di Alexik
Va tutto bene. La gestione di Antonio Bassolino come Commissario straordinario ai rifiuti in Campania è stata ineccepibile, anzi, eccellente. Sei milioni di tonnellate di ecoballe parcheggiate nelle campagne della regione sono pronte a testimoniarlo.
Lo stabilisce anche il Tribunale di Napoli, che non poteva che assolvere l’ex Governatore, assieme agli ex vertici di Fibe/Impregilo dalle accuse di truffa aggravata ai danni dello Stato, falso, traffico di rifiuti, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture.
In attesa che la pubblicazione della sentenza ce ne spieghi il motivo, a noi non rimane che decantare le gesta di quest’uomo, ripercorrendone gli atti e i risultati raggiunti negli anni in cui reggeva il timone della Regione Campania e dei Commissariati ai rifiuti e alle bonifiche, affinché rimangano come un segno indelebile nella memoria di chi, presto, lo vedrà nuovamente riciclarsi.
Era il maggio del 2000 quando Antonio Bassolino, dopo la vittoria alle regionali, assunse oltre al ruolo di Governatore quello di Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. Già dal 1994, infatti, una faccenda apparentemente ordinaria quale la gestione dell’immondizia veniva affrontata in Campania con criteri emergenziali. La dichiarazione dello stato di emergenza comporta, in questo come altri casi, conseguenze non da poco:
“Lo stato di emergenza determina che alcune delle libertà fondamentali possono essere limitate e che le procedure decisionali adottate in una democrazia possono essere alterate. Il Commissario straordinario nominato dal governo per gestire lo stato d’emergenza può operare tramite procedure accelerate e in deroga della normativa vigente. Nel suo ruolo, si sostituisce a livello territoriale a tutti gli enti locali che si occupano normalmente del settore che si trova in stato d’emergenza1”.
Un potere enorme, che ha permesso nel tempo ai vari Commissari di riaprire discariche già sature e imporle alla popolazione manu militari, derogare alla normativa sulla valutazione di impatto ambientale, scavalcare le altre espressioni elettive del territorio, usare le risorse pubbliche in maniera “creativa”.
Bassolino ereditò i superpoteri dai suoi predecessori Antonio Rastrelli (AN) e Andrea Losco (Margherita), assieme alle loro scelte di politica ambientale, compresa una procedura di gara già avviata per la costruzione e la gestione successiva di due termovalorizzatori e sette impianti per la produzione di combustibile derivato da rifiuti (cdr).
L’appalto era sicuramente un bel piatto avvelenato: già dal bando si prevedeva che i concorrenti in gara si impegnassero a “possedere e/o disporre immediatamente di sito per la realizzazione di impianto di termovalorizzazione2”. In pratica si delegava ai futuri appaltatori privati la scelta della locations degli inceneritori, abdicando ad ogni prerogativa pubblica di pianificazione del territorio.
Inoltre con una serie di ordinanze, a firma sia del ministro tecnico Paolo Baratta che del verde Edo Ronchi, il Ministero dell’Ambiente aveva già deciso che gli impianti previsti avrebbero potuto fare allegramente a meno della Valutazione di Impatto Ambientale, sostituita da una generica “Valutazione della Compatibilita`Ambientale” dai contenuti indefiniti3.
Al momento dell’ingresso di Bassolino in Regione, la gara aveva già superato la fase di aggiudicazione con la vittoria dell’associazione temporanea di imprese Fibe4/Impregilo. In altre parole la Fiat.
Al perfezionamento dell’appalto mancava solo la firma finale, e Bassolino la pose senza indugio. Non suscitarono in lui alcuna perplessità i criteri di aggiudicazione, il fatto, per esempio, che il valore tecnico del progetto Fibe fosse stato valutato meno della metà di quello del concorrente5. Oppure la promessa ridicola di costruire i termovalorizzatori entro il 31 dicembre del 2000.
La Fibe, in sostanza, lo aveva dichiarato già dall’inizio che i suoi impianti avrebbero fatto tecnicamente schifo, e che i suoi tempi di consegna erano inverosimili. Vinse offrendo, oltre a una tempistica del tutto improbabile, un prezzo inferiore per lo smaltimento, in contrasto con un bando che non era orientato al massimo ribasso. Bassolino comunque firmò senza porsi minimamente il problema di ridiscutere una scelta scellerata nei contenuti, ed impugnabile anche dal punto di vista formale. Giulio Facchi, che all’epoca era uno dei subcommissari, ricorda così la dinamica di quell’assenso:
“La mattina della firma del contratto con Impregilo, presi Bassolino da parte. Gli dissi: “Antonio, se firmiamo siamo fottuti. Non ne usciremo vivi”. Lui si infuriò. Naturalmente, non aveva letto una sola riga del contratto, perché per lui, quel che contava era “la questione politica”. Il resto era “roba da tecnici6“.
Insomma, in piena continuità con i suoi predecessori di centrodestra e centrosinistra, lui quel contratto – senza averlo neanche mai letto – fortissimamente lo voleva, tanto da entrare nel panico quando Fibe/impregilo minacciò, nel maggio del 2000, di metterlo in forse. Era successo che Willer Bordon, ministro dell’ambiente fresco di nomina, aveva deciso di abbassare le sovvenzioni Cip6 – quelle che permettono a chi produce energia con gli inceneritori di rivenderla (a nostre spese) ad un prezzo superiore a quello di mercato7 – e di conseguenza le previsioni di Fibe sui profitti futuri rischiavano di ridimensionarsi.
Bassolino si precipitò a Palazzo Chigi a perorare la causa della Fibe. Fu molto convincente: ottenne non solo che venisse riconosciuta all’appaltatore la tariffa originaria prevista dagli accordi Cip6, ma anche la cancellazione dell’accordo di programma che obbligava il vincitore a fare i conti con le indicazioni della committenza.
Un atto inconcepibile, come darsi una zappata sui coglioni. L’accordo di programma sarebbe stato uno strumento molto potente per il controllo di quell’appalto, era previsto come condizione essenziale per l’aggiudicazione definitiva e forniva al committente pubblico ampi margini di intervento e negoziazione. Cancellarlo ratificava la completa sudditanza del Commissario e del Ministero all’appaltatore privato, che da allora ebbe letteralmente campo libero.
I siti per la costruzione degli inceneritori vennero identificati dalla Fibe ad Acerra e a Santa Maria La Fossa, a solo 20 chilometri di distanza l’uno dall’altro, in una zona già martoriata per la presenza di Montefibre e per lo sversamento illegale di rifiuti industriali. Gia dal 1987, la zona di Acerra era stata classificata ad alto rischio ambientale8. Da tempo Montefibre era stata messa sotto accusa per i trasformatori al PCB e per le decine di migliaia di fusti di rifiuti tossici depositati all’interno dello stabilimento, e proprio nel 2000 le denunce dei parenti di trecentoventi operai morti per cancro avevano portato all’apertura di un’inchiesta presso la procura di Nola9.
Dagli anni ‘90 era già ampiamente risaputo come tutta la zona fosse una destinazione privilegiata per lo smaltimento di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici provenienti da ogni parte d’Italia, grazie alle confessioni dei pentiti di camorra Nunzio Perrella e Carmine Schiavone10.
Risalivano agli anni ’90 anche le preoccupazioni dell’USL 27 per l’impennata della curva della mortalità per cancro ad Acerra, ben prima che lo studio di Kathryn Senior e Alfredo Mazza, pubblicato nel 2004 sulla rivista The Lancet, identificasse la cittadina come uno dei vertici del “triangolo della morte”11. Le prime morie di pecore causate dalla diossina sono datate 199612.
In pratica, all’inizio del nuovo millennio il neo governatore aveva già tutti gli elementi per capire che imporre ad Acerra anche l’inceneritore avrebbe rappresentato un atto di arroganza e di cinico accanimento contro una popolazione che meritava giustizia e bonifiche, e non nuove forme di morte. Non ci risulta, però, che tali considerazioni fossero in cima ai suoi pensieri.
La scelta dei siti non era stata evidentemente discussa nemmeno con gli enti locali di competenza, tanto che sia il Comune di Acerra che la Provincia di Caserta (per Santa Maria la Fossa) fecero ricorso in sede amministrativa. Tantomeno fu discussa con la popolazione di Acerra, che nell’agosto 2004 insorse, subendo le cariche, reggendo lo scontro, contando arrestati e feriti 13.
Ovviamente i tempi di costruzione dei termovalorizzatori (di cui solo quello di Acerra giunse al termine) saltarono ampiamente, e questo di sicuro fu un bene per le popolazioni interessate, che guadagnarono almeno qualche anno di respiro in più. Il 31 dicembre del 2000, che doveva essere il termine ultimo per la consegna, non c’erano nemmeno le autorizzazioni per costruire.
La dilazione dei tempi comportò un corollario imprevisto: gli impianti per la produzione del combustibile da rifiuti (cdr), furono messi in opera molto prima dell’inceneritore che dovevano alimentare . Per questo il cdr confezionato in “ecoballe” cominciò ad accumularsi ricoprendo quote di territorio sempre più vaste. Attorno allo stoccaggio delle ecoballe si sviluppò da subito la speculazione legata ai suoli, con la camorra che fece incetta di terreni a basso prezzo per poi rivenderli alla Fibe a costi esorbitanti. Suoli pagati 200 milioni di vecchie lire venivano rivenduti alla Fibe per 2 miliardi e 250 milioni14.
Le ecoballe erano considerate poi alla stregua di combustibile in deposito, e in quanto tale assolvevano anche alla funzione di “garanzia” per i prestiti delle banche alla Fibe, che era in carenza cronica di liquidità. Impregilo, in pratica, realizzò il sogno proibito di ogni debitore: quello di dare in pegno, in cambio del denaro ricevuto in prestito, enormi cumuli di merda.
Ma l’aspetto più assurdo della faccenda era la qualità delle ecoballe. Le carenze tecniche del progetto di Fibe non riguardavano solo l’inceneritore, ma anche gli impianti per la produzione di cdr, che mancavano delle caratteristiche per poter produrre il cdr suddetto. I rifiuti indifferenziati, infatti, per diventare combustibile utilizzabile nei termovalorizzatori, devono essere trattati: separati dalla componente organica che diverrà materiale per compost, dai metalli, dai materiali inerti, dalle plastiche clorurate (che bruciate producono diossine), e se necessario deumidificati.
Gli impianti della Fibe non facevano nulla di tutto ciò. I rifiuti indifferenziati venivano semplicemente triturati e imballati. In proposito, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 26 gennaio 2006, ebbe a dire:
“Il cosiddetto Cdr è da definirsi semplicemente come rifiuto solido urbano tal quale; per quanto riguarda la Frazione organica stabilizzata, a causa delle carenze nel processo produttivo oltre che per le sue intrinseche caratteristiche, non può qualificarsi come tale; negli impianti si attua, di fatto, più che una selezione una suddivisione dei rifiuti solidi urbani, che vengono mandati alla discarica con codici e descrizioni diverse; in questi impianti non si ottiene alcun vantaggio né in termini di quantità né di qualità rispetto allo smaltimento degli Rsu direttamente in discarica15”.
In pratica, siffatte ecoballe non avevano le caratteristiche per essere “termovalorizzate” a causa di un tasso di umidità troppo elevato rispetto ai parametri definiti dal decreto Ronchi (30% invece del 15%), tale da poter causare danni all’inceneritore, e anche perché contenevano di tutto: “nelle ecoballe sono state rinvenute percentuali di arsenico superiori ai limiti imposti, oltre che ad oggetti interi (ad esempio, una ruota completa di cerchione e pneumatico), fatto questo che acclara l’omissione della fase della lavorazione16”.
Ora, l’ingenuo profano può presumere che i costi di smaltimento delle ecoballe fatte male dovessero essere sostenuti dalla Fibe. E qui si sbaglia:
“il commissariato ha speso finora milioni di euro per inviare le balle al nord o addirittura all’estero. In attesa di costruire l’impianto di Acerra le ditte appaltatrici avrebbero dovuto smaltire le ecoballe a proprie spese, ma il commissariato non ha preteso il rispetto della clausola contrattuale”17.
Ma chi doveva vigilare sul rispetto del capitolato, sull’adeguatezza degli impianti, sulla qualità del cdr, se non il Commissariato, con i suoi superpoteri ?
In seguito un po’ di ecoballe vennero comunque bruciate, dopo essere state definite idonee alla termovalorizzazione a colpi di ordinanza18 … anche se l’ordinanza non potè impedire al “tal quale” di mandare periodicamente in palla l’inceneritore di Acerra. Ma la stragrande maggioranza degli enormi e fetidi cubi rimase a stazionare, sparsa su 18 siti.
Il più grande è a Giugliano, nella frazione di Taverna del Re, in una discarica che per tantissimi anni ha ricevuto i rifiuti di quasi tutta la Campania. Anche i cittadini di Giugliano nel 2002 si ribellarono19, ma non riuscirono a fermare la valanga di spazzatura tritovagliata che si era abbattuta su di loro.
Sei milioni di tonnellate di ecoballe sono ancora lì, appoggiate a percolare sul loro territorio. Sarebbe interessante capire se abbiano qualche correlazione con l’aumento del tasso di mortalità dei Giuglianesi, che dal 2000 al 2006 è passato dallo 0.49 per mille al 2.0720. Ultimamente, per smaltirle si è pensato ….. alla costruzione di un altro inceneritore 21!!! Così il ciclo ricomincia .
Tornando a Bassolino e ai tempi della sua gestione commissariale, si ha il sospetto che in molti, nel suo staff, abbiano approfittato dell’emergenza per inzuppare il biscottino nel percolato. Per esempio lo stipendio del vicecommissario Vanoli arrivava a un milione e cinquantamila euro all’anno, mentre i subcommissari Paolucci e Facchi ricevettero compensi annui tra gli ottocento e i novecentomila euro 21.
E’ vero che onorari così alti erano giustificati dalla caratura dei collaboratori. Consulenti quali l’avvocato Soprano, il cui studio legale assisteva anche l’Impregilo, o il subcommissario Salvatore Acampora, che diventò ingegnere capo per la Fibe con parcella miliardaria, andavano certo premiati per la loro imparzialità e assenza di conflitti di interesse 22.
Ma le generose retribuzioni di consulenti e subcommissari erano solo la punta dell’iceberg.
Nel marzo 2005 un’ispezione dell’Ispettorato Generale di Finanza fece i conti dall’inizio dell’era commissarialel fino al 12 marzo 2004, data della nomina del successore di Bassolino. L’importo già stanziato risultò pari a circa euro 618 milioni di euro, provenienti da fondi statali, regionali e comunitari, 49 % dei quali spesi per la raccolta differenziata, con questi risultati:
“Orbene, a fronte di tale notevole corredo di voci di spesa riconducibili all’avvio della raccolta differenziata, voci che, complessivamente, raggiungono quasi il 50% dell’intero bilancio commissariale al 12 marzo 2004, le percentuali di raccolta differenziata, nel periodo 2003-2004, vanno dal 13,4% della provincia di Salerno al 4,8% della provincia casertana, passando per il 5% della citta` di Napoli”23. Una quota ridicola.
Bassolino non ricoprì solamente il ruolo di Commissario straordinario ai rifiuti dal 2000 al 2004, ma anche quello di Commissario straordinario alle bonifiche fino al 2008. Un ruolo importante, da svolgere in una terra scelta come pattumiera industriale della penisola, sede di uno dei più gravi disastri ambientale del paese (se non il peggiore).
Dalle bonifiche dipendeva, e ancora dipende, la vita, la morte, la salute e la qualità dell’esistenza di migliaia di persone, vittime di una guerra chimica non dichiarata che ha sparso milioni di tonnellate di veleni per tutto il territorio. Per capire quanto gliene fottesse a Bassolino di tutto questo, è illuminante rileggersi questo simpatico botta e risposta fra un giornalista di Report e il sub commissario alle bonifiche Antonio Cesarano.
Bernardo Iovene: “E’ Bassolino che si occupa delle bonifiche ?”
Antonio Cesarano: “Non, non è Bassolino non si occupa delle bonifiche, Bassolino è il commissario di governo alle bonifiche. Io sono, io sono ….”
Bernardo Iovene: “E non si occupa delle bonifiche ? Lei riferisce a lui ?”
Antonio Cesarano: “Io riferisco nel senso che io, veramente non è che c’ho un rapporto col presidente”24.
Evidentemente Bassolino era Commissario a sua insaputa.
Continua Milena Gabanelli:
“Abbiamo capito che per 8 anni c’è stato un commissario straordinario alle bonifiche che non si è occupato di bonifiche. Ha una sua struttura, arrivano soldi a go-go. Di 300 milioni di euro specifici per bonifiche, 150 vengono dirottati sull’emergenza rifiuti, che come tutti sanno emergenza continua a rimanere. Qualcosa però è stato fatto, nel 2001 viene incaricata una società pubblica, la Sogin che mette in sicurezza alcune zone, analizza i terreni, analizza le acque, e dopo dovrebbe procede alle bonificare. Ma a metà strada a fronte di un buco di 10 milioni di euro che il commissariato non paga, prende e se ne va. E allora viene stipulata una convenzione con una società privata, la Jacorossi, che per l’occasione deve assumere 380 lavoratori socialmente utili”25.
Per anni, i 380 lavoratori della Jacorossi furono lasciati senza far niente, privi dei più elementari mezzi di intervento, privi di direzione e del know how necessario per la rimozione di rifiuti speciali, spesso altamente tossici.
Nelle parole di Paolo Russo – ex pres. Commissione d’inchiesta sui rifiuti:
”Queste società non hanno una filiera tecnologicamente avanzata che consente quello che normalmente si fa nell’attività di bonifica. …. qui siamo a una sorta di forme tardive di cooperative sociali … è incomprensibile utilizzare come ammortizzatori sociali le emergenze sociali…le emergenze ambientali”26.
In pratica, anche sul fronte delle bonifiche i risultati della gestione Bassolino stanno a zero, al costo di un mare di denaro pubblico finito nel nulla. La devastazione ambientale, per quanto lo riguarda, è intonsa, o meglio peggiorata dalla sua colpevole inerzia.
Finisce qui questo lungo panegirico sull’ex Governatore. I fatti appena narrati non costituiscono reato agli occhi del tribunale di Napoli, pertanto vengono oggi assolti i Bassolino, i Romiti e i loro coimputati di medio livello, e non c’è niente di nuovo. Sono 20 anni, infatti, che per le responsabilità connesse al disastro ambientale in Campania lo Stato (nelle sue varie articolazioni) assolve se stesso e l’imprenditoria coinvolta.
Bassolino rimane imputato nel processo per gli sversamenti in mare di migliaia di tonnellate di percolato27, e vedremo come andrà a finire.
Nessuna sentenza potrà comunque cambiare il giudizio sulle responsabilità politiche di chi per interesse, incapacità e arroganza ha contribuito a condannare questa terra a morire di nocività.
Note:
1) L’emergenza dei rifiuti in Campania, da http://www.laboratoriocampano.org/.
2) Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Relazione territoriale sulla Campania. Relatore l’onorevole Paolo Russo, 26 gennaio 2006, p. 19.
3) Ibidem, pp. 13/15.
4) Sigla ottenuta dai nomi delle imprese Fisia, Impregilo, Babcok, Evo Oberrhausen.
5) Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Relazione territoriale sulla Campania. Relatore l’onorevole Paolo Russo, 26 gennaio 2006, p. 19.
6) Carlo Bonini, “A Bassolino dissi attento al contratto. Se lo firmi non ne usciremo vivi“, in “La Repubblica” , 3 febbraio 2008.
7) Il CIP6 è una delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile 1992 a seguito della legge n. 9 del 1991, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”. Chi produce energia elettrica in questo modo ha diritto a rivenderla al Gestore dei Servizi Energetici a un prezzo superiore a quello di mercato. I costi di tale incentivo vengono finanziati mediante un sovrapprezzo del 6-7% del costo dell’energia elettrica, che viene addebitato direttamente ai consumatori finali nel conteggio di tutte le bollette. L’Italia è l’unico paese a cui viene concesso l’incentivo alla produzione di energia elettrica tramite le centrali a carbone e inceneritori, decisione contestata dalla Commisisone Europea.
8) Decreto del Ministro dell’Ambiente, del 27 novembre 1987.
9) Andrea Bottalico, Montefibre. Autopsia di un avvelenamento, da www.napolimonitor.it, 9 agosto 2012.
10)Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Relazione territoriale sulla Campania. Presidente On. Massimo Scalia, 7 ottobre 1997.
11) Kathryn Senior e Alfredo Mazza, Italian “Triangle of death” linked to waste crisis, in “The Lancet Oncology”, Volume 5, Issue 9, September 2004, pp. 525 – 527.
12) Bernardo Iovene, “Terra bruciata“, puntata di Report del 9 marzo 2008.
13) Ad Acerra cittadini in rivolta contro il termovalorizzatore, in “Il Tempo”, 10 agosto 2004.
14) Gabriella Gribaudi, Il ciclo vizioso dei rifiuti in Campania, in “Il Mulino”, numero 1/2008.
15) Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Relazione territoriale sulla Campania. Relatore l’onorevole Paolo Russo, 26 gennaio 2006, p. 17.
16) Ibidem, p. 26.
17) Gabriella Gribaudi, op. cit.
18) Vittorio Moccia, A norma per legge le ecoballe campane. Il governo Prodi intende bruciare le ecoballe campane fuori norma nell’inceneritore di Acerra, da “Peacelink”. 3 marzo 2008.
19) Ugo Ferrero, Arrivano le ecoballe. Esplode la rivolta, da www.internapoli.it, 12 giugno 2002.
20) La mortalità di Giugliano, in “Corriere di Aversa e Giugliano”, 23 aprile 2007.
21) La mobilitazione popolare è riuscita, almeno per ora, a far sospendere il bando. Giugliano. La Regione Campania sospende il bando per l’inceneritore, da “GlobalProject”, 8 ottobre 2013.
21) Bufi Fulvio, Il vice di Bassolino guadagnava un milione, in “Corriere della Sera, 6 febbraio 2008.
22) Carlo Bonini, op.cit.
23) Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. Relazione territoriale sulla Campania. Relatore l’onorevole Paolo Russo, 26 gennaio 2006, p. 32.
24) Bernardo Iovene, op.cit.
25) Ibidem
26) Ibidem
27) Impianti di depurazione inadeguati: Bassolino ne era bene a conoscenza, In “Corriere del Mezzogiorno”, 29 gennaio 2011.