di Sandro Moiso

L’estate è stata molto arida quassù e il riuscire nuovamente ad andare a messa ogni giorno mi ha lasciato indifferente – mi vengono in mente pensieri orribili per meschinità e egoismo anche con l’Ostia sulla lingua (22 settembre 1947, Iowa City – A Prayer Journal)

L’altra sponda dell’Atlantico ha dato alla letteratura universale, fin dall’Ottocento, alcune autrici che vanno sicuramente annoverate tra le sue massime espressioni. Dalle poesie di Emily Dickinson (1830-1886) al femminismo di Mary McCarthy (1912-1989), intima amica di Hannah Arendt; dai racconti di Lucia Berlin (1936-2004) (per una loro recensione si veda qui ) ai romanzi e racconti di ambiente western della canadese Annie Proulx. E proprio quest’ultima ci deve far riflettere sul fatto che alcune delle migliori espressioni letterarie basate sulle storie del West sono state frutto della penna di donne e non di uomini, come ancora troppo spesso un certo femminismo di maniera spinge a credere e come invece dimostra, ad esempio, la raccolta di racconti di Dorothy M. Johnson (1905-1984) da cui sono stati tratti tre dei film di genere più famosi di tutti i tempi: L’uomo che uccise Liberty Valance (John Ford, 1962), Un uomo chiamato cavallo (Elliot Silverstein, 1970) e L’albero degli impiccati (Delmer Daves, 1959)1.

Ma la più importante e straordinaria esperienza letteraria femminile made in USA è stata sicuramente quella di Flannery O’Connor (1925-1964), la cui vita fu segnata da un lupus eritematoso sistemico, ereditato dal padre, che l’avrebbe condotta alla morte non ancora quarantenne.

All’età di sei anni, Flannery insegnò a un pollo a camminare all’indietro e fu la prima occasione di celebrità. Gli inviati di una rivista filmarono la piccola “Mary O’Connor” con il suo pollo e quelle immagini fecero il giro del paese. Flannery disse in seguito: «C’ero anch’io con il pollo. Ero là solo per assisterlo, ma fu il momento culminante della mia vita. Tutto quello che è accaduto dopo, è stato solo una anticlimax».

Questa attenzione per i volatili da cortile l’avrebbe accompagnata sempre, anche quando nei primi anni Cinquanta le fu diagnosticato il lupus, motivo per cui fece ritorno alla fattoria di famiglia a Milledgeville, che avrebbe rinominato Andalusia e dove si sarebbe circondata di tutto quanto più le piaceva, sostanzialmente libri e animali da cortile. Così negli anni avrebbe allevato tacchini, quaglie, oche, fagiani, galline. Come avrebbe scritto in una lettera: «Dove viviamo io e mia madre c’è molto spazio e mi sono comperata alcuni pavoni e sto seduta per ore sui gradini del cortile a studiarli. Ho intenzione di diventare l’Autorità Mondiale sui Pavoni, e spero che una volta o l’altra mi offrano una cattedra alla Facoltà di Pollamologia.» Come avrebbe annotato Fernanda Rossini, in un suo saggio sulla vita e le opere di Flannery O’Connor:

Nonostante i frequenti rimbrotti della madre e le lamentele dello zio Louis, arriverà a possederne una trentina o più, decisa ad averne un numero sufficiente per inciampare in uno di loro ogni volta che esce di casa. Sono uccelli dal piumaggio e dal portamento maestoso che non ha scelto a caso di allevare, poiché, come lei stessa affermava: «Nella simbologia medievale rappresenta la Chiesa: gli occhi sono gli occhi della Chiesa […]. Il pavone rappresenta la Trasfigurazione, di cui è senz’altro uno dei simboli più belli». Nelle sue storie i pavoni, seppur animali comuni negli ambienti rurali, non sono mai presenze fortuite. Le piace osservarli, dipingerli e capita che raccolga e regali ad amici e visitatori le penne della ruota che l’animale cambia2.

Finì così col descriverli anche in un suo saggio intitolato The Kings of Birds.
Il lettore di queste righe deve perdonare il percorso apparentemente tortuoso e di scarso rilievo con cui ci si avvicina alla personalità di un’autrice le cui aspettative di vita erano di cinque anni al momento della scoperta della malattia, ma che sopravvisse per quasi altri quindici.

Un’autrice sprofondata, autenticamente, nella fede tipica e nella letteratura del Sud degli Stati Uniti, che già aveva dato autori del calibro di William Faulkner. Una letteratura intrisa spesso di comicità, tragedia e grottesco che in seguito, per molti versi sarebbe rientrata nella definizione di “American Gothic”, comprendente romanzi quali Santuario dello stesso Faulkner fino ai migliori racconti di autori come Joe Lansdale, ma che affondava le sue radici nella visionarietà di Edgar Allan Poe.

Tutti i suoi romanzi e racconti sono intrisi da una visione della vita cinica, violenta, spietata ma, allo stesso tempo, anche incommensurabilmente umana. Storie che vedono protagonista un’umanità povera, spesso diffidente, per la quale la religiosità, quasi sempre primitiva e al limite dell’eresia, rappresenta, apparentemente, l’unica possibile consolazione.

Infatti al centro delle sue opere spesso c’è l’incontro tra uomini e soprattutto donne e ragazze di campagna con personaggi travestiti da predicatori e uomini di Dio. Non che non lo siano nei fatti, ma certo poco onesti e disinteressati. Opere in cui la sensualità del Sud stride con la rigidita delle norme della fede o delle svariate congregazioni che animano quelle comunità e di cui l’autrice, pur essendo dichiaratamente cattolica, ci rende edotti.

Tra il gennaio 1946 e il settembre 1947, O’Connor tenne un diario che è sostanzialmente una raccolta di preghiere. In queste annotazioni raccontò la sua vita e, attraverso suppliche quasi sempre poco spirituali e molto materiali, cercò di intrattenere un dialogo con Dio. Come ebbe a scrivere ancora in A Prayer Journal, pubblicato soltanto nel 2013: «Per favore, Dio, aiutami a essere una brava scrittrice… Se devo faticare per il mio lavoro di scrittrice, caro Dio, lascia che sia al Tuo servizio. Mi piacerebbe essere santa in modo intelligente.»

Come si è già detto, Flannery era una fervente cattolica che viveva nella Bible Belt, il profondo Sud, e da qui discendevano le contraddizioni che animavano le sue opere, anche se occasionalmente ebbe modo di tenere conferenze su argomenti religiosi, viaggiando anche parecchio nonostante la salute cagionevole.

Pur avendo scritto complessivamente 32 racconti e solo 2 romanzi, O’Connor divenne famosa soprattutto per i due romanzi La saggezza nel sangue (Wise Blood,1952)3 e Il cielo è dei violenti (The Violent Bear It Away,1960)4. Dal primo fu tratto, nel 1979, un film, diretto da John Houston, che venne girato a Macon nella contea di Baldwin in Georgia, proprio nei pressi di quella che era stata la residenza della O’Connor.

La trama del film e del romanzo vede al centro la figura di Hazel Motes che, traumatizzato da piccolo dal nonno predicatore, una volta terminato il servizio militare, incontra un predicatore di strada cieco, Asa, che lo convince a seguire il suo stesso cammino. Hazel si forma così un’idea tutta sua di Gesù Cristo e decide di predicarla. Non è come la maggioranza dei predicatori che cercano solo di tirar su un po’ di dollari con le loro parole, lui è convinto e predica un Gesù che non è morto in Croce per noi e perciò il peccato non esiste. Per fare ciò fonda una propria Chiesa, quella della “Verità senza Cristo”, finendo in un mondo completamente nuovo per lui, in cui si muovono truffatori, “lolite” e poveri di spirito in cerca d’affetto. Così ben presto si troverà a vivere situazioni difficili da affrontare, tra opportunisti e falsi predicatori, e a farne le spese sarà alla fine proprio lui.

E’ interessante notare che Asa, come Omero, è cieco. Un visionario senza la possibiliztà di vedere, finendo col rappresentare l’assurda cecità di chi si affida alla religione stessa. Un dubbio che pervade il romanzo, il film, la stessa Flannery; sempre in bilico tra fede e disperato tentativo di in/validarne i contenuti per il tramite di un metodo “popperiano” di falsificazione dei dogmi e delle verità date “una volta per tutte”.

Anche se è in racconti come A Good Man is Hard to Find (1955)5, cui si sarebbe direttamente ispirato Joe Lansdale per il suo Da mani bizzarre (By Bizarre Hands , 1989)6, che l’autrice raggiunge i vertici della sua scrittura e di una visione personalissima di un mondo contadino, ignorante ed egoista, in cui apparentemente il volere di Dio si sposa con le convenienze famigliari, fino ad esserne trasformato secondo le circostanze. Racconti che da soli basterebbero a fracassare tutte le narrazioni salvifiche, politiche, perbenistiche e religiose delle infinite chiese evangeliche o pentecostali su cui si fonda, ancora ai nostri giorni, tanto conservatorismo e razzismo statunitense.

Madri che consegnano, letteralmente, le proprie figlie, ad individui evidentemente poco raccomandabili, pur di liberarsi di un peso in famiglia, in un contesto in cui è evidente l’assoluta assenza di qualsiasi Grazia divina e un misticismo, quello dell’autrice, che si sforza di trovare “altro” nella pratica religiosa, anche se cattolica. Tutti racconti, che in mezzo a situazioni grottesche e personaggi memorabili sottolineano la presenza di un fattore imponderabile nell’esistenza dell’essere umano grazie all’introduzione nella trama di circostanze imprevedibili e a una profonda indagine sui comportamenti umani. Cercando di rintracciare anche nel suo sé quella certezza in Cristo che, come dimostrano le frasi messe in epigrafe, potrebbe consolarla o premiarla ma che, in realtà, sa già in partenza di non poter trovare.

Non a caso, quindi, i suoi saggi e le sue lettere sulla scrittura sono contenuti in due raccolte intitolate, rispettivamente, Nel territorio del diavolo7 e Sola a presidiare la fortezza8.

I miei pensieri sono così lontani da Dio. Potrebbe anche non avermi creata. E la sensazione che ricavo dallo scrivere queste pagine dura circa una mezz’ora e sembra una farsa. Non desidero alcuna sensazione superficiale e artificiale suscitata dal coro [della chiesa]. Oggi ho dato prova di essere insaziabile – di biscotti ai cereali e di pensieri erotici. Non c’è nient’altro da dire su di me. (Flannery O’Connor, 26 settembre 1947)


  1. D. Johnson, L’uomo che uccise Liberty Valance, Mattioli 1885, 2024 (racconti scritti in lingua originale tra il 1949 e il 1957)  

  2. Si veda: F. Rossini, Flannery O’Connor. Vita, opere, incontri, Edizioni Ares, Milano 2021, pp. 120-121.  

  3. Traduzione italiana di Marcella Bonsanti, con una nota di Fernanda Pivano, Garzanti, Milano, 1985; Prefazione di Fernanda Pivano e Postfazione di Luca Doninelli, Garzanti, Milano 2002-2010. 

  4. Traduzione di Ida Omboni, Einaudi, Torino, 1965; Longanesi, Milano, 1969; Introduzione e biobibliografia di Marisa Caramella, Collana Einaudi Tascabili. Torino, 1994; Collana Letture, Einaudi, Torino, 2008. In seguito nella traduzione di Gaja Lombardi Cenciarelli con Prefazione di Marco Missiroli, minimum fax, Roma, 2020.  

  5. Un brav’uomo è difficile da trovare, in F. O’Connor, La vita che salvi può essere la tua, traduzione di Ida Omboni, Einaudi, Torino, 1968 oppure in Un brav’uomo è difficile da trovare, traduzione Gaja Cenciarelli, con una postfazione di Joyce Carol Oates, minimum fax, Roma, 2021 e, ancora, in Tutti i racconti (The Complete Stories, 1971), a cura e con un’introduzione di Marisa Caramella, traduzione di Ida Omboni e Marisa Caramella, 2 voll., Bompiani, Milano, 1990.  

  6. Ora in J. R. Lansdale, In un tempo freddo e oscuro e altri racconti, Giulio Einaudi Editore, Torino 2006.  

  7. F. O’Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere, a cura di Robert e Sally Fitzgerald, ed. italiana a cura di Ottavio Fatica, traduzione di Giovanna Granato, Theoria, Roma, 1993, oppure con prefazione di Christian Raimo, Roma, minimum fax, 2003.  

  8. F. O’Connor, Sola a presidiare la fortezza. Lettere (The Habit of Being: Letters Of Flannery O’Connor, 1988) a cura di Ottavio Fatica, traduzione di Giovanna Granato, Einaudi, Torino, 2001; ed. aumentata (con le lettere dal 1948 al 1964), Minimum Fax, Roma, 2012. Entrambi i testi sono ora raccolti in Un ragionevole uso dell’irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Prefazioni di Christian Raimo (2002) e Ottavio Fatica (2012), Roma, minimum fax, 2019,