Storia semiseria di un rifiuto preventivo

di As Chianese

DeNiro.gif
Già in tempi non sospetti H.P. Lovecraft scriveva: “Il mistero non è attorno alle cose, ma dentro di esse”, una dichiarazione tremendamente appropriata al fattaccio accaduto poche settimane fa in una fredda Milano ottobrina. Ne sono stati protagonisti il celeberrimo attore italo — americano Robert De Niro e il sindaco della città meneghina, Albertini… fra di loro una statuetta, un premio: quell’Ambrogino d’oro, alta onorificenza cittadina, che in questo caso funge da pomo della discordia, da trait d’union per due modi diversi di concepire l’educazione, lo spettacolo e la civiltà.


Recatosi a Milano, reduce del buon successo del thriller “genetico” Godsend dove interpreta la parte di un diabolico mad doctor, De Niro ha trovato ad accoglierlo, oltre che la solita cricca di addetti ai lavori e non, la giunta comunale in pompa magna, tutti inconsapevoli del fatto che di li a poco l’attore avrebbe rifiutato il fatidico Ambrogino suscitando le ire del sindaco e la gioia di qualche giornalista da troppo tempo a secco di scoop.
Ma perché Robert De Niro ha fatto questo?
Istintivamente è lecito pensare che da attore, uomo di mondo e di spettacolo, l’indimenticabile taxi driver si sia divertito a ravvivare quell’incontro ufficiale e pomposo con un colpo di scena a dir poco cinematografico. Ma De Niro, in quanto star che non teme confronti e brilla di luce propria, non è Marlon Brando, Godsend non è Il Padrino, gli assessori milanesi non sono membri dell’Academy e soprattutto l’Ambrogino non è l’Oscar: altri motivi, ben più seri e ponderati, hanno spinto Bob a dire di no ad Albertini e alla sua gang.
Innanzi tutto è da premettere che questa situazione, questa premiazione, si è venuta a verificare quando oramai da parecchi mesi alcune voci di corridoio davano per certo che a De Niro venisse conferita una speciale, onoraria, cittadinanza italiana per meriti artistici. Ciò inspiegabilmente ha scatenato mille dissapori con il club degli italiani d’America, incaponiti sempre più nel fatto che non si può dare la cittadinanza italiana a uno che al cinema ha raggiunto la sua fama facendo il capomafia, il boss, il giovane padrino… infangando l’immagine all’estero della nostra bella nazione.
Da che pulpito viene la predica! Da una associazione che passa il suo tempo organizzando feste tra mandolini, pizza e spaghetti, che bacerebbe le mani tanto a Brusca e Riina quanto a Vito Andolini da Corleone, indistintamente. De Niro non ha digerito la cosa, ma da persona seria ha fatto tutto il possibile per non compromettersi, dando poca importanza alle dichiarazioni e rispondendo alle parole coi fatti. In questa logica è da collocarsi il rifiuto dell’Ambrogino, questa sua irriverente forma di protesta contro l’istituzione, contro quelle stesse persone influenti che gli vorrebbero regalare questa cittadinanza onoraria.
L’immagine di un Albertini ghiacciato, che gli dà del maleducato e che sbraita contro queste grandi star che snobbano i politici, è un’immagine straordinaria. E’ il sintomo di quanta dignità personale ci sia in America anche in un mondo che nell’immaginario è quasi fiabesco come quello dello spettacolo. Già, proprio il mafioso Bob, quello che timidamente compare in mezzo a Ben Affleck e Al Gore nei primi minuti di Fahrenheit 9/11, ha avuto la forza di sostenere le sue idee anche davanti a chi lo premia, come il saggio veggente virgiliano teme i nemici anche quando questi fanno i regali. De Niro rifiuta perché qualcuno gli ha detto che quelle persone in giacca e cravatta non sono altro che dei cloni degli stupid white men, persone che rispettano e baciano le mani al padrino Bush jr., al signore della guerra che adesso combatte la sua battaglia più difficile, quella della rielezione… contro i media.
Dotato di una sua personale verve, di idee proprie non condizionate dai legami che la sua professione intrattiene da sempre con la politica, il coraggioso cacciatore, che redimeva giovani prostitute nella New York del dopo Vietam dialogando a colpi di 44 magnum con i loro protettori, restituisce l’Ambrogino e incassa i malumori, sicuro di essere stato sempre e comunque coerente. Potremmo paragonare questo artista ad alcuni nostrani saltimbanchi? Capaci di ritirare con le pupille imperlate e il cuore a mille anche il primo premio della locale sagra della castagna.
Grandioso De Niro, bravo a ridicolizzare con un colpo di coda magistrale i nostri sciocchi politicanti. Presuntuosi a tal punto da ribadire il loro sostegno morale a Bush anche dopo il rifiuto del premio, anche quando un mesto silenzio avrebbe potuto essere esemplare se non consolatorio. E’ stato proprio il sindaco Albertini il più maleducato, colui che non si è astenuto dal fare dichiarazioni anche di fronte al palese imbarazzo dell’attore. Si è comportato, il “regala ambrogini”, come il protagonista di quella sciocca pubblicità in cui una modesta famigliola borghese ospita una famosa star discutendo, ogni qual volta questa gira le spalle, sui costi e sulle premure che è d’obbligo usarle. Un inutile sfoggio di ipocrisia morale e provincialismo che disgusta e che è il sinonimo di un’ Italia capace solo di assimilare e accettare tutte le immagini e gli stereotipi che dall’impero americano giungono a lei, estrema provincia.
Ma riallacciandoci a Lovecraft, ricordiamo che il mistero è anche dentro alle cose: dentro questo inutile premio comunale che sarebbe comunque finito sulla mensola del bagno della casa di campagna del mafioso Bob. Ma che brutto questo Ambrogino, un premio la cui utilità, il cui valore lasciano il tempo che trovano, specialmente se a consegnarlo è una persona che non tutela le opinioni e la personalità degli artisti, ma solo l’immagine mondana e politica della città. Il maleducato Bob non ha fatto i conti con la pessima immagine che i suoi colleghi italiani hanno in patria. Con i corsi di recitazione che non fanno, con i produttori televisivi che corteggiano e la politica usata a mo’ di scudo che ostentano con l’imbarazzo tipico dei voltagabbana.

E’ lecito presagire la risposta dell’attore, se quella stessa vocina che lo ha informato dell’appoggio dato a Bush da Albertini, gli dicesse che questo è il paese dei ministri che insultano al parlamento europeo i culattoni, che non voglio dare le case ai bingo bongo, che rigetterebbero in mare i profughi di ogni razza, che vedono radici celtiche al nord e cani da banchina al sud, che hanno reso impossibile la vita degli artisti, umiliato gli umilii e mangiato sulle doloranti spalle di chi dorme nei container da troppi anni. Probabilmente Bob rifiuterebbe anche la cittadinanza italiana, questo piccolo ammasso di carte autenticate che, di questi tempi, non servono a molto e di cui non bisognerebbe andare fieri.
Non possiamo che applaudire il gesto di De Niro, un uomo che si è fatto strana non cantando sulle navi ma che ha iniziato dicendo buongiorno e buonasera agli angoli delle strade. De Niro che fece il gran rifiuto, che guarda e passa con orgoglio la via che porta a Canossa, che scuote l’opinione pubblica alla faccia dei muscolosi repubblicani alla Terminator puniti dalle consorti con squallide privazioni sessuali, e delle slavate cantanti sotto stress che ammirano sculettando la politica di guerra degli states. La rivolta contro Bush è vera, forte, nata da un’impronta culturale che è servita soprattutto da spartiacque nei confronti dei rappresentanti di quella stessa, in cui si intromette faticosamente anche lo spettacolo con i suoi eccessi e le sue contraddizioni, ed è proprio qui che la selezione è pesante, si fa più sentire.

In Bob we trust
A Milano qualcuno se ne è accorto.