di Vittorio Benzi e Domenico Gallo

Guarda il cielo è un fumetto realizzato da Matteo Fortuna e Simona Binni, e pubblicato da Tunuè. Il 26 aprile del 1945 a Lonigo, in provincia di Vicenza, il nonno di Matteo Fortuna, Giuseppe Fortuna, viene fucilato da un gruppo di tedeschi in fuga. L’Atlante delle stragi nazifasciste lo censisce con queste parole: “Fortuna Giuseppe, fu Emilio e Nogara Assunta, coniugato con Silvagni Letizia, padre di due figli, nato a Lonigo, di anni 32, sfolato da Genova, partigiano.” Era un partigiano appartenente alla brigata Garibaldi Martiti di Grancona.

Giuseppe Fortuna è uno dei tanti tra partigiani e semplici cittadini falciata dalla rabbiosa ritirata tedesca e per mano dei fascisti, ormai in preda all’isteria e terrorizzati dal dover rendere conto delle loro azioni criminali. In realtà quasi nessuno pagò per quei delitti e per le stragi.

Il resoconto storico dell’episodio raccontato nel fumetto del nipote Matteo si trova, per esempio, nell’Atlante delle stragi nazifasciste.

Cominciamo con un testo tratto da Guarda il cielo, sono le ultime parole che Giuseppe Fortuna rivolge alla moglie: “Si dice sempre che l’unica cosa certa è la morte. Ma sai come la penso, che l’unica cosa certa è la vita. Fino a che viviamo, dobbiamo farlo nel modo giusto. Le azioni contano”.
E siccome le azioni contano, Matteo Fortuna, a un certo momento ha sentito il bisogno di compiere un’azione importante che era rimasta, forse a lungo, tra i suoi desideri. Qualcosa di intimo che riguarda la storia della sua famiglia. Vuoi dirci di che cosa si tratta e anche quando e perché hai sentito l’esigenza di raccontare questa storia?

Siete partiti da una parte importante del fumetto che riflette il mio modo di pensare. Spesso sono stato “accusato” di essere il classico uomo di poche parole e quindi, negli anni, mi sono sforzato di parlare un po’ di più con familiari, figli, amici; però continuo a pensare che le azioni e l’esempio siano quello che conta veramente. Quindi credo che la citazione che avete riportato mi rispecchi particolarmente, oltre al fatto che mi piacciono i detti popolari, come quello richiamato in questo testo.
Questa storia ce l’ho sempre avuta dentro. Mio nonno ha compiuto un’azione eroica che gli è costata la vita e, dal mio punto di vista, è stata una spinta per cercare di comportarmi in maniera coerente con il suo esempio. Della guerra, del fascismo e dell’antifascismo, per tanti anni non se ne è più parlato e, secondo me, era un bene; non se ne parlava più perché non si sentiva la necessità di farlo, perché certe conquiste erano date per assodate. Ultimamente purtroppo il fascismo è stato sdoganato e se ne parla come di un’idea politica normale; cosa che mi fa rabbrividire. Si suscitano reazioni simili al tifo da stadio, senza approfondire e, soprattutto, senza considerare che dietro a quelle idee ci sono stati tanti morti, che è quello che veramente conta.
Quindi ho pensato fosse il momento di mettere su carta questa storia, innanzitutto per la mia famiglia, poi anche per vedere se potesse interessare altre persone.
Abbiamo iniziato a lavorarci due anni fa con Simona Binni e, una volta finita, l’editore Tenué ha giustamente deciso di fare uscire il fumetto per il 25 Aprile. In questi due anni, invece di diminuire, problematiche e polemiche sul fascismo e l’antifascismo si sono ulteriormente accese. Questo per me non è un bene.
Il 25 Aprile era una festa gioiosa, festeggiata da tutti, mentre oggi è fonte di polemiche e scontro, perché è stata messa in discussione.

 Nello scrivere la tua storia avevi in mente un target di pubblico particolare, per esempio i ragazzi, e questo è in qualche modo in relazione alla scelta di fare un fumetto, anziché scrivere un romanzo? Com’è nata è nata questa idea?

Inizialmente non doveva essere un fumetto. Quando ho fatto le prime ricerche pensavo al classico romanzo, poi ho cominciato a pensare la storia come per immagini, quasi come un film. Per esempio, quando mio nonno cita all’inizio l’altro detto popolare, che in punto di morte ti passa tutta la vita davanti, io ho immaginato che mio nonno invece nei suoi occhi abbia visto il futuro. E per rappresentare questo vedevo una macchina da presa che faceva lo zoom sui suoi occhi e al loro interno scorrevano le immagini della sua famiglia dopo la sua morte. In quel momento ho capito che dovevo usare le immagini e siccome i soldi per fare un film non li avrei mai avuti, ho optato per il fumetto.
Ho la fortuna di avere un cugino che è del mestiere, Stefano Piccoli, in passato molto attivo come disegnatore, adesso più come organizzatore di eventi, come ARF, un importante festival del fumetto. Mi ha presentato Simona Binni, che inizialmente avrebbe dovuto occuparsi solo di adattare il soggetto al fumetto, poi però l’ho convinta a disegnare la parte di storia che riguarda il viaggio di mio padre negli anni ’70, senza i flashback; poi, piano piano, ne è rimasta sempre più coinvolta e alla fine ha disegnato sia la seconda parte, con gli avvenimenti del 1945, sia i flashback della prima parte. Alla fine ho convinto anche mio cugino a mettere le mani sui disegni, occupandosi in prima persona della postfazione a fumetti, che si affianca a quella classica testuale dello storico Carlo Greppi.

Sono contento di aver fatto un fumetto; penso che questa forma d’arte e di comunicazione meriti di essere valorizzata più ancora di quanto non lo sia già stata. Mi piace anche chiamarlo fumetto rispetto a graphic novel perché con i fumetti ci sono cresciuto.

Il target per cui ho pensato la storia è più adulto di quello dei ragazzi, diciamo “young adult”, poi quando ho cominciato a farlo girare nella cerchia di amici con figli più giovani ho notato che prendeva parecchio anche loro. Penso che possa essere letto a partire dai 10 anni, mi piacerebbe presentarlo nelle scuole; con Carlo Greppi abbiamo già programmato una presentazione al Salone del Libro di Torino in un evento dedicato agli studenti.

Tuo nonno ha sacrificato la propria giovane vita, per questo il tuo papà praticamente non lo ha neppure conosciuto. È stato difficile ricostruire la vicenda del nonno, dal punto di vista pratico ed emotivo? Quello che racconti è tutto vero o c’è qualcosa di immaginato?

La parte ambientata nel 1945 si basa su alcuni racconti familiari e, soprattutto, su due documenti storici che raccontano la liberazione di Lonigo, avvenuta il 26 e 27 aprile 1945. Mio nonno venne fucilato il 26 di aprile. Io e Simona siamo stati molto attenti a rispettare la vicenda storica il più fedelmente possibile, senza introdurre elementi di fantasia, anche per rispetto della memoria dei parenti ancora in vita di quelli che sono stati uccisi con mio nonno, di cui abbiamo riportato soltanto i nomi. Per questo motivo la parte dedicata allo scontro a fuoco, che avremmo potuto dettagliare e animare maggiormente, abbiamo preferito descriverla limitandoci ai tratti essenziali.

Invece la prima parte della storia, quella del viaggio di mio padre da Genova verso Lonigo, è immaginaria. Mi sono figurato mio padre che, nel 1975, nel trentesimo anniversario della Liberazione, tornasse al paese per commemorare suo padre e posare un fiore sotto la lapide che ricorda lui e gli altri che sono stati uccisi. Allora aveva più o meno la stessa età in cui era stato ucciso mio nonno, e si trovava in una analoga situazione famigliare, con due figli, io e mia sorella eravamo già nati, come lo erano lui e il fratello nel 1945.

Per descrivere quel viaggio abbiamo usato la tecnica del flashback, ma quei racconti sono veri. Due me li ha riportati mia nonna, uno mio zio, un altro proviene da altre persone. A parte quello del sogno di mio padre, un’idea di Simona chiaramente immaginata, sono tutti veri al cento per cento.

Anche il riferimento alla canzone si basa su una verità storica. Mio nonno materno mi cantava una canzoncina di Fred Buscaglione, allora ho immaginato che anche mio nonno paterno avesse fatto lo stesso con i suoi bambini. In quei tempi era in voga Maramao perché sei morto? di Mario Panzeri, che fu sospettata, e a ragione, di essere una presa in giro del potere fascista, in riferimento alla morte di Costanzo Ciano, consuocero di Mussolini.

La collaborazione con la disegnatrice Simona Binni ci sembra abbia raggiunto un notevole equilibrio tra testi, disegni e colori. Comunica positività e serenità, pur nella tragicità della situazione. Com’è stato esordire come soggettista e sceneggiatore di un fumetto? Qual è stato il tuo rapporto con Simona e come vi siete organizzati tra voi? 

Io e Simona lavoravamo via WhatsApp, ci scambiavamo messaggi per ricostruire tutti i dettagli in modo più veritiero possibile. Per partire le ho dato le fotografie di famiglia. Mio padre e mio nonno si somigliavano e lei ha creato dei volti così veritieri che ormai il volto che ricordo di mio padre è stato quasi sostituito da quello che ha disegnato lei. Poi ha fatto un lavoro di ricerca sugli abiti e su molti altri dettagli. Per esempio, il colore e la maniglia interna del Maggiolone su cui viaggia mio papà nel fumetto corrispondono proprio a quelli dell’auto che aveva.

Questo lavoro meticoloso di Simona ha portato molto realismo in ogni tavola.
Nella postfazione illustrata, mio cugino Stefano Piccoli ha usato le foto che gli avevo mandato per creare visivamente l’effetto dello sguardo sul futuro di mio nonno. Non potendole inserire nell’occhio, come avevo immaginato di fare con lo zoom di una cinepresa, le ha fatte fluire visivamente dal grammofono che suona.

Ci sono stati fumetti, film o narrativa che hanno influenzato la tua scrittura?

Nessuna in particolare, anche se certamente l’insieme delle tante letture che ho fatto hanno determinato qualche scelta. Il flashback è usuale quando si ricostruiscono storie del passato, così come quella dei giovani che vanno alla ricerca di chi ha vissuto determinati eventi per farseli raccontare. Paco Roca ha utilizzato entrambe le tecniche ne I solchi del destino, ambientato tra il presente e gli anni della guerra civile spagnola. C’è stato un momento in cui la Tenué pensava di commissionare la copertina a Paco Roca, ma quella disegnata da Simona era talmente bella e significativa che poi non se ne è fatto nulla. Se ci fate caso la posizione di mio nonno in copertina che guarda il cielo sognante è la stessa usata nel disegno che ritrae quando viene ucciso. Poi c’è il gioco di ombre generato dalla luce che filtra tra i rami e le foglie, il particolare delle scarpe tolte che fanno capire che lui camminava scalzo sull’erba. Tutti elementi che contribuiscono a definire il personaggio e denotano una grande sensibilità.

Nel testo e nei disegni ci sono diversi passaggi molto molto incisivi. Uno su tutti, l’incipit: “Dicono che quando stai per morire, in un istante ti passa tutta la vita davanti agli occhi… Bé… A me non è successo. Perché io ho visto il futuro”.  Un motivo che ritorna nel titolo Guarda il cielo e nei riquadri del finale. A noi sembra rappresenti l’essenza della rivolta di quella generazione, attraverso scelte etiche e coraggiose in cui le persone si sono sacrificate per gli altri. Dalle migliaia di singole scelte personali di solidarietà e coraggio, alimentate dal desiderio di un futuro di libertà e giustizia, di fatto sono nate la Repubblica Italiana e la Costituzione. Da quello che hai potuto ricostruire della vicenda di tuo nonno, secondo te quanta consapevolezza c’era nella sua generazione che quello che stavano facendo era qualcosa di così importante? Pensi che avessero una reale coscienza politica?

Non lo so, io credo che la maggior parte dei partigiani fosse animata da un impeto più che dalla consapevolezza, che in qualcuno sicuramente c’era, ma in molti penso si sia sviluppata successivamente. Io penso che quando senti di essere nel giusto puoi compiere un gesto che influenza gli altri e questi a loro volta altri ancora. I gesti non sono mai isolati; ho letto che il 70% delle pallottole usate nelle fucilazioni contro i civili e gli antifascisti non andarono a segno. Non è facile essere “buoni”, ma forse nemmeno essere “cattivi”.

Nella storia mio nonno colpisce con un pugno un ufficiale nazista, lo fanno prigioniero, insieme ad altri, ma non infieriscono su di lui e lo liberano; ed è proprio quello stesso nazista che finirà poi per catturarlo e per fucilarlo. Oggi, probabilmente, i ragazzi questo gesto non lo capirebbero, penserebbero che mio nonno, se lo avesse ammazzato, sarebbe sopravvissuto; lo giudicherebbero un ingenuo.
Ma i fatti si devono approfondire e serve spiegarli bene. Non infierendo sui vinti la cosa gli si è ritorta contro, ma lui è rimasto fedele al suo ideale di giustizia e di non violenza, e questo era per lui il messaggio più importante da tramandare. Dobbiamo aiutare i giovani a capire, a contestualizzare, anche per interpretare quello che succede oggi, come la tragedia in Palestina. Parlando di consapevolezza, questo è il tipo di consapevolezza che i giovani devono costruire e penso che le immagini di un fumetto possano essere utili.

Durante la guerra, a parte una componente di antifascisti che appartenevano ai partiti clandestini, si è unita la gente che non ne voleva più sapere della guerra e del Regime. Oltre ai partigiani che combattevano, esisteva un antifascismo diffuso costituito da atteggiamenti di rifiuto, di non collaborazione con il fascismo, che aiutava i partigiani e che praticava forme diffuse di disobbedienza. Atteggiamenti e piccole azioni che, progressivamente, iniziarono a essere praticate collettivamente e a livello di massa. La Resistenza è stata anche questo. Il libro di Claudio Pavone, Una guerra civile, parla di questo clima diffuso di antifascismo. Un sentimento di odio nei loro confronti che i fascisti sentivano, e forse per questo hanno compiuto violenze e stragi inutili durante la ritirata, tante soprattutto in Veneto, come nella storia di tuo nonno.

Carlo Greppi la chiama “ritirata aggressiva”. Da quello che ho potuto ricostruire, in quelle zone del Veneto non c’era stata un grande organizzazione, è stato un moto spontaneo.

Possiamo chiamare memoria la ricostruzione e la divulgazione delle singole vicende degli antifascisti. Ci sono moltissime pubblicazioni in Italia di piccoli editori o autofinanziate dalle associazioni o dalle famiglie. Migliaia di singole biografie che, dopo 80 anni, rischiano di scomparire per fare largo a una storia ufficiale spesso ambigua e opportunistica. Come pensi che questa memoria frammentata e diffusa, di cui Guarda il cielo da oggi fa parte, possa comporsi e diventare la storia della Resistenza italiana?

Intanto io penso sempre che il pluralismo delle informazioni sia indispensabile, non è così esatto che la storia la fa chi vince, diciamo che la scrive chi vince. Quindi è importante che restino le memorie scritte, non standardizzate. Greppi fa proprio quello di cui avete chiesto; in un suo libro parla dalle piccole storie singole che, raccolte insieme, fanno la Storia, e questo concetto lo cita anche nella postfazione. La postfazione è molto bella, si capisce che è sentita e immagino che il fumetto gli sia piaciuto, con la sua autorevolezza ci ha dato una consacrazione. Greppi è uno storico importante con posizioni che oggi vengono definite coraggiose, perché, tornando a quello che dicevamo all’inizio, oggi per affrontare certe tematiche occorre essere coraggiosi. Solo vent’anni fa non era così…


Oggi c’è la tendenza da parte della storiografia fascista di prendere singoli episodi decontestualizzati, privi di analisi numeriche, e di farne il paradigma di tutto un periodo, di un evento grande come la Resistenza e l’antifascismo. Al contrario l’episodio che vide protagonista tuo nonno non fu un caso “strano”; episodi analoghi ce ne furono tantissimi, sia di persone prese per la strada e torturate o uccise, come la ragazza con la bicicletta di Guarda il cielo, sia di gesti di coraggio come quello di tuo nonno. Recuperarne e preservarne la memoria è importantissimo.

I miei figli non sapevano niente della storia del loro bisnonno, io stesso non ne parlai mai con mio padre e con mio zio. Ma forse si tende a parlare con i nipoti più che con i figli.

Non so se hai letto la storia a fumetti di Paco Roca L’abisso dell’oblio, pubblicato in Italia da Tunuè, che racconta la vicenda delle fosse comuni in cui finirono gli antifascisti in Spagna. Il fumetto racconta una storia familiare e la ricerca dei corpi da identificare, usando l’analisi genetica, per restituirli alle famiglie. In Spagna è un progetto finanziato dallo Stato nell’ambito della Legge della Memoria. Credi che anche in Italia, come è stato il caso di tuo nonno, si debba procedere al recupero dei corpi e alla loro identificazione?

Credo che in Italia non succederà mai. Mio nonno stesso è stato sepolto in una fossa comune. Ho letto anch’io il libro di Paco Roca, molto recentemente. In Spagna c’è una sensibilità maggiore e una cultura cristiana un po’ più viva. Per me non è un grande problema che non ci sia la tomba di mio nonno, va bene anche la lapide che è stata posta a Lonigo, e quella di Villa Scassi a Genova, nel quartiere di Sampierdarena. Per mia nonna invece fu una cosa drammatica non sapere dove andare a pregare. Paco racconta molto bene questo sentimento degli anziani che indirizzano le ricerche, perché hanno ancora la memoria di quello che avvenne. Da noi non credo che succederà.

Abbiamo cominciato parlando di azioni che contano, ci avviamo a concludere e vorremmo tornare su questo punto. Tu hai lanciato un laboratorio veramente unico, CDM LAB, Il laboratorio delle ‘azioni buone’. Progetti concreti per un futuro migliore. Vuoi parlarcene?

Io mi occupo di shipping, la mia agenzia marittima si chiama CDM, che è l’acronimo di Crêuza de mä, la canzone di Fabrizio De André. Poi ho una squadra di calcio a cinque, CDM Futsal, anche quella una soddisfazione. Però la mia formazione è di altra natura, sono laureato in lettere a indirizzo storico medievale. Così in quest’ultimo periodo ho voluto dar sfogo un po’ anche al mio lato umanistico e umano e abbiamo fondato il CDM LAB, dove in realtà LAB sta per Le Azione Buone, non per laboratorio. Cerchiamo di proporre aspetti positivi della vita, un’informazione un po’ più “lenta”, gentilezza nel modo di porsi, ottimismo, uno sguardo su ciò che si può fare per migliorare quello che ci sta intorno. Abbiamo tanti progetti, il più importante è il nostro podcast L’ottimista cosmico, dove abbiamo avuto tanti ospiti, tra cui Vinicio Capossela. Mi fa piacere ricordare lui in particolare, sia perché ha letto il fumetto e mi ha lasciato un messaggio bellissimo che tengo per me, sia perché la sua canzone Staffette in bicicletta, mi piace pensare che parli anche della ragazza in bicicletta catturata dai nazisti nella mia storia. Che Maria fosse effettivamente una staffetta partigiana non lo sappiamo con certezza e quindi nel fumetto non lo diciamo, ma la canzone di Vinicio mi ha suggerito questa suggestione.
Sempre con il CDM LAB ogni lunedì facciamo il TG delle belle notizie. Ci occupiamo anche di cortometraggi: siamo coproduttori di un cortometraggio su Sandro Pertini, che uscirà a breve, e stiamo ultimando le riprese un altro cortometraggio su un episodio del giovane Don Andrea Gallo durante la Resistenza, scritto da me ed Edoardo Fantini, con la partecipazione di Bruno Morchio. S’intitola Il giovane Gallo.
CDM LAB è coproduttore anche del fumetto e i diritti d’autore andranno a finanziare un progetto che sponsorizziamo per la piantumazione di alberi nel centro storico di Genova. Perché si parla tanto di “green” e non c’è niente di più verde degli alberi.

Quando si scrive una storia resta tua fino al momento in cui la pubblichi, poi diventa patrimonio collettivo, a maggior ragione se intorno a un tema così importante, forse mai quanto oggi attuale, come la Resistenza.  Come ti senti rispetto a questo e quali sono le tue aspettative? Ti senti appagato per aver compiuto qualcosa che desideravi scrivere oppure questo è un punto di partenza?

Sto scrivendo una storia nuova, legata più alla mia professione nello shipping e ai miei viaggi. Poi c’è un’altra storia che spero di realizzare di nuovo con Simona. Ci sarà un seguito, l’idea è di continuare a proporre una visione positiva sul futuro.

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