Un terrorista suicida si fa esplodere in un mercato di Gerusalemme. Tra le vittime una donna senza documenti. Nessuno va a reclamare il suo cadavere all’obitorio del Monte Scopus.
Chi era Julia Regajev? Era straniera, viveva da sola in una squallida baracca di un quartiere di religiosi. Cosa era venuta a cercare a Gerusalemme? L’azienda per cui lavorava, che non si è accorta della sua assenza, viene accusata di «crudele mancanza di umanità» dalla stampa locale: un giornalista senza scrupoli, detto il «serpente», sfrutta il caso per imbastire uno scandalo.
Il responsabile delle risorse umane viene spedito in missione dall’anziano proprietario del panificio per cui Julia lavorava come addetta alle pulizie; il suo compito: cercare di rimediare al danno di immagine. Ma il viaggio verso la dignitosa e compassionevole sepoltura della donna morta si rivela per lui molto più importante di un’operazione di facciata per ottenere la simpatia dell’opinione pubblica.
Nel dizionario non esiste forse parola che rappresenti meglio l’universo narrativo di Abraham B. Yehoshua dell’aggettivo «responsabile». Per un suo personaggio, essere responsabile significa non tanto essere colpevole, ma soprattutto portare attivamente il peso di un imperativo morale. Così il responsabile delle risorse umane impara che anche una piccola colpa, come quella di cui si è macchiata per indifferenza e superficialità la sua azienda, non va trascurata, perché anche le piccole colpe possono avere un potere terribile.
Partito da un fatto di cronaca fin troppo realistico, il romanzo si trasforma a poco a poco in un viaggio metafisico denso di simboli. La vera responsabilità del giovane dirigente consiste alla fine nel saper ritrovare dentro di sé le risorse umane più profonde per vincere il gelo che sembra sceso sul mondo e su di lui. Vincere la durezza del proprio cuore, uscire dalla caverna di aridità in cui si è sepolto, purificarsi e ricominciare a vivere.
Nel suo lavoro accademico Il potere terribile di una piccola colpa (Einaudi), Yehoshua esigeva la reintegrazione dell’elemento morale nel testo letterario, un elemento pressoché scomparso ma al quale lo scrittore israeliano è sempre rimasto fedele.
Così anche il suo ultimo romanzo inizia con la tipica refrattarietà israeliana, per trasformarsi in un percorso che condurrà il responsabile delle risorse umane non solo a restituire un’identità alla vittima, ma anche a riscoprire la sua umanità. E, più in generale, quella di una società stanca e indifferente, che aveva classificato Julia come un numero senza significato nell’elenco del personale. Un “numero forestiero”, per di più – il cadavere non identificato di un’impiegata straniera!: uno stratagemma letterario che consente all’autore, da un lato, di pervenire al massimo anonimato ed estraneità della vittima e, dall’altro, di ottenere il migliore angolo prospettico per rappresentare l’infrangersi del muro di alienazione, indifferenza e crudeltà che, come una scia, la globalizzazione lascia alle sue spalle.
Yehoshua porta così a termine una sorta di trasformazione: una trasformazione nella consapevolezza innanzitutto, collocando tale processo in un tempo e in un luogo dove la sensibilità umana ha raggiunto il punto di rottura ed esaurimento, Gerusalemme.
E lo fa restituendo alla città proprio quella dimensione umana che essa ha perso, servendosi di due personaggi apparentemente banali e insipidi: una donna delle pulizie e un burocrate incaricato delle risorse umane, che finirà per innamorarsi – culmine della sua redenzione – della donna scomparsa.
Nel contempo funerale e pellegrinaggio, il romanzo si snoda lungo una progressiva riacquisizione di significati spirituali: un viaggio interiore verso la Terra promessa.
[da La Feltrinelli]
Abraham Yehoshua – Il responsabile delle risorse umane. Passione in tre atti – Einaudi – € 17,00