di Franco Pezzini

John Symonds, La testa di Medusa. Conversazioni fra Aleister Crowley e Adolf Hitler, ed. orig. 1991, con Appendice di Giorgio Ritter, trad. e note di Furio Morroni, pp. 323, € 18, Tre Editori, Roma 2024.

Ci sono temi che per un autore diventano ossessioni: sia perché a furia di incalzarli garantiscono un reddito di posizione apprezzabile, sia perché a un certo punto entrano a influire su un gioco identitario – in forme varie. Questo è il caso del rapporto tra John Symonds (1914-2006) e quell’Aleister Crowley che, conosciutolo nel 1946 come giornalista e romanziere, un po’ frettolosamente lo nomina proprio esecutore testamentario un anno prima di spegnersi settantaduenne il 1° dicembre 1947. Ma Aleister è fisicamente allo sfascio e quel giovane, rampante uomo di penna gli pare promettente.

Se avessero parlato di più, forse non l’avrebbe scelto. Inizialmente affascinato, Symonds si disgusterà via via delle idee e pratiche inanellate dal mago in una vita di eccessi sì – specialmente a proposito di sesso e droghe – ma anche di cultura e genialità che a Crowley vanno riconosciute insieme a spregiudicatezza, narcisismo e megalomania. Col risultato che le biografie che Symonds scriverà su di lui, pur ricchissime di dati e importanti per preservarne la memoria – The Great Beast (1952), The Magic of Aleister Crowley (1958), The King of the Shadow Realm (1989) e The Beast 666 (1997) – suoneranno tanto critiche da farlo considerare come il più ostile dei suoi biografi (così Israel Regardie).

Assieme a Kenneth Grant, Symonds curerà e ripubblicherà anche l’autobiografia di Crowley e varie altre sue opere, e verrà cooptato come consulente per il leggendario Man, Myth & Magic (1970): specialmente in un’epoca in cui la vulgata demonizza ancora banalmente il profilo dell’autodefinita Bestia 666, liquidandolo come satanista e mago nero da feuilleton, le competenze di Symonds sono preziose per correggere il tiro sulle peculiarità anche a dispetto di una certa malevolenza. Si può discutere sull’affermazione che senza quei testi il vecchio Aleister sarebbe stato dimenticato, a fronte dei vari filoni di interessi verso di lui emersi in chiave pop e controculturale (Anger, l’underground, la musica…): ma certamente si tratta di ricerche preziosamente documentate e che quel successo hanno sostenuto.

D’altra parte è un fatto che se oggi ricordiamo Symonds non è – specialmente fuori dall’Inghilterra – per i suoi numerosi romanzi romantici, psicologici o per bambini, per il resto della sua saggistica o la sua produzione teatrale, ma essenzialmente per le opere su Crowley.

Compreso questo romanzo, che si può definire serenamente fantastico. Non solo e non tanto per la pretesa di Aleister di rendere invisibile chi egli voglia – qui fantasiosamente acquisita come capacità effettiva – o per altre trovate di magia, ma per la messa in scena di un suo incontro con Hitler storicamente solo ipotetico. A dispetto infatti di voci del mondo dell’esoterismo, come il fantasioso Guénon che in una lettera a Evola (1949) collega la beffarda sparizione di Crowley in Portogallo con un viaggio “a Berlino per ricoprirvi il ruolo di consigliere segreto presso Hitler, che era allora agli inizi”, si tratta di speculazioni intriganti quanto storicamente indimostrate (per non dire infondate). Che i due possano essersi incrociati a Berlino, beh, persino Indiana Jones si imbatte in Hitler per recuperare il diario con le info sul Graal, ma tutto rientra nella confusa nebulosa di affabulazioni sul nazismo magico e le istanze controiniziatiche (termine caro a Guénon) delle due Bestie.

È pur vero che, senza scomodare le storie su Crowley collaboratore dei servizi britannici – forse un mero informatore, come potevano realisticamente fidarsi di un agente simile? – la sua speranza che qualche governo non cristiano sposasse la dottrina del Thelema doveva avere sfiorato tutti, dal fascismo (che lo caccerà dalla Sicilia) al nazismo ai soviet: e si rimanda agli studi fondamentali di Marco Pasi, in particolare Aleister Crowley e la tentazione della politica, Franco Angeli, Milano 1999, ed. aggiornata in lingua inglese Aleister Crowley and the Temptation of Politics, Routledge, London – New York 2014.

Più interessante dunque che ingolfarsi nella sciarada delle implausibilità storiche di un confronto come quello descritto è il ragionare sullo specifico del testo quale romanzo, apparso in 350 copie per la leggendaria Mandrake Press all’inizio degli anni Novanta. Paradossalmente – a dispetto di un passo narrativo fin troppo pudico e perbenino per il comportamento e le pratiche di Crowley – comico e tragico: le atrocità del nazismo in ascesa e i siparietti della Bestia tra camere da letto e vassoi di pasticcini si contrappuntano in modo straniante, fascinosamente grottesco. Hitler, con le sue eruzioni emotive, alterna fragilità penose e tossicità superomistiche: e di fronte a lui il mago risulta un equilibrato maestro di vita. Ora, questo registro un po’ sghembo per cui non si capisce mai se il passo successivo guarderà la farsa o l’orrore (e dal finale dedicato all’orrore Crowley si dilegua), rappresenta forse sul piano letterario l’aspetto più intrigante, e la scrittura fresca e godibile porta avanti il lettore. Premesso che si tratta di un libro molto criticato (si è osservato che l’autore avrebbe potuto utilizzare meglio le sue competenze sulla Bestia) merita invece lodare questa proposta gustosa nel catalogo ricco e suggestivo Tre Editori, ottimamente curata, tradotta e annotata: trattandosi di un titolo ogni tanto citato, è interessante per il pubblico italiano poter accostarlo direttamente e cogliere l’occasione per riflettere meglio sulla costruzione di un mito Crowley impastato di stranezze almeno quanto il suo oggetto.

Chiaro che Symonds resta Symonds: così come espurga dalle descrizioni dei rapporti di Crowley con le donne sottomano qualunque tipo di oscenità (mostrandolo anzi sempre garbato e dignitoso, amabilmente ironico e un po’ birichino tra madame filohitleriane in fregola), così allo stesso modo sul panorama di Berlino la sua lente è quella del moderato anglosassone, che considera parificabili tout court quanto a minacciosità l’estrema destra e l’estrema sinistra. E si disinteressa quasi totalmente – tranne qualche cenno nella conferenza dell’O.T.O. all’inizio, con il cameo di Albin Grau, produttore e scenografo del Nosferatu di Murnau – a quel ricchissimo, febbricitante, lisergico e talora morboso mondo culturale di Weimar frequentato da Crowley con Isherwood e tanti altri nomi eccellenti. Peccato, perché lì la magia c’era davvero.