di Giorgio Bona

Dritëro Agolli, Ascesa e caduta del compagno Zylo, trad. dall’albanese di Julian Zhara, pp. 452, € 18, Bibliotheka, Roma 2024.

Albania, anni Settanta. Alla guida del paese c’è Enver Hoxha, una figura legata agli anni bui di quella piccola realtà nel sudest europeo che ha lasciato un segno profondo nel secondo Novecento.

Tra i maggiori scrittori albanesi del Novecento, Dritëro Agolli (1931-2017), si laureò in Lettere all’università di Leningrado per poi dedicarsi al giornalismo, lavorando per quindici anni per il quotidiano “Zëri i Popullit” (“La voce del popolo”) e successivamente con un incarico di presidente dell’Unione Scrittori albanesi dal 1973 al 1992.

Demka è il protagonista della sua storia, un uomo che ha rinunciato a diventare scrittore per guadagnarsi da vivere scrivendo report e brillanti discorsi per dirigenti di spicco del partito.

Il personaggio del titolo si chiama Zylo ed è il capo di Demka. Zylo rappresenta l’archetipo del burocrate dentro un regime comunista, incompetente e presuntuoso, pieno di sé, con grandi ambizioni e nello stesso tempo con capacità limitate, silurato mentre girava voce di una sua nomina ad ambasciatore.

Come ricorda Agolli, questo romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1972 sulla rivista “Hosteni”, grazie all’incoraggiamento e all’insistenza di Niko Nikolla, appena nominato caporedattore. Nikolla, nuovo responsabile della redazione, volle introdurre qualcosa che rendesse la rivista più attraente per i lettori.

Ecco allora che questo lavoro divenne un romanzo a puntate mentre l’opera era ancora incompleta. Al termine di ogni puntata la frase “continua il prossimo numero” andò avanti per quasi un anno.

Mehmet Shehu, allora primo ministro, in un consiglio in cui era presente anche l’autore, contestò che, con il personaggio protagonista, aveva messo alla berlina l’amministrazione. In realtà Shehu pubblicamente non poteva comportarsi in modo diverso ma rimase tanto attratto da quella storia che in privato chiese alla rivista di fargli avere i numeri che non era riuscito a leggere.

In ogni caso Agolli non si fece trovare impreparato e rispose a tono alle critiche con grande fair play: “il romanzo critica alcuni aspetti burocratici proprio per contribuire a un miglioramento dell’amministrazione”.

E in fondo è la verità. In questo romanzo si nasconde una vena ironica maliziosa, dosata con cautela. L’ilarità garbata e sottile diventa così la facciata per raccontare le alte sfere della burocrazia e mascherare il grigiore del paese sotto la guida di Hoxha.

Il sistema burocratico albanese era sicuramente uno dei più rigidi dopo l’ascesa al potere di Hoxha, che iniziò poco a poco a isolare l’Albania dagli altri paesi del mondo mantenendo buoni rapporti soltanto con altri stati comunisti come l’Unione Sovietica, la Cina e la Yugoslavia. E in questo clima la soave ironia dell’autore nel raccontare le beghe carrieristiche di tutto un apparato permette di trasfigurare maliziosamente la vita dura del paese in quegli anni. In effetti Ascesa e caduta del compagno Zylo può essere letto anche come un documentato reportage del passato su un potere che ha fondato la propria lunga durata sulla paura. Poco si sapeva dell’esterno, meno ancora dei paesi oltre cortina. Un paese invisibile per l’occidente, recintato in un auto-apartheid collettivo. Semplicemente, in Albania non si entrava: né turisti, né uomini d’affari, e tanto meno giornalisti.

E, su quei quarant’anni che vengono definiti un buco nero, ecco questo libro di Agolli aprire uno spiraglio dal cuore del sistema, paradossalmente in un periodo in cui la censura colpiva inesorabilmente. Sarebbe troppo semplice scrivere una storia come questa ai giorni nostri, in riferimento a quel passato; mentre Agolli ci offre un ritratto dettagliato, acuto, sagace di un mondo di privilegio inaccessibile alla visione popolare, proprio dalle pieghe degli anni più duri del governo Hoxha, riuscendo a destare un sentimento di ilarità anche in coloro che avrebbero dovuto essere i suoi censori. Il romanzo non perde il ritmo, e il sorriso regge dalla prima all’ultima pagina grazie a una verve narrativa che non prevarica mai nei toni. Mentre un filo sottilissimo, amaro e dolente, lega l’autore alla sua terra, non traspare quella tristezza di un popolo tanto enfatizzata nei resoconti occidentali – anzi è evidente un’energia nascosta che aspetta soltanto il momento giusto per erompere.

Il giusto tributo alla vita.