theo Van Gogh è marocchino con passaporto olandese). Questo apice ridicolo non cancella che si tratti di una tragedia, poiché al culmine del tragico non si riesce a sottrarsi dal grottesco.
Schipol è l’aeroporto di Amsterdam. Ci si impiegano 15 minuti a piedi a venire fuori dai gates per dirigersi all’uscita. Quando si esce dall’aeroporto, attraversando quelle porte girevoli che ricordano gli hotel vittoriani, ci si rende conto dell’esistenza di speciali poltrone per disabili o infermi, roteanti insieme alla porta medesima. Poi si fuoriesce in una sorta di Philadelphia piatta, policroma, artificiale eppure armonica. Spasmodicamente roteante anch’esso, un orologio precisissimo sventaglia in faccia agli utenti l’orario. Spesso da Schipol nemmeno si esce, perché col trenino, che passa ogni cinque minuti, si è ad Amsterdam in meno di un quarto d’ora. I biglietti si acquistano con una facilità degna del miglior Gattaca.
Arrivati ad Amsterdam, si è colpiti dal suono martellante e quasi nasale dei semafori. Perché in Olanda, i semafori hanno un suono: fitto, se è verde; con lunghe pause, se è rosso – il tutto a beneficio dei non vedenti o, come si chiamavano ai bei vecchi tempi, dei ciechi.
In piazza Dam, al centro di Amsterdam, si comprende perfettamente che gli olandesi hanno deciso di confinare nel più orrendo viale della città i turisti tarri, quelli prevalentemente italiani e quindi soltanto in cerca di coffee shop per farsi liberamente la canna. I turisti raffinati, invece, stanno lì ammutoliti a scrutare il grande magazzino alla destra del Municipio, dove si alternano sagome barocche come in certi orologi secenteschi, e dal quale spuntano volti storditi di altrettanti turisti raffinati, saliti all’ultimo piano di quell’esposizione universale di merce, che pare uscita da una descrizione marxiana del ’45.
I poliziotti sono sereni come in un racconto di Walser, sembra un paradiso naturalmente artificiale. Le puttane sorridono. Sono tutti felici!
Ora, questa descrizione si attaglia perfettamente a una settimana fa come a quattro anni fa.
Ciò che sto tentando di dire è che il crollo dell’Olanda non lo si misura semplicemente nell’usura della rete ferroviaria ignominosamente privatizzata, oppure col calcolo dei rifiuti che a Utrecht non si raccolgono più. Non è qui il centro del gorgo che sta velocemente inghiottendo un modello sociale.
Il centro del gorgo che inghiotte il modello sociale è il modello sociale stesso.
L’Olanda è la nazione più scolarizzata del Vecchio Continente. E’, o è stata, in assoluto la più libera quanto a espressione del pensiero e degli indirizzi culturali. Lì ti davano lo psicoanalista con l’Asl. Anche oggi, il fermento culturale che si misura ad Amsterdam non ha pari in nessun angolo d’Europa. Faccio un esempio. Tre case editrici decidono di fare intervistare tre scrittori stranieri, di cui stanno pubblicando i rispettivi romanzi. I tre scrittori, in questo caso, sono Louis de Bernières, Antonio Lobo Antunes e il sottoscritto. Che si ritrovano vicini di stanza. Familiarizzano, chiacchierano, parlano ovviamente del mercato. E’ una scena imperdibile, in quanto chi vi partecipa non può perdersela. Non mi è mai capitato altrove. Se esco dall’albergo, vengo sommerso dagli annunci di manifestazioni culturali abnormemente interessanti: reading, concerti, laboratori di avanguardia. A duecento metri dall’hotel, la libreria Au But du Monde mi fornisce una quantità introvabile ovunque di titoli di Nisargadatta Maharaji. Il libraio, ovviamente, era amico di Theo Van Gogh.
Più avanti, i giornalisti arrivano e fanno domande che nemmeno un critico letterario. L’editore è colto, intelligente, piacevole. Chiunque sa di che cosa si sta parlando, se viene citato Vineland. C’è affetto, oltre che corrispondenza di intelligenti sensi.
Ed ecco dunque la domanda: come è possibile che l’Olanda, con tutta questa cultura, con questa capacità di creare e intelligere il mondo, venga spiazzata dall’omicidio Van Gogh? Com’è possibile che un intero popolo scopra, dall’oggi con il domani, che si è cambiato paradigma sociale, oplà, si è in pieno scontro di civilità?
E’ proprio qui che si misura l’attacco neocon all’Europa: si tratta di un assalto che matura ora i suoi esiti, i quali sono stati preparati da decenni di storia occidentale ed europea. Questa preparazione, a mia detta, è la creazione di una mostruosa classe media.
La prima osservazione che avanzo è questa: quanto all’Olanda, non si trattava di una società multiculturale, bensì di una società multietnica. E’ un vecchio modello neocon, retrocon, con e basta, chiamatelo come volete. Fu enunciato alla fine dei Settanta, negli Stati Uniti: era l’impianto detto Salad Bowl che sostituiva quello detto Melting Pot. La metafora era vegetariana: in una ciotola si mischia l’insalata mista, ogni foglia non perde l’identità né entra in osmosi con le foglie di diversa coltura, e tutto ciò che unisce le varie foglie di varie insalate è la ciotola. In questo caso non si parla di nazionalità incarnate da persone differenti: le foglie sono qui le culture. That’s America!
Però, evidentemente, non soltanto America. Poiché, se il 90% della popolazione non è in grado di percepire come preesistente a un omicidio certa cultura non soltanto musulmana ma anche jihadista, allora una variabile culturale importante non è penetrata nel conscio e nell’inconscio collettivo. Di colpo l’Olanda si trova, dopo essere stata etichettata per anni come la patria dell’integrazione, a fare il primo anno di elementari rispetto alle modalità con cui si vive in una società multiculturale.
La seconda osservazione che avanzo si connette massicciamente a quella che precede. Si tratta dell’assenza di coscienza politica in Olanda. Ho parlato, in quest’ultimo soggiorno, con un centinaio di olandesi, a cui chiedevo: “Se vi sfasciano lo stato sociale, perché non abbattete il governo? Perché non manifestate? Perché non fermate la nazione per un mese?”. Giuro: facevano spallucce o, nel più tenero dei casi, sembrava che gli fosse stato chiesto di fecondare la madre.
Non è tanto esotica, questa reazione. Provate a fare l’esperimento: scegliete abitanti di una grande città italiana, purché sotto i venticinque anni, e serchiate le risposte rispetto alle etichette radical kitsch che evocano Guevara o Don Giussani o Berlusconi, indifferentemente. Calcolate poi i risultati e chiedetevi se siete cittadini olandesi.
Il problema dell’assalto neocon all’Europa è esattamente questo: abbassare il livello di coscienza politica. Al limite, tradurlo in chiacchiera, come solertemente fa Giuliano Ferrara ogni sera. Accade infatti che la traduzione in termini di galateo culturale non incida minimamente sul grado di coscienza politica di un popolo o di più popoli. Deve piuttosto essere il contrario: una coscienza politica esprime una cultura, poiché una cultura astratta non può mai divenire coscienza politica. Non esiste galateo culturale che intervenga sulla comunità islamica – davvero moderata – di stanza ad Amsterdam: essa interverrà, probabilmente, sulle frange radicali, componendo un dissidio al suo interno, con metodi propri. Questa, perlomeno, è la chance a cui guardano le componenti progressiste olandesi. E’ su questa ipotesi che si misurerà se il modello olandese aveva o meno le risorse per impedire una deriva reazionaria e radicale al tempo stesso.
Per il momento, l’angosciante situazione di questi giorni testimonia dell’opposto.
L’Olanda è, insieme all’Inghilterra, il vero padrone del mondo. Si tratta di un’affermazione contestabile, certo. Quindi sottolineo che si tratta di una convinzione esclusivamente dello scrivente.
La Dutch Shell, che è una realtà anglo-olandese, è una dei protagonisti del cartello del petrolio, la regina d’Olanda ne è l’azionista di maggioranza, Rodvink e Zijlstra sono ex politici di spicco olandesi che sono finiti a fare gli ambasciatori della Shell nel mondo. Un terzo delle azioni della Ipc, la finta azienda petrolifera irachena, erano in mano alla Dutch Shell, che in Iraq sta attualmente rivestendo un ruolo, diciamo così, leonino.
I componenti chiave dell’industria alimentare mondiale risuedono in quello che è stato denominato “Cartello Anglo-Olandese-Svizzero”. Condotto dalle sei aziende principali del grano – Cargill continentale, Louis Dreyfus, Bunge e André ed Archer Daniels Midland/Töpfer – il cartello delle materie prime alimentari ha dominazione completa sopra i cereali del mondo ed i rifornimenti dei grani, dal frumento al mais all’avena, dall’orzo al sorgo alla segale, e inoltre controlla la carne, il latte, gli oli da tavola ed i grassi, le frutta e le verdure, lo zucchero e tutte le forme di spezie.
A ciò si aggiunga la coleadership anglo-olandese per ciò che concerne la bancarizzazione dei beni (HSBC, inglese, e ING, olandese, sono secondo Forbes le due massime realtà aziendali europee), la chimica e i farmaci (soprattutto la piattaforma olandese di Glaxo).
Tutto ciò non crea meraviglia. Ci si rende conto, in piena globalizzazione, che l’impero spagnolo di Carlo V è a tutt’oggi vivo, linguisticamente prima e quanto a mercato (per via del predominio linguistico) poi. Figurarsi se l’impero anglolandese non dovrebbe godere di buona salute.
Allora la domanda è questa: come può una nazione che è tra i leader del mercato mondiale inasprire tanto il processo di pauperizzazione interna?
Di qui, seguono altre domande. Non ho risposte, ma sia concesso formulare almeno le domande.
Perché una thatcherizzazione dell’Europa?
Perché la thatcherizzazione dell’Inghilterra, anzitutto, che è già avvenuta? E con quali mezzi è stata condotta? E con quali esiti?
La prevalenza del partito cristiano in Olanda corrisponde alla prevalenza di una classe media? Cioè: l’Olanda è una nazione popolata prevalentemente da una classe media?
La scomposta ideologia a cui facevano riferimento gli olandesi Theo Van Gogh e Pym Fortuyn, e cioè un impressionante mélange di filosofia reazionaria e iperprogressismo, è il risultato di quale processo sociale?
Quale può essere la risposta politica all’esasperazione della classe media e del lumpen, soprattutto in un paese nordico come l’Olanda?
Quali sono le percentuali olandesi di consumo psicofarmacologico in questi ultimi anni?
A queste domande, tranne che ad alcune (l’ultima, per esempio), non si può rispondere consultando Google. Però farsele, queste benedette domande, bisogna eccome, anche se non si è olandesi, poiché in realtà stiamo diventando da parecchio tempo tutti olandesi, anzi lo siamo già.