di Sandro Moiso

Roberto Brioschi, Smart Life. Un vademecum per scansarla e vivere felici a uso delle giovani generazioni ma non solo, a cura di Calusca City Lights con interventi di Andrea Fumagalli, Giovanni Giovannelli e Giorgio Sacchetti. Edizioni Colibrì, Milano 2025, pp. 174, 15 euro

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati (Bertolt Brecht)

James Ballard, in un’intervista rilasciata nel 1992, sosteneva che: «la tecnologia sta influenzando e cambiando la nostra immaginazione. Anche su un piano etico, mi sembra che la tecnologia, la tecnologia moderna, stia cambiando le basi morali delle nostre vite. Infatti la tecnologia, in particolare nella forma della televisione, ci permette di separare noi stessi dalla sfera dei nostri sentimenti.» Per poi continuare affermando: «In qualche modo, è difficile definire dove sia il confine tra sogno e realtà. Credo lo sia ancora di più nel nostro mondo moderno, dove l’ambiente esterno in cui tutti viviamo, ciò che siamo abituati a chiamare realtà, oggi è una fantasia creata dai mass media, dai film, dalla televisione, dalla pubblicità, dalla politica – che ormai non è altro che un ramo della pubblicità.»

E concludere, infine: «Certamente uno degli sviluppi che arriveranno molto presto è quella che viene chiamata realtà virtuale. Se le previsioni degli scienziati che stanno lavorando in California e in Giappone sui sistemi per la realtà virtuale sono vere, credo che non vi sia alcun dubbio che la realtà virtuale rappresenterà il più grande cambiamento nella storia dell’umanità. Per la prima volta gli esseri umani vivranno in un ambiente artificiale più convincente della cosiddetta realtà in cui abitiamo oggi. Una realtà artificiale dove saremo in grado di soddisfare qualsiasi fantasia, qualsiasi autoindulgenza, qualsiasi sogno, qualsiasi mito»1.

Certo, però, neanche un indagatore dell’inner space come Ballard avrebbe potuto immaginare il trasferimento della vita reale delle persone avvenuto, senza passare per visori e sensori particolari, all’interno del circuito dei social e di tutto quanto viene oggi ritenuto smart2. Un passaggio che ha permesso ai più di ritagliarsi spazi di vita immaginaria in cui perdere la propria fisicità e condizione reale per trasformarla in altro da sé, pur fingendo di rimanere tali. Una vita che è stata trasformata in altra o altro senza nemmeno passare dalla Second Life lanciata dalla Linden Lab nel 2003, un anno prima di Facebook, e che ha aperto le porte alla diffusione del Metaverso o Meta ideato e sviluppato da Mark Zuckerberg.

Richiamandosi al titolo di uno dei più celebri testi prodotti da Raoul Vaneigem, il Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations, nel lontano 1967 e adeguandolo al fatto che le giovani generazioni del tempo sono diventate il ma non solo di adesso, il saggio pubblicato da Colibrì e curato dalla Calusca City Lights si scaglia in un autentico attacco da “non fate prigionieri” contro le illusioni e le falsificazioni prodotte dall’utilizzo dei social, delle nuove tecnologie digitali e tutto quanto, attraverso le stesse, ha finito col definire il miserabile orizzonte di vite che si ritengono al passo coi tempi e, per l’appunto, “smart”.

Il volume si apre con una rapida disanima dei principali fattori culturali, politico/religiosi, economici e tecnologici che hanno condotto al Capitalocene come conseguenza dell’Antropocene, ovvero dalla convivenza umana con il mondo al tentativo di dominarlo in tutte le sue manifestazioni ambientali e naturali, seguito all’affermarsi del modo di produzione capitalistico.

L’acquisita capacità di alterare le caratteristiche, le condizioni biologiche e fisiche del Pianeta con tutte le specie viventi e i fossili, mette in grado di modificare non solo ogni darwiniana evoluzione ma anche il corso stesso della Storia: «La Natura non guida più la Terra. Noi lo facciamo. Ciò che accade è frutto della nostra scelta»3. Si deve quindi dominare il Pianeta attraverso la Tecnologia, presentata come espressione naturale della condizione umana; Tecnologia, la sola in grado di adeguare Gaia allo Sviluppo del Progresso dominando la Natura e le sue leggi: creandola e ricreandola nel Tempo a seconda delle necessità e degli effetti della produzione di merci. «il “dispotismo” capitalistico che assume la forma della razionalità tecnologica»4.
Ovviamente per “attività umane” vengono intese unicamente quelle foriere e portatrici del Progresso: la Proprietà Privata e il Profitto; i virus che sarà il Mercantilismo a diffondere, forgiando al contempo quell’Homo OEconomicus soggetto-modello monocolturale di ogni relazione, che deve
farsi, essere Economia.
Modello unico, globale, totalitario e totalizzante delle relazioni umane, darà origine al Capitalocene che, per affermarsi e divenire esso solo “la Storia”, usufruirà di quattro eventi rivoluzionari:
– A) la pubblicazione del Liber abaci (1202)
– B) la scoperta delle Americhe (1492)
– C) l’affissione delle 95 tesi di Lutero (1517)
– D) l’invenzione della macchina a vapore (1769)5.

Dalle conseguenze dello sviluppo dei quattro punti appena elencati, il saggio prende spunto per giungere fino all’attuale trasformazione della comunità umana in “comunità del capitale”; fatto ricollegabile soprattutto allo sviluppo di un’intelligenza artificiale che, in base a processi di calcolo sempre più rapidi e ad algoritmi sempre più raffinati e complessi, fornisce risposte senza la necessità di fornire una spiegazione pienamente comprensibile6.

L’Intelligenza Artificiale è figlia del potere capitalista che utilizza una tecnica onnipervasiva in grado di sostituire l’automatismo all’autonomia, il controllo per mezzo dei big data alle scelte dell’individuo. Un determinismo tecnologico ove sono la società e le persone a doversi modellare, adattare allo sviluppo tecnologico. È la società digitale data driven, omologata ai e dai prodotti della ai, che ripropone il mondo così com’è, il già pensato-detto-fatto (il data base): la Intelligenza Artificiale riproduce l’ordine costituito esistente. Non solo. Le tech companies proprietarie delle piattaforme e delle app di ai propongono un sistema organizzativo e valoriale, quindi una cultura, una pratica imprenditoriale e sociale sulla base di rapporti di potere, prevaricazione e sfruttamento: nell’economia digitale si demolisce la concorrenza (move fast and break things), la merce di successo è un killer, i siti internet sono registrati come domini (domains) e le ricerche in rete si chiamano esplorazioni (evocazione linguistica del colonialismo). La società digitale è in realtà una società macchinica7.

Ecco allora che le speranze riposte nella rete ai suoi esordi e nelle possibilità espresse dalla virtual reality si son trasformate non tanto nel loro contrario quanto, piuttosto nella loro stessa negazione. Marco Margnelli, neurofisiologo e psicoterapeuta presidente della «Società italiana per lo studio degli stati di coscienza», nel 1993, scriveva infatti:

Per molti lo sviluppo della tecnologia della cosiddetta realtà virtuale rappresenta la concreta realizzazione di alcune delle tensioni ideali e delle aspirazioni più vivaci di questo secolo. Il cosiddetto cyberspazio […] viene salutato come il più consistente e concreto passo in avanti verso la conoscenza del Sé che l’uomo abbia compiuto nel corso della sua storia.
[…] Progettare di riappropriarsi dell’intera coscienza significa acquistare autocoscienza della coscienza e cioè tentare, per l’ennesima volta, di conoscere noi stessi. […] La realtà virtuale sarà un software interclasse8.

Mentre a trent’anni di distanza il meccanismo di identificazione, si potrebbe dire, quasi extra-corporea messo in atto dai social network9 e dagli avatar con cui si identificano gli utenti anche quando utilizzano la loro vera identità anagrafica insieme alla massa di dati di ogni genere raccolti tra gli individui che frequentano la rete e gli stessi social, hanno fatto sì che gli stati individuali di coscienza si siano progressivamente alterati in direzione di quello che assomiglia sempre di più ad un annichilimento sia della coscienza individuale che collettiva. Attraverso l’uso di software che più che interclassisti, se non nella loro finalità di controllo automatico del gusto comune e del comune sentire, si vanno rivelando invece estremamente funzionali a un capitalismo che, guarda caso, si rivolge nelle sue forme più avanzate sempre più alla ricerca e allo sviluppo in ambito digitale.

Desiderio e passione, pensiero e sentimenti, corporeità e spirito, tutto ciò che è proprio dell’umano è messo in produzione dal Data computing; nella società delle piattaforme il Data computing esprime la strumentalizzazione e l’asservimento derivanti dall’organizzazione capitalista, che utilizza l’intera umanità come mezzo funzionale al fine ultimo della propria esistenza: il profitto.
Il Data computing è “Lavoro Implicito”, una forma produttiva del Lavoro reso digitale e gratuito, finalizzato alla riproduzione del Capitale-Cloud delle Società delle Piattaforme (Big Tech), capace di generare inedite procedure di governabilità e servitù volontaria. I lavoratori-utenti ci offrono lo spettacolo di una moltitudine di sfruttati felici (= dominio & consenso): dobbiamo aver ben chiaro che il Data computing è inserito a pieno titolo nello scontro sociale tra Capitale e Lavoro, e come tale dev’essere affrontato: il “Lavoro Implicito” è una componente della Economia Politica del Capitalismo.
La lotta degli invisibili deve investire la digitalizzazione del Mondo: laddove il Capitalismo si esprime nelle forme e nei contenuti più rappresentativi della globalità del Nuovo Mondo alieno che sta costruendo, pur conservando modi di sfruttamento assai novecenteschi, fordisti e colonia listi, di genere ove convenienti, utilizzando sia le guerre diffuse e permanenti per il controllo geopolitico delle risorse e dei mercati sia la crisi economica speculativa come strumento oppressivo della condizione proletaria.
[…] Opporsi, impedire la colonizzazione digitale della vita da parte del neurocapitalismo e della sorveglianza, del mercato e del profitto, comporta la consapevolezza individuale e collettiva che subiamo una seconda esistenza negli universi digitali delle app e delle piattaforme, nel Metaverso, dove il corpo è ri-composto dalle nuove protesi, la testa sta in un cloud, il cibo prodotto nelle vertical farm, è geneticamente modificato ma bio, le tecnologie riproduttive e la AI elidono le frontiere tra quanto è umano e quanto non lo è. È questa la condizione post-umana propugnata dal neo-umanesimo capitalista in un pianeta altro, alieno da Gaia. Senza rimpianti per un ’900 che ha esaurito un ciclo storico durato due secoli e che non è più ripetibile. What me worry?10.

Anche se il testo è supportato da numerose altre considerazioni sulle trasformazioni in atto nel pianeta e nelle “dipendenze umane”, è proprio questo appello a mettere metaforicamente mano alle colt dell’azione collettiva e cosciente contro un modo di produzione, autodefinentesi smart, sempre più totale e totalizzante, a caratterizzarlo e a renderlo quasi indispensabile per la biblioteca di chiunque voglia ancora considerarsi nemico e antagonista dell’esistente. Non tanto o solo delle sue forme politiche, ma delle caratteristiche profonde che ne definiscono la produzione e riproduzione della vita biologica, economica e sociale.


  1. J. Ballard, All That Matterede Was Sensation, intervista a cura di Sandro Moiso, Krisis Publishing, Brescia 2019, pp. 30-39.  

  2. Smart può essere tradotto come intelligente, sveglio, furbo, astuto, spiritoso, brillante, elegante o alla moda. Nel contesto della tecnologia, “smart” è spesso associato a dispositivi elettronici avanzati e connessi a Internet, come smartphone, smartwatch e smart TV.  

  3. An Ecomodernist Manifesto, sottoscritto da una ventina di accademici ed economisti di fama internazionale: www.ecomodernism.org  

  4. Raniero Panzieri, Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, «Quaderni rossi», n. 1, settembre 1961.  

  5. R. Brioschi, Smart Life. Un vademecum per scansarla e vivere felici a uso delle giovani generazioni ma non solo, a cura di Calusca City Lights. Edizioni Colibrì, Milano 2025, pp. 13-14.  

  6. Si veda in proposito quanto affermato da Gioacchino Toni qui.  

  7. R. Brioschi, op. cit., p. 51.  

  8. M. Margnelli, Realtà virtuale e autogestione della coscienza, in «Altrove» n. 1, dicembre 1993, Nautilus, Torino, pp. 93-95.  

  9. Per un’ulteriore riflessione in proposito, si consiglia la visione del convincente primo episodio della terza stagione della serie britannica “BlacK Mirror”, intitolato Caduta libera, diretto da Joe Wright e sceneggiato da Charlie Brooker, Michael Schur e Rashida Jones.  

  10. R. Brioschi, Smart Life, op. cit., pp. 54-55.