di Giuseppe Genna
E’ un romanzo imperdibile, Dino, la biografia che Nick Tosches [a destra] ha scritto sull’esistenza favolosa e tragica di Dean Martin (Baldini Castoldi Dalai, € 18,90). Non un saggio, non una cronaca, non un’accozzaglia di gossip postumo: questo è il compendio ad American Tabloid di James Ellroy e bene farebbe chi ha amato l’epica americana del genio di El Monte a comprare e succhiarsi le 650 pagine di questo monumento a più di cinquant’anni di storia del costume, dello spettacolo, del crimine e del declino del sogno USA. Tosches, che non a caso è uno dei romanzieri a stelle e strisce più interessanti al momento (il suo In the Hand of Dante, uscito in Italia per Mondadori, è una grandissima narrazione), utilizza uno stile folgorante, à la Ellroy appunto, imbastendo un racconto che è il racconto di un mito: l’uomo che, insieme ad altri, forse più di Armstrong, ha messo piede sulla luna. Un piccolo passo per l’umanità, un salto enorme per un uomo figlio di emigrati abruzzesi, catapultato al centro della platea planetaria.
Dean Martin si chiamava in realtà Dino Crocetti. L’epopea della sua famiglia conduce un intero nucleo parentale dalle lande d’Abruzzo (precisamente Montesilvano) in quel di Steubenville, nell’Ohio – luogo prometeico per eccellenza, sito in cui si è eretta una famelica fornace (tra le più impressionanti di tutta America), alle cui fauci il padre di Dino si sottrae facendo un lavoro che, osserva Tosches, “è come il prete”: il parrucchiere. Giusto per intendersi: se un particolare del genere vi sembra secondario e irrilevante, non avete letto Tosches. Perché, in mano a questo mostro di stile e di sguardo, perfino la professione del parrucchiere assurge a mitologia. Avete presente il capitolo di 54 di Wu Ming dove Cary Grant si fa la barba? Ecco, siamo a quelle altitudini. E’ un passo talmente indicativo dello stile di Tosches che, sebbene io odii digitare, lo copio:
“Guy Crocetti si gloriava di entrambi i suoi ragazzi. La sua vita era fatta di riti quotidiani; la sveglia, il cibo, il lavoro, il sonno. Si occupava dei suoi strumenti da barbiere con la cura sacrale di un prete che si prepara alla messa. Il manico d’osso e la lama del suo rasoio venivano puliti da qualsiasi traccia di sporco, il perno ben oliato e scattante; la lama avvolta nel panno era sempre lucida e scintillante, il filo sempre tagliente e il bordo molto affilato – preferiva quello affilato rispetto a quello arrotondato, più diffuso. Le forbici francesi, le forbici tedesche, l’elegante tronchese Bressant, ricevevano le stesse attenzioni. I denti del pettine d’osso nella loro soluzione alcolica e e le setole delle spazzole per capelli e per vestiti, ben sistemate sugli scaffali, erano liberi da qualsiasi capello o odore estraneo; al pennello da barba, alla ciotola e al sapone non venivano consentite tracce di schiuma; gli asciugamani erano sempre lavati e stirati, la carta poggiatesta veniva sempre cambiata. Quando gli affari andavano a rilento, lui puliva e affilava, lucidava gli specchi e le lame con il Metalgas, sistemava i flaconi delle sue varie lozioni e dei balsami lenitivi: le bottiglie opale e cobalto delle acque tonificanti e delle amamelidi curative, i vasetti ambrati della brillantina, le bottigliette dal collo lungo di acqua di Colonia per gli sportivi, l’Osage Rub e il Wildroot, il Million Dollar di Auerbach e il Tonique Superbe di Fitch, il Lilac Vegetal e il Love Me Dearie, il Baldpate e l’Herpicide, le confezioni di antiparassitari e di talco. Solo allora, dopo essersi preso cura di tutte queste cose, concedeva a se stesso di sedersi, ma mai nella grande poltrona di acciaio e porcellana con i cuscini di pelle; no, quella era riservata a coloro cui egli amministrava il culto, quelli che lo pagavano.”
Se Tosches, parlandoci del padre barbiere di Dean Martin, amministra il suo culto con noi che lo paghiamo, figuratevi cosa può arrivare a fare con una materia ben diversa: quella di cui sono fatti gli stupidi sogni degli uomini sacrificati al culto idolatrico di Hollywood. E che, per di più, prima di arrivare a quelle mandibole luminose e tritacarne, hanno fatto di tutto: i biscazzieri, gli estorsori del pizzo, i pugili, i benzinai… E che, all’apice, nel momento in cui il fascio di luce del Sands a Las Vegas investe quell’uomo insieme a Frank Sinatra, Sammy Davis Jr., Joey Bishop, e Peter Lawford (il mitico Rat Pack) – proprio in quel momento, scopre la sostanza della fine, recitando la parte del cronico alcolista che egli è davvero, mentendo al figlio e dicendogli di bere sulla scena succo di mela mentre tracanna litri di bourbon.
In mezzo a questa parabola (una parabola evangelica, intendo: l’evangelio spettacolare, l’Ultramerica che divora se stessa e il mondo), Dean Martin esegue alla perfezione lo spartito destinato al messia laico. Le sue stazioni hanno nomi leggendari: con Jerry Lewis per un decennio (dal ’46 al ’56, raggiungendo apici mai visti di popolarità televisiva con The Colgate Comedy Hour: diciamo un po’ più del nostro Carosello…), con Marlon Brando ne I giovani leoni, con John Wayne in Un dollaro d’onore, quando già esorbitava oltre l’America il suo successo canoro That’s amore!. E poi il già citato Rat Pack. Fino all’inizio del libro di Tosches: la decadenza dei Settanta.
La faccia oscura del dorato mondo del successo iperspettacolare: mafia, crimine, un temperamento cirrotico che lo conduce a farsi ghiaccioli di whiskey, figa à go go (tre mogli, per non parlare delle assenti dalla scena ufficiale), amicizie pericolose che vanno da Mickey Cohen a Sam Giancana. E trent’anni di America, soprattutto, vissuta nell’accecante mirino delle lampade da palcoscenico, dei flash da paparazzi, delle insegne al neon incandescente in tutti i locali di Las Vegas: un uomo spezzettato in fotoni, lanciati in fasci numinosi nell’etere, riaggregati dai tubi catodici degli Stati Uniti dello Spettacolo. E la terra sotto i piedi, l’aria intorno a lui, che cambia – cambia irreversibilmente.
Per restare al secco commento di Tosches a proposito di una svolta epocale, quella di fine Sessanta:
“Il mondo dello spettacolo usa e getta puzzava ora di incenso ed essenze indiane. C’era ora tutta una nuova schiera di stronzi psichedelici in circolazione. Le pubblicità di Billboard si spingevano ai confini della presa per il culo:
In esclusiva per la World Pacific Records
il maestro spirituale dei Beatles
parla al mondo a proposito dell’amore
e del potere inarrestabile che si cela in esso.
Nel marzo 1968, tre album della Reprise vennero premiati col disco d’oro, il che significava che avevano superato il milione di copie vendute. Uno di essi era il primo disco di Jimi Hendrix. Gli altri due erano di Dean.
Elvis era ancora in circolazione, da qualche parte…”.
La decadenza di Dean Martin è il momento abituale dei corvi, delle iene: ci si nutre di carne morta. Nick Tosches, da autentico romanziere, non si tira affatto indietro: partecipa all’orrido banchetto. Raramente mi è capitato di leggere, negli ultimi tempi, pagine di simile impressionante patetismo, di esasperata empietà verso se stessi e verso il mondo. Cupi turbini muove la comare secca – così l’italoamericano Dean Martin chiamava la morte:
“Era lei. Lui riconobbe la sua voce. Gli ritornò in mente il calore del paradiso tra le gambe di lei, il dolce calore dorato di quell’estate. June Allyson. Era sua la voce alla radio. Faceva pubblicità a una marca di pannolini per anziani. Già. Pannolini per anziani. Era questo che erano diventati: anziani. Da qui all’eternità, mucchietti d’ossa tenuti insieme da pelle incartapecorita pronti per le mutande aderenti Depend. Fu la risata più bella che si fece quell’anno.”
Una delle più prodigiose macchine tragiche allestite dall’Era dello Spettacolo, Dean Martin trova la perfezione della memoria grazie al talento e all’acribia visionaria di Nick Tosches. La perfezione della memoria è la trasfigurazione. Questo memorabile romanzo epico è la vita di un santo medievale corretta e ribaltata dalle ombre più fetide dell’intero Novecento: una trasfigurazione, appunto. Leggenda aurea che ha la sua icona, il suo corpo eroico e, infine, la sua reliquia. Un canto al tempo che ricorda le gesta della grande poesia orale. Nick Tosches ha scritto un grande libro, Dean Martin è scolpito per sempre nel mito della letteratura.