di Paolo Lago
Alessandro Bertante, E tutti danzarono, La nave di Teseo, Milano, 2025, pp. 151, euro 17,00.
Protagonista e io narrante di questo nuovo romanzo di Alessandro Bertante è Ivan Boscolo, un altro personaggio inserito in una dimensione picaresca, un nuovo cavaliere errante urbano, testimone di un’età votata allo sfacelo e alla distruzione. Allo stesso modo di altri personaggi messi in scena dall’autore nei suoi precedenti romanzi, Ivan compie degli spostamenti all’interno della città di Milano come un eroe epico sul campo di battaglia, come, appunto, un cavaliere che deve affrontare mille pericoli prima di giungere a destinazione. Nel descrivere le sue gesta, la scrittura di Bertante si impenna nella direzione di una solennità sintattica cadenzata dalle ripetizioni e dalle anafore, dalla forma elenco che sembra ricalcare i cataloghi degli eroi dell’epica classica, da una sapiente lentezza del periodo in cui brillano spesso termini aulici e ricercati. Pensiamo soltanto, ad esempio, al brano seguente in cui, cadenzato dalla ripetizione di «Abbandonatemi qui» che sembra riecheggiare il «lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata» di Natale di Giuseppe Ungaretti, appare un conflitto quasi epico tra il presente ed il passato, inevitabilmente rivestito di un’aura mitica:
Abbandonatemi qui, su questa sedia di plastica puzzolente, testimone di questo infuocato epilogo che non ricorderà nessuno. Abbandonatemi qui, cullato dai miei ricordi d’infanzia, nel mio quartiere tradito e sfigurato. Abbandonatemi qui, non cercatemi più, il poco tempo che mi rimane a disposizione non posso sprecarlo a cercare di giustificare ogni cosa insensata che succede nel mondo. Sono finiti i giorni del sangue, della gloria, dell’odio e di ogni desiderio assoluto, delle voraci moltitudini in marcia e dei sogni che non si avverano mai. Navi di acciaio a solcare gli oceani, cattedrali a sfiorare il cielo per sfidarne la potenza, areoplani ipersonici, viadotti giganteschi che coronano le montagne, città splendenti in mezzo al deserto, centinaia di migliaia di persone in piazza infatuati dal sogno della rivoluzione, eserciti corazzati, promesse di civilizzazione, vile brutalità coloniale, vigore sessuale, sopraffazione, ambizione, conoscenza, folle pretesa di avere tutto (p. 23).
D’altra parte, E tutti danzarono appare strettamente legato, in un rapporto di intertestualità, ad altri romanzi dell’autore: non rovineremo certo il piacere della scoperta in un lettore che non conosce Bertante, anzi aumenteremo la curiosità di quello che già conosce l’autore, a dire che Ivan Boscolo non è altri che il figlio di Alberto Boscolo, il protagonista di Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR (2022), uscito dalla lotta armata nell’autunno del 1973 e che non venne mai identificato. Ivan è un docente universitario di letteratura a Milano ed ha come collega un altro personaggio molto conosciuto dai lettori di Bertante: Alessio Slaviero. Ebbene, ritroviamo Alessio giovane come protagonista di Estate crudele (2016) e poco più anziano in Nina dei lupi (uscito nel 2011 per Marsilio, poi rieditato da nottetempo nel 2019 e da La Nave di Teseo nel 2023, da cui è stato tratto nel 2023 il film di Antonio Pisu). Anzi, le vicende narrate in E tutti danzarono precedono immediatamente quelle di Nina dei lupi.
In un giugno milanese caratterizzato da temperature altissime, in un’era (la nostra) di riscaldamento globale già connotata come distopica («Come era possibile che nessuno ammettesse, nemmeno le persone intelligenti e di buon senso, che la lotta politica al capitalismo, alla quale avevamo creduto più o meno sinceramente per decenni, si fosse trasformata nostro malgrado in una semplicissima quanto terribile urgenza ecologica e che il modello economico neoliberista ci avrebbe portato all’estinzione qualche secolo prima del previsto?», p. 25), segnata dalla crisi e dall’emergenza ecologica, il sindaco decide di organizzare e patrocinare una festa danzante nei parchi cittadini che richiama giovani da tutta Italia e da tutta Europa, alla quale partecipa anche Micol, la figlia adolescente di Ivan. In preda a una specie di trance, i giovani non riusciranno a smettere di ballare: di fronte a questo fenomeno di festa collettiva, divenuta forzata, il potere non trova niente di meglio che rispondere con la violenza, con cariche della polizia e dell’esercito come di fronte a un atto violento. La festa, perciò, incrina il meccanismo del potere, lo manda in tilt; d’altronde, si potrebbe anche osservare – come suggerisce l’io narrante Boscolo – che sia generata da un forte disagio dei giovani («una sorta di mania parossistica generata dalle paure e dalla fragilità emotiva di questi anni», p. 124), i «nostri figli» che «abbiamo lasciati soli» (p. 136). Di fronte ai cortei delle nuove Baccanti che invadono la città, il potere non trova di meglio che rispondere con il carcere e la violenza, come nella tragedia di Euripide.
Però, è bene osservare che quella narrata da Bertante si presenta come una «festa crudele», nell’accezione datale da Furio Jesi. Quando non è più possibile la vera festa, quando ormai il mito è inesorabilmente caduto e «tecnicizzato»1, si crea solo un simulacro di essa. Come afferma Boscolo, ciò che sta avvenendo in città ricorda «i culti misterici e orientali diffusi durante il crepuscolo dell’Impero Romano» ma ormai mancava «il mistero, il fascino dell’iniziazione, la volontà aristocratica della distinzione» (p. 32). Anche Slaviero, esperto di miti, pensa che la trance collettiva avvenuta nella contemporanea era tecnicizzata, emerga da «qualcosa di più antico» (p. 72), da un sostrato dionisiaco e pagano. L’intera narrazione di E tutti danzarono è pervasa dall’immagine del ritorno di un universo mitico e magico che è divenuto ormai incomprensibile («una psicosi irrazionale, governata da un linguaggio magico allegorico per noi incomprensibile da millenni, riemerso prepotente in questa estate crudele, sfidando ogni legge della logica», p. 112). Ciò che era autentico e genuino ritorna nella sua veste «tecnicizzata» portando con sé soltanto un’immagine di morte. La festa allora si trasforma in tragedia, in violenta mattanza ed è, come già accennato, una «festa crudele» («c’era sangue ovunque, ma non si sentiva un lamento», p. 127). Secondo Jesi, fra le feste crudeli raccontate dalla letteratura c’è il terremoto di Lisbona nell’evocazione di Voltaire, la peste di Milano e l’insurrezione della plebe in cui si ritrova Renzo nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni; potremmo aggiungere allora anche la trance e la mattanza narrate da Bertante. Come scrive Furio Jesi,
quando la festa non è più possibile, poiché non esistono più i presupposti sociali e culturali per un’esperienza della collettività che “nel più profondo” sia “più affine alla giocondità che alla malinconia”, la memoria della festa antica e perduta assume nel rimpianto uno spicco così netto da attrarre nell’ambito della “festa” in negativo, della forma in cavo, ogni esperienza che sia collettiva, dolorosa, e che in qualche misura corrisponda – appunto in negativo – alle caratteristiche della vera festa2.
Nella devastante «tecnicizzazione» che ha pervaso la nostra società, il mito non può che riemergere in una forma falsificata, come lo squallido simulacro di qualcosa che è ormai perduto. Il mondo descritto da Bertante è sull’orlo di un collasso e sta caracollando insieme alla sua ebbrezza tecnologica indotta dal benessere del capitale. Eppure, il protagonista Ivan Boscolo, come Alessio Slaviero e gli altri personaggi messi in scena dall’autore negli altri suoi romanzi, pure a un passo dall’inferno, nella disperata ricerca senza fine della figlia Micol, sembra non perdere mai la sua capacità mitopoietica, il suo sguardo incantatore ed ‘epicizzante’ sulla realtà. Uno sguardo che si concretizza adesso nella scrittura di E tutti danzarono che diviene essa stessa evocatrice di mondi perduti e incantatrice di questa nostra realtà in bilico sul disastro.