di Giovanni Iozzoli

Luca Persico, Vocazione rivoluzionaria. ’O Zulù. L’autobiografia mai autorizzata di Luca Persico, Il Castello Editore, Milano 2025, pp. 270, € 19,00

Diffidare della memorialistica di movimento – in particolare di quello scivolosissimo genere che è l’autobiografia – è sempre cosa buona e giusta. La maggior parte di tali lavori è appesantita da retoriche, reticenze, autoesaltazioni o pentimenti, tali da renderne discutibili gli esiti letterari. Per fortuna ogni tanto qualche eccezione c’è. E una di tali eccezioni ci sembra Vocazione rivoluzionaria di Luca Persico, in arte Zulù, storico front-man dei 99 Posse. Cos’è che rende questa autobiografia godibile e coerente? La radicale sincerità, la “resa incondizionata” davanti al lettore con il quale l’autore sceglie di giocare, per così dire, a carte scoperte.

“Ha scritto la storia di getto, a suo modo, senza abbellimenti né storpiature, senza inutili accanimenti né assoluzioni postume. Senza scorciatoie. Una necessaria eruzione di parole calda come la lava di quel Vesuvio che, da sempre, è straordinario maestro di precarietà per tutti i napoletani.” – scrive nell’introduzione Federico Traversa.

Luca Persico è stato molte cose nella sua vita, oltre che musicista. La sua traiettoria biografica ce lo ricorda: innanzitutto un militante tout court (passato giovanissimo dall’esperienza di Dp ai collettivi autonomi napoletani); una figura iconica, per un certo periodo, della scena musicale italiana; e un artista vero, nella capacità di creare, distruggere e ricreare di volta in volta il senso del proprio stare sul palco. A questo ci aggiungiamo una instancabile attitudine a viaggiare, conoscere, sradicarsi e ri-radicarsi in mondi diversi, sempre al ritmo della propria musica, senza sconti e compromessi.

Ricordo le notti passate a cercare la rima giusta davanti al camino e ricordo una riunione in cui rifiutammo l’offerta di un noto produttore napoletano: mezzo miliardo di lire per l’esclusiva del tour senza però date “politiche” e biglietto a prezzo imposto. Dicemmo no, senza esitazioni, all’unanimità, e poi piangemmo tutti insieme. (p.113)

È la storia di un gruppetto di ragazzi – e collaboratori di varia umanità – che si ritroveranno in pochi mesi a passare dalla più sbracata dimensione amatoriale, ad un successo travolgente e ad una celebrità mai inseguita, piovuta quasi per caso sulle loro esistenze. Nel 1992, l’anno di uscita del loro primo disco, misero insieme la bellezza di 120 concerti. Nel 1993 quasi 200! E tutto questo in una frenesia di eventi politici, culturali e sociali, incontrando migliaia di persone, intessendo amicizie e inimicizie perenni, vivendo in città e mondi differenti.

Questa ricchezza di vita viene squadernata pagina dopo pagina, senza verbosità ed eccessive concessioni all’ego. Il fatto che questa non sia una storia “dei maledetti 70” rende meno drammatica – ma non meno intensa – la vicenda umana e politica che racconta, permettendo un surplus di autoironia e malinconica svagatezza. Luca è un bambino degli anni ’70; respira fin dalla più tenera età le benefiche tensioni del decennio, ma si ritrova a vivere da giovane adulto nel pantano del riflusso, per il quale avverte una naturale estraneità. Questa tensione irrisolta tra passato, presente e futuro, ha fatto di lui lo spirito inquieto – e artisticamente fecondo – che il pubblico italiano ha apprezzato lungo l’arco di trent’anni.

Come musicista – e anima politica dei 99 Posse – Zulù non si è fatto mancare niente: Disco d’Oro col suo gruppo nel ’96, autore di colonne sonore e di una infinità di concerti organizzati in ogni luogo e in ogni modo, nello spazio di tre continenti. È stato tra i primi ad impattare con successo di pubblico la scena Rap e Hip Hop italiana, reinterpretandola però con leggerezza, spirito di dissacrazione e un surplus di polemica politico-ideologica. In questo raccoglieva la lezione di coloro che – vedi gli Onda Rossa Posse – erano arrivati poco prima di lui su quel fronte musicale ma coltivavano il genere con un senso di più rispettosa ortodossia. Per Luca e i 99, invece, il Rap era solo uno dei molti modi di comunicare amore e rabbia – e lo strumento si poteva maneggiare o modificare alla bisogna. Tutto molto napoletano.

Le foto con Arafat alla Moqada e l’evocazione del sub-comandante Marcos che dorme nella tenda a fianco alla sua nella Selva Lacadona, sono la riprova che non di un testimone effimero o occasionale si sta parlando. È la storia di una generazione arrivata alla politica per un’attitudine controcorrente e caparbia. Una stagione lunga che comincia negli anni ’80, con la rivendicazione orgogliosa di una identità sconfitta; e passa attraverso la Pantera, il ciclo dei centri sociali, le prime forme di autorganizzazione operaia, per approdare a Genova ed inaugurare – con un’altra sconfitta! – un nuovo indecifrabile secolo. E le canzoni dei 99 Posse hanno costituito a buon diritto la colonna sonora di questa corsa a perdifiato attraverso gli anni della globalizzazione e della “incredibile opposizione” che andava montando in Italia e nel mondo.

Sempre consapevole del suo background, Luca rivendica di essere stato prima di tutto un militante politico che a un certo punto della sua giovane storia, incontra la musica e decide di cavalcarla, accorgendosi che i linguaggi e gli strumenti della sua generazione politica non funzionano, essendo quasi tutti mutuati dall’eredità ingombrante del decennio precedente. È l’attivismo politico che evolve e dilaga nel discorso poetico e musicale: tutto parte da lì e lì deve tornare, nella storia tormentata dei 99. Questa testarda centralità della militanza, è l’elemento che tiene insieme i frammenti di una vita eccedente e incasinata: Luca è stato “militante” quando scriveva volantini per gli studenti, quando correva travisato in mezzo ai lacrimogeni, quando conobbe la prima volta il carcere, quando cominciò quasi per gioco a scrivere canzoni. E lo è stato, in qualche modo contorto e obliquo, anche nei periodi di “dissoluzione esistenziale”, quando le droghe prima e la depressione poi, parevano averlo strappato alla sua originale irriducibile “vocazione rivoluzionaria”. La militanza è il prisma che tiene insieme tutte queste vite e dà dignità ad ognuna di esse. Così come questo libro, che in poco meno di 300 pagine, riesce a contenere le diverse anime di questo strano artista napoletano, verace e camaleontico allo stesso tempo. O’ Zulù, trent’anni dopo il suo timido esordio in un capannone occupato della periferia orientale di Napoli (Officina Rettifica Motori, civico 99) ha ancora molto da dire, di sé e del mondo.

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