di Giorgio Bona

Meriel Buchanan, Pietrogrado città della rivolta, prefaz. di Hugh Walpole, trad. di Silvia Rotondo, pp. 160, € 18, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2024.

Pietrogrado città della rivolta è un memoriale scritto da Meriel Buchanan (1886-1959), figlia dell’ambasciatore inglese, Sir George Buchanan (1854-1924), che durante il suo lungo servizio opera in parecchie sedi anche non europee, tra cui la Russia (1910-1917) – ma poi anche l’Italia (1919-1921). Dopo un paio di non riuscitissime prove letterarie, la figlia offre in chiave non fiction i resoconti di un’epoca in una serie di opere ampie (tra il 1913 e il 1958) e di articoli pubblicati via via. E tra i memoriali figura il vivido resoconto Petrograd, the city of trouble, 1914-1918 (W. Collins, London 1918).

Durante gli anni della prima Guerra Mondiale, Meriel si trova dunque in Russia. Mentre la madre – Lady Georgina Meriel Bathurst (1863-1922) – si occupa dell’organizzazione di un ospedale, la figlia (dopo qualche trascorso frizzante nel bel mondo) vi s’impegna devotamente come infermiera; quanto al padre, rimarrà come ambasciatore anche dopo la caduta dei Romanov. La famiglia lascerà la Russia soltanto nel gennaio 1918.

È appunto nel periodo che va dal 1914 al 1918 che Meriel raccoglie una preziosa testimonianza sulla Rivoluzione, con dettagli e particolari storici di vivido interesse.

Nella presentazione il critico Hugh Walpole definisce di notevole rilievo questo testo che rende anche un nobile servizio alla Russia.

 

Una delle caratteristiche della Rivoluzione russa – forse di ogni rivoluzione – è che gli spettatori della sua metamorfosi considerano ogni sviluppo un punto culminante. Ripercorrendo gli avvenimenti russi del 1917, l’abdicazione dello Zar, la rivolta di Kornilov, il colpo di Stato bolscevico sono visti come momenti chiave successivi, ma nessuno di essi è considerato, per certi versi, un punto culminante finale; sebbene sia trascorso un anno e mezzo da quel meraviglioso giorno di marzo in cui i cosacchi si allinearono sulla Nevskij e rassicurarono la folla che premeva contro i loro cavalli che non avrebbero sparato contro i loro “fratelli”, la prospettiva non è ancora chiara e quel giorno è ancora troppo ravvicinato per le autorità e per la storia.

 

La memorialista ci porta così in un mondo provato dal caos della prima Guerra Mondiale e dai relativi impatti sull’impero dello Zar Nicola II. E non si limita a raccontare i grandi eventi, in fondo presenti in ogni monografia, ma riferisce anche – e soprattutto – fatti del quotidiano quasi in diretta, che vedono protagonista la gente comune.

Vi troviamo dunque la vita di ogni giorno del periodo, osservata dall’autrice nello spostarsi da un luogo a un altro. Eccola così presente con altre donne portare aiuto negli ospedali infermieristici organizzati da sua madre, trovarsi con i soldati mandati al fronte come carne da macello, assisterli in corsia come vittime traumatizzate di danni fisici e psicologici.

Buchanan ci accompagna come tenendoci per mano attraverso le tensioni legate al conflitto e fino a quella rivolta – poi rivoluzione – destinata a mutare per sempre la storia della Russia spazzando via la dinastia Romanov e la stessa istituzione imperiale.

Il risultato è una valida e vivace testimonianza su un paese colto nel fermento del suo mutare e con attenzione alla voce alla popolazione. Non mancano pagine storiche su eventi discussi: per esempio il capitolo dedicato all’ambiguo religioso Grigorij Rasputin e al suo assassinio nel 1916.

 

La maledizione di un male impalpabile gravava sulla città; l’assassinio di Rasputin la notte del 20 dicembre, invece di dissolvere quell’ombra, sembrò piuttosto intensificarla, alimentando il clima di tensione e di suspense che aleggiava ovunque.

Tra le tante storie circolate su quell’omicidio, è quasi impossibile sapere quale sia quella vera. Anche i fatti, descritti da un testimone oculare, non spiegano tutto, e si suppone ci sia mezz’ora mancante tra l’effettivo sparo dell’ultimo colpo e la rimozione finale del corpo, cosa che poi non è stata mai giustificata in nessuna delle narrazioni.

 

Dell’omicidio in realtà è stato ormai ricostruito l’ordine degli eventi, ma per la testimone del tempo la fosca vicenda resta ovviamente poco decifrabile e circonfusa da un alone di mistero.

Un racconto insomma, questo di Meriel Buchanan, che va oltre il diario storico-cronachistico, basandosi su riferimenti precisi e una fotografia puntuale di quel periodo, sia pure da un punto di vista individuale che lascia trapelare un’intensa emozione.

Dove la testimonianza restituisce comunque qualcosa dello spirito russo della svolta, con il popolo in primo piano teso nelle speranze di un riconoscimento di diritti che è sulla bocca di tutti durante la Rivoluzione.

 

Era Pietrogrado, la capitale della Russia, che odiavo salutare: eppure non era solo quello: era l’intero e immenso paese che non avevo mai visto, un Paese di vasti territori e di meravigliose solitudini; era il palazzo fiabesco palazzo del Cremlino, con le mura rosate, le chiese fioche e ombrose, le cupole e le guglie dorate e argentate; era la candida purezza della neve incontaminata in quelle meravigliose foreste di pini; era il fascino indescrivibile e impercettibile delle lunghe serate estive; era l’indimenticabile blu del mare alle spalle di Balaklava; erano le canzoni intonate dagli zingari intorno ai falò nelle foreste, e quelle dei soldati che marciavano sui lunghi rettilinei. E non era solo questo: era l’anima delle persone che avevo imparato da amare, anche se non le capivo ancora; erano i soldati a cui avevo fatto da infermiera durante i primi anni di guerra e che min avevano aperto gli occhi su aspetti del tutto nuovi, grandi o infantili che fossero, eppure straordinariamente grandiosi nella loro semplicità. Li avevo visti soffrire senza lamentarsi o fare domande, e li avevo visti morire: mi avevano insegnato qualcosa che non potevo dimenticare.

 

Come dice l’autrice per chiudere il libro: “la Russia non ti permetterà mai di dimenticarla”, perché i suoi occhi sfoggiano un sorriso tormentato e le mani si tendono a chiedere aiuto nel momento del bisogno.