di Gioacchino Toni
Jorge Luis Marzo, Le veggenti. Immagini nell’era della predizione, Mimesis, Milano-Udine 2025, pp. 248, € 22,00
Guardando agli affreschi della Volta della Sistina, l’importanza assegnata da Michelangelo alle figure dei Profeti e delle Sibille risulta evidente sin dalle dimensioni loro assegnate. È noto come Michelangelo, convinto del ruolo assolutamente prioritario spettante tra le arti alla scultura “che si fa per forza di levare”, tendesse a pensare allo scultore come ad una sorta di veggente capace di cogliere, in anticipo rispetto ai comuni mortali, le tracce della perfezione divina contenute nella materia bruta tenuto dunque ad ingaggiare una faticosa lotta con la pietra volta a “sollevare il soverchio” al fine di liberare e dare a vedere la bellezza con cui si manifesta il divino.
Affrontando maldisposto l’enorme ciclo pittorico alla Sistina, vissuto come ripiego al poderoso monumento funebre di Giulio II a cui avrebbe voluto lavorare, Michelangelo sembrerebbe identificarsi, in quanto scultore, con quelle figure di veggenti, dotate del dono di vedere prima, appunto, quanto agli altri non è consentito.
L’immagine di copertina del volume Le veggenti di Jorge Luis Marzo propone una suggestiva rielaborazione del volto della Sibilla Delfica michelangiolesca ad opera di Nicolò Ciccarone che ha provveduto ad applicarvi il reticolo di punti di mappatura utilizzati per il riconoscimento facciale dalle moderne tecnologie di identificazione e sorveglianza. Un’immagine di per sé capace di offrire spunti di riflessione circa l’evoluzione delle immagini veggenti, della logica che le produce e di quella da queste determinata.
Se la Sibilla impressa sulla Volta della Sistina rimanda tanto al ruolo della veggenza nel mondo antico, quanto a quello proprio degli albori della modernità, il reticolo di punti tracciato su di essa rinvia al nuovo ruolo assunto dalle immagini veggenti nel momento in cui le macchine pensanti sembrano aver fatto proprio il linguaggio oracolare per interpretare e giudicare tutto ciò che sta loro attorno, esseri umani compresi.
L’immagine di copertina conduce efficacemente alla ricostruzione di Jorge Luis Marzo del «percorso che ha portato le macchine a fare proprio il linguaggio degli oracoli» in un’epoca in cui i computer stanno imparando a «vedere le immagini, vedere il mondo attraverso le immagini, scriverle, convertire in immagini tutto ciò che scrivono» inducendo gli umani a «interpretare il mondo quasi esclusivamente attraverso di esse» (p. 10). Le macchine si sono così fatte veggenti in quanto hanno già previsto quanto dovrebbe accadere; di fronte al loro preoccuparsi esclusivamente di capire, e indirizzare, un futuro prefigurato, all’essere umano non resterebbe che adattarsi.
Quando si guarda al mondo oracolare non si deve pensare al «semplice dominio di una superstizione primitiva», bensì ad «un complesso apparato sociologico ed epistemologico, un insieme di tecnologie coerenti di controllo e un sistema di pratiche sociali che rispecchia miti e immaginari» (p. 36). Ricostruito il mutare della logica predittiva dall’antichità legata al mito fino a piegarsi alle finalità tecno-scientifiche moderne, l’autore si focalizza su come l’intelligenza artificiale sia una tecnologia predittiva in quanto, attraverso il calcolo statistico, tenta di interpretare correttamente dati esterni senza basarsi su un modello predefinito per dedurre scenari futuri.
L’importanza assegnata alle immagini nell’ambito della logica predittiva contemporanea è esplicitata dalla desiderio di accumulare sempre più dati visivi di qualità e migliorare i modelli iconologici a cui si rifanno le macchine. Si pensi, ad esempio, a come i sistemi di guida autonoma necessitino di raccogliere ed elaborare sempre più dati visivi al fine di prevedere le più diverse casistiche, anticipare le circostanze eliminando così il più possibile l’incertezza.
L’autore mette in evidenza come l’ossessione dei produttori di smartphone di dotare i loro apparecchi di fotocamere di una risoluzione sempre più sostenuta abbia poco a che fare con i desideri fotografici degli utenti derivando piuttosto dalla volontà «di fornire all’intelligenza artificiale le migliori condizioni di lettura, in modo che possa riconoscere più facilmente oggetti e volti e quindi catalogarli con maggiore precisione» (p. 130).
Il livello sempre più elevato di risoluzione delle fotocamere di cui vengono dotati gli smartphone si sta ormai rivelando in grado di derivare dalle immagini scattate le impronte digitali, nel caso in cui siano inquadrate le dita, per la gioia degli appartati polizieschi come di chi intende sfruttarle al fine di falsificare l’identità o avere accesso ai dati sensibili altrui.
All’elevata risoluzione delle immagini ottenuta dagli smartphone si accompagnano, ovviamente, tutti i metadati del caso (modello di smartphone con tanto di specifico numero di serie, data ed ora in cui è stata scattata la fotografia, l’esatta collocazione geografica ecc.), consentendo così una precisa tracciatura dei movimenti ed indicizzazione delle immagini agli organi di polizia, ai social ed a chi è mosso da intenzioni criminali.
La previsione della macchina pensante si configura come il processo di riempimento delle informazioni mancanti: prese tutte le informazioni disponibili (dati), questa le utilizza per generare informazioni non presenti riferendosi alle regolarità derivate dall’esperienza. Il punto di forza dell’apprendimento automatico risiede proprio nella capacità di generalizzare. «Una regola è ciò che viene creato dall’analisi dei modelli e utilizzato per prevedere il futuro», dunque, sostiene Jorge Luis Marzo, «l’IA non porta direttamente all’intelligenza, ma a una componente critica dell’intelligenza: la previsione» (p. 16).
L’enorme disponibilità di dati potrebbe condurre la scienza in una nuova era in cui la causalità andrebbe a perdere il ruolo fondamentale che ha avuto negli ultimi secoli: la semplice correlazione dei dati potrebbe venire considerata sufficiente a spiegare il funzionamento del mondo. «Questa teoria porterebbe a una nuova rivoluzione scientifica che, oltre ai tre paradigmi già esistenti – sperimentale (guidato dai protocolli), teorico (governato dai modelli), computazionale (orientato al calcolo logico) –, ne rivelerebbe un quarto, che potremmo definire “correlativo”» (p. 17).
L’idea espressa, tra gli altri, dall’esperto di informatica Chris Anderson, caporedattore della rivista “Wired”, che con l’avvento dei Big Data si possano analizzare i dati senza necessità di ipotesi, induce a porsi alcuni importanti interrogativi.
Chiediamoci: è possibile una scienza puramente induttiva e predittiva, basata solo su presunte osservazioni oggettive e priva di qualsiasi teoria che prefiguri un “perché”? Possiamo arrivare a concepire e ad accettare che il risultato della semplice sintassi logica di dati incrociati non abbia bisogno di un particolare quadro interpretativo per essere approvato o rifiutato? È un modo di pensare che cerca di sposare surrettiziamente un positivismo radicale con le origini puramente augurali della Chiesa (p. 17).
L’intelligenza artificiale, nell’adottare una logica tutta sua, ad oggi a noi oscura, «designa il mondo attraverso le proprie immagini, frutto dei suoi calcoli», disseziona l’universo umano «attraverso un nuovo tipo di iconografia, tramite visioni che non ci riguardano» (p. 19).
Sono macchine la cui affidabilità si costruisce grazie alla veridicità matematica all’interno del discorso, che apparentemente rende superflui il nostro punto di vista e la nostra opinione. Man mano che il loro linguaggio diventa sempre più visivo, dobbiamo riconsiderare il vecchio problema del potenziale della visione meccanica per configurare sistemi di visione veritiera, o verovisione. Le immagini tecniche sono sempre state interpretate come verità che disincarnano ogni soggetto, come i raggi X, che cercano di separare il grano dalla pula e di esporre la realtà pura, quella invisibile e che, una volta mostrata, ammette poche repliche. Ma oggi le immagini intelligenti si propongono come e-videnze, come indicazioni affidabili non solo della realtà ma anche di quella che deve costituirsi come verità della realtà sotto il prisma di un occhio onniveggente, che crede di sapere tutto perché percepisce il successo accordatogli tra gli umani (pp. 19-20).
Oggi, sono le macchine veggenti, scrive Jorge Luis Marzo, «a ergersi ad arbitri delle contraddizioni, lasciandoci solo il ruolo di attuare abilmente le raccomandazioni che suggeriscono, se non addirittura impongono» (p. 20). La logica con cui l’IA elabora la sua spiegazione del mondo tende ad esclude l’essere umano proprio mentre lo analizza e lo prevede. Quali competenze assegnano all’essere umano queste nuove conoscenze intelligenti con le immagini escludenti l’umano a cui ricorrono per per comunicare tra loro?
Ogni cultura della predizione è inscritta in società che vivono in un’epoca altra. Quella di oggi è l’esperienza di un tempo che non è il presente, ma la proiezione di tutti i presenti in una catena di plusvalenze da ammortizzare istantaneamente nel casino dei mercati dei futures e degli investimenti rischiosi. […] Per la macchina, dedurre la logica dai dati rende sempre il futuro inerte, un déja-vu (pp. 2019-220).
Nel caso una macchina apprenda di aver sbagliato una previsione, tenderà a trasformare il passato in un errore. In un tale tipo di narrazione, la memoria è mero calcolo di schemi, privata di fantasie ed immaginari, di competenze politiche e storiche.
Ora è urgente pensare a come influenzare l’ostinata costruzione del mondo come storia datata, cosa fare con ciò che non viene calcolato ed elaborato, o con ciò che viene calcolato ed elaborato male. La costruzione dell’identità digitale si basa sul principio dell’autoesposizione. La registrazione continua e pubblica delle attività certifica l’identità, mentre la scarsità delle transazioni la penalizza. Questo riconduce, su scala inversa, al vecchio sogno degli scienziati di un secolo fa, che immaginavano di trasformare le proprietà della vita in dati, in una teoria del presente: si tratta di sapere quale vita c’è dietro ogni dato (p. 220).
Le veggenti di Jorge Luis Marzo è un libro che invita a domandarsi come ci si possa rapportare nei confronti di macchine pensanti che, appropriandosi del linguaggio oracolare per interpretare e giudicare il mondo, essere umano compreso, una volta previsto quanto dovrebbe accadere, indirizzano gli esseri umani verso un futuro prefigurato derivato dalla mera analisi statistica.