di Nico Maccentelli

È il titolo più appropriato per la prossima kermesse europeista dem, se dopo Michele Serra a Roma, fosse Roberto Vecchioni a organizzare a Milano un raduno guerrafondaio di pacifinti, con tutte le corbellerie tutt’altro che “di sinistra” che ha detto dal palco di piazza del Popolo. Ed è dai tempi di piazza Venezia nel 1941 che non si vedeva un’adunata di questo tipo e per un antico scopo che torna in auge su scala continentale.

L’unica differenza è che gli adunanti di allora non erano dei beoti in totale confusione come oggi, e, come i loro capi di allora, Benito in testa, sapevano benissimo che era l’ora di spezzare le reni alla Grecia. Reni, che se ben ricordo, le spezzarono Draghi e gli euroburocrati nel 2015 con una guerra economica nel nome dell'”Europa” che non faceva prigionieri. Era già da allora che si potevano capire gli interessi dominanti e i veri obiettivi delle misure draconiane europeiste che avrebbero potuto colpire ogni paese dell’UE non in linea con i vincoli di bilancio e con le regole tutte improntate a favorire il mercato sopra ogni diritto sociale.

Interessi e obiettivi che sono anche di oggi, e che oggi come allora vengono perseguiti a prescindere da ogni altra questione, di emergenza in emergenza creata ad arte, travalicando anche i patti sociali su cui si sono rette le democrazie liberali novecentesche e avviando l’era dell’autoritarismo liberista euro-autocratico. Ma la massa per lo più vetusta a piazza del Popolo che si è lasciata trasportare dalla retorica marinettiana degli Scurati, dal suprematismo filosofico-letterario dei Vecchioni, dalla pletora di starlette tra Piff, Littizzetto e Jovannotti, con vecchi saggi alla Augias  locomotive gucciniane lanciate contro la giustizia e la pace, una massa da gnocco fritto alle feste de l’Unità trasportata da pullman dell’associazionismo piddino tra CGIL, ANPI, COOP, ecc., ovviamente come “Alice tutto questo non lo sa”. Chi è andato alla kermesse promossa dal produttore di armi che possiede La Repubblica c’è andato credendo di essere alla solita sfilata buonista e c’ha capito punto nulla, fidandosi dei soliti volti televisivi. E invece…

No, non “sono solo canzonette”: c’è il nemico e c’è la guerra. Per questo i marchettari artistici e intellettuali del PD e affini sono andati al raduno nazionale del partito come cantava Bennato, hanno risposto alla chiamata: sono la prima linea dei battaglioni atlantisti che hanno il compito di guastatori delle menti già assuefatte dal politically correct. Ossia: imbonire il popolino di sinistra per far passare gli 800 miliardi di lacrime e sangue che subiranno a breve i popoli europei con Rearm Europe. Tagli assassini alla spesa sociale, una gigantesca messa a profitto bellica tra risparmi a capitali di rischio,  ETF dei fondi speculativi, facendo degli europei carne da macello che, se non va in trincea è parco buoi del risparmio gestito, massa precaria assolutamente flessibile, in un’emergenza funzionale a imporre ancora una volta il TINA (There Is Not Alternative). Una democrazia del facciamo quello che ci pare.

Ma gli intellettuali non avevano la funzione di critici del regime? A questi giullari presenti il 15 marzo in piazza del Popolo mancava solo lo sponsor Leonardo-Stellantis-Repubblica sulla maglietta. I nuovi repubblichini. Sì perché il fascismo oggidì non dobbiamo vederlo con l’orbace e il fez, ma comprendere che la sua funzione di strumento del capitalismo colonialista e imperialista che ha avuto nel secolo scorso, continua assolverla sotto altre vesti, in base alle condizioni storiche e sociali profondamente mutate.

Quando si parla di fascismo si deve guardare la funzione che ha un determinato fenomeno di regime riguardo alle classi sociali che rappresenta e agli obiettivi che serve. Occorre quindi interrogarci circa la funzione di questa casta ben pagata di rappresentanti di una sinistra da salotto che ha annusato l’aria, dopo averci rotto le palle per anni con una litania buonista, dove la violenza da condannare era sempre quella dei black block, degli autonomi, degli estremisti di turno. E quindi cambia musica.

Dove c’è guerra c’è fascismo. Dunque, nell’evolversi di una fase verso la guerra imperialista, in escalation, si pone il problema di rompere definitivamente con le sovranità dei parlamenti, si vanificano le Costituzioni nate dalle lotte di liberazione antifasciste, si condizionano fino a vanificarle le elezioni dei singoli paesi (Romania docet) (1). E cosa c’è di meglio che raffinare apparati mediatici con i loro influencer per oscurare il fascismo del terzo millennio e farci credere di vivere nella migliore delle democrazie liberali? L’operazione manipolatoria che ha nel 15 marzo un passaggio importante (non tanto per i numeri quanto per la risonanza mediatica) incomincia a essere piuttosto chiara.
I prodromi ideologici, del resto, c’erano tutti dentro la melma del politically correct. Bastava solo il momento giusto per farli emergere.

Prendiamo a esempio il solo discorso di Roberto Vecchioni, il più emblematico nell’adunata pacifinta del 15. È un capolavoro assoluto di suprematismo occidentalista. È la medesima dottrina del ventennio riportata ai tempi nostri. Ma i valori non cambiano: nel vantare una superiorità dell’Occidente sul resto del mondo sono sempre gli stessi. Che differenza c’è tra Vecchioni e Borrell? Giardino letterario e giardino economico: due false narrazoni (Kulturjam non gliele manda a dire…).
Solo alcune chicche, che danno l’idea del livello di degrado culturale e, diciamolo, di ignoranza di un ceto intellettuale di portatori d’acqua al capitalismo suprematista:

“Vi dico Socrate, Spinoza, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Cervantes, Pirandello, Leopardi, Manzoni: ma gli altri le hanno queste cose?”
(…)
“Nasce perfetta la destra, che ha il solo scopo di dominare e schiacciare. Siate convinti che non esiste corrispondenza tra pace e pacifismo. Non si può accettare qualsiasi pace. Pacifisti siamo noi perché teniamo alla nostra cultura. La cultura dovrebbe finire qui perché la cultura dovrebbe essere nostra e basta, anzi, è nostra
(…)
“Dobbiamo distinguere tra pace e pacifisti. Non si può accettare qualsiasi pace. I veri pacifisti siamo noi. Ai giovani dico, siete voi che dovete rimediare alle cazzate che abbiamo fatto noi…”

Peccato che la prima delle cazzate è l’essere stati complici di tutti crimini che l’Occidente collettivo ha compiuto contro i popoli, e l’aggressione guerrafondaia e golpista contro quei paesi che non hanno accettato di sottomettersi al Washington consensus e ai suoi famelici vassalli. Nel pensiero di Vecchioni c’è proprio la base filosofica e politica della sinistra dem, di quella parte di sinistra intellettuale che ha abdicato alla sua funzione storica di emancipazione internazionalista dei popoli e delle classi proletarie per approdare a quella di servizio per il dominio culturale, narrativo, semantico delle classi dominanti sulle masse. L’alter ego della sinistra dem che quando è al goveno infila come perline ogni desiderata neoliberista di Bruxelles.
Questi intellettuali non da oggi sono una parte importante della macchina del consenso sociale, molto più raffinata di quella in capo alle destre, berlusconiana e pecoreccia, a cui per affermarsi basta un po’ di demagogia populista e di tolleranza verso le sue propaggini apertamente forcaiole, vedi le operazioni salviniane sui migranti.

A ben guardare sono le due facce della stessa medaglia: due operazioni mediatiche per i due macro target nella società dello spettacolo. Entrambe con gli stessi fini egemonici e le medesime metodiche e pratiche manipolatorie. Cambiano i toni e le famiglie di valori condivisi in base ai gruppi sociali di riferimento. E lo scontro politico resta uno starnazzare nello stagno putrido della superficalità e dei luoghi comuni.

Con l’operazione allarmi siam serrapiattisti de La Repubblica, fatta a quanto pare con i soldi dei romani, questi intellettuali di sinistra sono andati oltre l’immaginabile: dopo decenni di macelleria sociale, e nonostante, sono stati capaci di disegnarci un’Europa inesistente quanto idilliaca: quella della giustizia sociale, della pace, dei diritti da difendere.
Ma come si fa a dire simili castronerie, quando tutto l’Occidente sostiene il sistematico genocidio e la pulizia etnica del Popolo Palestinese tra Gaza e la Cisgiordania? È un esempio che abbiamo oggi, in questo momento e non ad Auschwitz 80 anni fa, e che stride di brutto con questa narrazione più falsa di una banconota da undici euro, in una ignominia e responsabilità che ricade su tutti i ceti politici e culturali europeisti. Questa complicità con il genocidio, solo questa, vale tutto il resto delle scorrerie belliche fatte in giro per il mondo dai detentori della civiltà suprema e definite di volta in volta “missioni umanitarie” e di “peace keeping”.

La Piazza Venezia fucsia de noantri, trasferita a piazza del Popolo, l’adunata dello spezzeremo le reni ai putiniani, diviene un passaggio politico di un ceto di sinistra che che si candida a guidare il riarmo, che s’incazza con la Meloni e Salvini per la loro renitenza a bersi l’amaro calice della Von Der Leyen, ossia ad aprire le porte di Marte senza se e senza ma. Questa è la vera conditio sine qua non per il programma di governo dem e affini, dopo il jobs act e tutte le porcate che i governi di sinistra hanno imposto alle classi lavoratrici in nome di questa Europa. Se questa sinistra andasse al governo, la guerra sarebbe più vicina.

Non sono i numeri della piazza, nell’era delle smobilitazioni totali, a creare le premesse per una società di guerra e suprematista, bensì l’intera cultura politica di una sinistra che è completamente cambiata in peggio e che permea l’intera koinè sinistrata. Il salto della quaglia non c’è stato solo con la Bolognina, ma con tutto ciò ce ne è venuto poi, con l’assunzione totale della mentalità borghese che ha dominato gli ultimi secoli. Vedere Vecchioni sciorinare i “mostri sacri” della letteratura occidentale in funzione suprematista è chiudere il cerchio tra i nani e le ballerine, ossia le ballerine berlusconiane, di una narrazione consumistica esasperata e i nani di una visione élitaria, che mette al centro la civiltà occidentale. Questa è la sinistra oggi, la cultura politica del gruppo dirigente del PD e delle sue starlette che si sono radunate a piazza del Popolo e che stanno preparando non solo le politiche di guerra dopo la macelleria neoliberale dei Milton Friedman e la “fine della storia” dei Fukuyama (che vuole dire storia dell’Occidente che fagocita tutto), ma anche le sue basi culturali, dal “guerriero” (2) europeo di Scurati, strana invenzione, visto che in ben due guerre i “guerrieri” occidentali si sono macellati a vicenda, a corollario di un colonialismo predatorio e sanguinario sul mondo, alla supremazia culturale dell’Europa vantata da Vecchioni, che se avessimo un sistema scolastico realmente basata sull’uguaglianza e sulla nostra Costituzione, sarebbe stato bandito da tutti i licei.

Da un post di Ottolina TV

È questa loro narrazione autorevole a essere il vero volano militarista per le masse di oggi, testimonial dei progetti euro-nazionalisti spacciati per oggettiva necessità di una comunità falsamente ecumenica e tollerante. Non c’è bisogno ancora di dire guerra: c’è il mito metapoietico di Ventotene sbandierato come santino liberale.
Il vero scopo dei nuovi suprematisti fucsia che stanno dietro i nani e le ballerine, è il riarmo, questo grande business degli oligarchi imperialisti del deep state USA trombato alle presidenziali: gruppi di potere asserragliati a Bruxelles, nella roccaforte dei vassalli, in uno scontro tra frazioni imperialiste (3).

E per questo battono sul fascismo retrò, predappiano quale spauracchio, riducono tutto al melonismo governativo, al salvinismo rozzo, al trumpismo nella nuova veste di un capitalismo populista. Che poi Trump, che certo fascista e genocidario esattamente come i suoi avversari lo è, stia arrivando a evitare che migliaia di ucraini e russi si sparino tra di loro, nella retorica bellicista dem è un dettaglio trascurabile. Da mettere sotto il tappeto, non sia mai. Diviene una bestemmia solo sussurrare la parola tregua che nasce dall’incontro al vertice Trump-Putin. E così da putiniano a trumpiano è un attimo, nella semantica demonizzante fatta apposta per espungere ogni afflato analitico dal fanatismo politically correct.

Vogliono che prendiamo parte con entusiamo all’avventura imperialista, fatta di baggianate come quella dell’invasione, con lo scopo allontanare quell’autonomia politica di classe necessaria a fronteggiare gli uni e gli altri, per intervenire nelle contraddizioni interne al nemico di sempre. Per comprendere dietro la loro retorica neo-d’annunziana come stiano realmente le cose.

Ma questa autonomia non è semplice da conseguire anche vi fosse un livello di antagonismo sociale all’altezza dell’attacco capitalista. Perché il nemico, pur diviso, bisogna saperlo riconoscere per combatterlo con tutte le opportune armi culturali e non solo politiche. Saper rivolgersi contro la parte al momento più pericolosa perché ce l’abbiamo in casa, senza perdere la visione d’insieme e le prospettive della lotta, senza rinunciare a quel “que se vayan todos” dei cacerolazos argentini, che risponde al più italiano “che vadano tutti a casa”.

E oggi chi ci sta chiamando a una possibile guerra, USA o non USA, chi ci sta per imporre la macelleria sociale del riarmo è il nemico più prossimo e più pericoloso. Mi spiace per gli amanti dell’antifascismo, retrò, quello del vade retro orbace, ma se costoro fossero antimperialisti prima ancora di essere antifascisti, avrebbero qualche chanche in più per divenire soggetto politico e non ascari dei nostri diretti e reali dominanti. Comprenderebbero che oggi il vero fascismo prorompe con nuove modalità, riproponendo antiche visioni riattualizzate.
Capirebbero che quello che è andato in scena a Piazza del Popolo è ancora una volta il punto di vista autoritario di un campo che ripropone la superiorità suprematista che l’Occidente ha utilizzato ideologicamente per secoli per colonizzare e fare guerre nel mondo. È la base culturale dominante a cui tutta l’intellettualità destra o sinistra che sia si è allineata. Ma che la cosa fa ancora più schifo ed è ancora più pericolosa, perché straniante tra suprematismo e buonismo ecumenico.

Occorre porsi dunque ontro l’euro-nazionalismo suprematista e guerrafondaio, un nazionalismo, più vicino al fascistissimo “europa nazione”, non più italico ma europeista. E in questa sinistra che non c’entra più neppure con quel pompiere di Berlinguer, ci sono tutti questi ingredienti falso buonisti, che “accoglie” ma è superiore, vieni nel nostro giardino, te lo concedo, vieni a studiare Leopardi e le nostre democrazie. Non le vedi? Eh, ma noi siamo democratici a prescindere, basta la certificazione di indicazione geografica tipica, il bollino della commissione europea…

La vera lotta di chi ha ancora salda una prospettiva internazionalista è contro questo nazionalismo europeista che ci sta portando alla guerra imperialista e di civiltà parlandoci di un “Europa giusta, democratica, inclusiva, solidale”… è la nuova falsa narrazione borghese, lo stesso schema concettuale che ci indicò Marx e che cambia nelle condizioni sociali e culturali mutate, ma che ha le medesime funzioni classiste e predatorie. O da dove pensate che parta il chiudere corsi su Dostojevski all’università Bicocca di Milano, a ostracizzare gli artisti russi un po’ in tutta Italia? Non c’è solo la censura da Minculpop su tutto ciò che cerca di spiegare anche il punto di vista del “nemico” perché è il nemico punto e basta, e che la nuova emergenza preconfezionata impone, inventandosi rischi di invasione a cui solo degli imboniti e imborniti possono credere. C’è anche questo razzismo della superiorità della “nostra civiltà” che professori tanto democratici e politically correct, persino woke, insegnano ai ragazzi. Come bisogna accogliere Alì? far leggere Kant anche a lui, che tanto lo studiano anche in Ucraina i banderisti tatuati con svastiche…

Più che nera, direi allora peste fucsia. Un solco incolmabile con tutta la storia della sinistra, un’intellettualità asservita come lo fu nel ventennio, al completo servizio dei dominanti nel campo occidentale. E sarà meglio comprenderlo al più presto. Perché il rischio è che ai raduni della nuova piazza Venezia non ci vadano solo i… vecchioni raccattati davanti alle coop e dai sindacati concertativi, masse vetuste di belliciao caricati sui pullman, gli armiamoci e partite, ma anche le nuove generazioni che possono partire sul serio, da un campo che stanno rassodando sul piano dei valori individualistici associati orwellianamente agli snodi sociali di mobilitazione che servono al potere. Dallo spritz alla steppa, dalle adunate alla guerra sarebbe un passo possibile, se questa propaganda sfondasse.

Questa prima fase, è stata affrontata con un po’ di confusione. Del resto parlare apertamente di guerra è ancora un affacciarsi alla questione quasi con garbo. L’Italia ha la percentuale più bassa in Europa, di popolazione favorevole ad andare a combattere per Kiev: il 14% (sondaggio Gallup). Ma è certo che l’asticella di consenso da alzare è l’obiettivo di questo partito della guerra.

I nazional-europeisti non demordono: per il 6 aprile è prevista a Bologna “una piazza per l’Europa”. Il sindaco Lepore scalda i motori con tutto l’apparato di partito (4), nella città “più di sinistra d’Italia”, dopo aver represso i “putiniani”(5), ma anche a Firenze sono previste le bandiere UE. Un progetto euro-nazionalista che ha preso il via da Roma. Guastargli la festa no?

Contro l’Unione Europea, la NATO e la loro guerra, disertare in tutti isensi.

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NOTE

1) Emblematico il caso rumeno, delle elezioni invalidate dalla corte costituzionale, con scuse risibile, arrestato mentre andava a ripresentare la sua candidatura e poi escluso definitivamente. Il tutto nel silenzio di tutti media asserviti all’europeismo atlantista.

2) Le fanfaluche dette da Scurati su Repubblica nell’articolo dal titolo: “Dove sono ormai i guerrieri d’Europa?”, che arriva ad alludere alla necessità della guerra:”Dopo aver plasmato per secoli il continente sui campi di battaglia, tra le macerie dei due conflitti mondiali abbiamo costruito ottant’anni di pace, welfare, benessere. Non siamo disposti a tornare indietro. A meno che la nostra civiltà non sia a rischio.” Ci vuole proprio una bella faccia vedendo chi mette a rischio non la pace, che è illusione da sempre, ma la sopravvivenza stessa del genere umano.

3) Interessante il post su fb di Antonio Castronovi su quali siano i centri potere imperialista in lizza.

4) A tal proposito è piuttosto calzante il post su fb di Fausto Anderlini su questa kermesse felsinea imminente.

5) Ci si riferisce al caso di Villa Paradiso, una Casa di Quartiere che a Bologna è in via di chiusura per aver ospitato iniziative non gradite al Minculpop atlantista della junta.

 

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