di Marc Tibaldi
La Libreria Editrice, Cividale del Friuli 2024, 165 pagine, 17 euro
Il testo è incentrato sulla Resistenza slovena nella Benečia (ovvero quella che oggi è la fascia confinaria – all’interno dello stato italiano – tra la provincia di Udine e la Slovenia). Si va dalla comparsa della brigata Simon Gregorčič, nel dicembre 1942, alla formazione dei primi gruppi partigiani nelle Valli del Natisone, alla costituzione della Beneška Četa, la squadra della Benečia; dalla Liberazione alle vicende dei resistenti sloveni della Benečia nel dopoguerra e al processo (1955) contro gli appartenenti alla Beneška Četa. Inevitabile che il libro tratti anche dei rapporti con la Resistenza delle zone di confine, in particolare quella del Friuli, garibaldina e osovana. Petricig ripercorre le vicende che hanno interessato le Valli de Natisone e di tutta la Benečia in un periodo compreso tra il 1943 e la firma del Trattato di Parigi del 1947. Si tratta di un momento cruciale che ha assunto valenze significative e dense di conseguenze a lungo termine, a causa di quel confine che in più occasioni nel corso della storia è stato conteso tra le forze interessate alla modifica del suo tracciato e tale da costringere le “grandi potenze” a un serrato confronto.
L’autore concentra l’attenzione sulla presenza del Beneški bataljon, formazione partigiana aggregata al IX korpus dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia, e sui rapporti non sempre facili, quando non apertamente conflittuali, con le altre forze in campo, in particolare con le formazioni Osoppo sostenute dagli alleati. La presenza della formazione partigiana slovena invece di essere valorizzata fece emergere il peggiore nazionalismo italiano, sia durante la lotta di liberazione sia nel dopoguerra, con la costituzione di organizzazioni antidemocratiche e anti-slovene – come Gladio – con le loro trame oscure e azioni intimidatorie.
Quando Petricig scrive queste pagine non era ancora venuto alla luce lo scandalo di Gladio (per i più giovani: operazione promossa in Italia – con particolare attenzione per le zone di confine – dalla CIA, per costituire varie strutture paramilitari segrete allo scopo di contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai Paesi dell’Europa occidentale, nonché di combattere il comunismo con forme di guerra psicologica e di operazioni sotto falsa bandiera). Anche se, come scrive nell’introduzione Alvaro Petricig: “Va precisato che la presenza di formazioni occulte operanti nelle Valli del Natisone in funzione antislovena e anticomunista era cosa ben nota da tempo”.
Se l’introduzione all’edizione pubblicata dalle edizioni ZTT/EST nel 1988 (che viene riproposta anche in questa nuova) di Mario Lizzero – commissario politico delle Brigate partigiane Garibaldi Friuli, poi deputato del PCI – è sintomatica delle polemiche nazionaliste che ancora negli anni ’80 si trascinavano, quella nuova di Alvaro Petricig ha il merito di evidenziare i cambiamenti del panorama politico, contestualizzandoli in questa particolare zona di confine, tra un inquietante e apparentemente tranquillo status quo e il processo di cancellazione programmata della memoria storica: “Ecco allora che pubblicare di nuovo questo studio si profila anche come atto politico, a contrastare per il poco che è possibile la deriva di semplificazioni e distorsioni, veri e propri scempi intellettuali, intorno a cui si costruiscono le manipolazioni della storia, da quella passata a quella recentissima, per la fabbricazione del consenso…”.
Quella raccontata da Petricig è la storia partigiana di una terra di confine scritta da un autore che i confini voleva distruggerli. Petricig (1929 – 2005), è stato insegnante e pedagogo (attivo nel Movimento di cooperazione educativa e amico di Gianni Rodari e Mario Lodi); giornalista (fondamentale la sua collaborazione a Novi Matajur e a Cooperazione educativa); attivista culturale (fondatore della scuola bilingue italiano-sloveno di San Pietro al Natisone); politico (consigliere provinciale per il partito comunista), ma anche artista visivo, saggista e scrittore. Dedicò la vita a intessere relazioni usando le basi della pedagogia di Freinet – collaborazione, ascolto, dialogo, aiuto – non solo nella scuola ma anche per progetti sociali. Il Centro Studi Nediža ha recentemente dedicato a Petricig un catalogo e una mostra interessantissimi, dal titolo Pavlova šola / La scuola di Paolo, dove emerge la sua etica e l’eclettismo culturale.
In Per un pugno di terra slava, Petricig non nasconde il disorientamento – culturale, politico, ideale – di parte della popolazione che era stata fatta oggetto fin dal lontano 1866 di un processo di assimilazione, con il Regno d’Italia prima e successivamente con il Fascismo, e continuato per decenni dopo la fine della Seconda guerra mondiale anche nella Repubblica “nata dalla Resistenza”. Tanto per fare un piccolo esempio di persecuzione che dà la percezione della situazione vissuta dalle genti della Benečia, anche se ce ne furono di più intimidatorie e violente: ancora nel 1974 la Questura di Udine faceva chiudere un’osteria di Pulfero perché il coro del paese vi aveva cantato in sloveno. Il Friuli e l’alto litorale adriatico diventano dopo la Seconda guerra “un pezzo rovente della cortina di ferro, un avamposto ‘caldo’ della Guerra fredda, cioè di quel lungo momento storico che vide fronteggiarsi potenze occidentali e blocco sovietico”.
Sarebbe interessante analizzare il parallelismo tra la resistenza slovena in Benečia e la resistenza slovena in Carinzia. Ci limitiamo qui ad alcune suggestioni letterarie.
Nonostante la sua rilevanza oggettiva, la storia degli sloveni carinziani sotto il nazismo e in genere nel Novecento è sconosciuta. All’interno dei confini del Terzo Reich la loro coraggiosa resistenza, pagata a caro prezzo, fu uno dei pochi esempi di movimento organizzato di opposizione al regime. Eppure per decenni nella Seconda repubblica austriaca questo episodio fu passato sotto silenzio. Per aver combattuto a fianco dei partigiani di Tito gli sloveni in Carinzia furono addirittura accusati di tradimento e di fatto discriminati, mentre ex gerarchi e ufficiali nazisti poterono indisturbati far carriera nelle istituzioni democratiche.
Avvenuti a un centinaio di chilometri di distanza, ma in un contesto storico politico differente, ci sono molte analogie tra i fatti carinziani e quelli beneciani. L’angelo dell’oblio di Maja Haderlap (Keller edizioni, 2014) o Ancora tempesta di Peter Handke (Quodlibet, 2015), Boštjanov let (La fuga di Bostian, 2003, non ancora tradotto in italiano) di Florian Lipuš, opere narrative di grande rilevanza, raccontano la resistenza ai nazisti degli sloveni della Carinzia. Il libro di Petricig forse non ha la densità metaforica e poetica di L’angelo dell’oblio o la potenza drammatica di Ancora tempesta ma ha la stessa bellezza e intensità emotiva. Nella sua linearità espositiva incrocia saggistica, con citazione delle fonti, ricordi di protagonisti e testimoni, ed emozionanti squarci narrativi. Vengono raccontati anche momenti e figure memorabili di partigiani sloveni della Benečia: Mario Jurman che muore nel primo scontro contro i tedeschi; Marco Redelonghi che circondato dai nazisti si spara un colpo in testa, mentre suo padre venne torturato e fucilato, eroe nazionale per la Jugoslavia, inesistente per l’Italia; Mario Zamparutti, studente, muore a Dachau a diciannove anni; Ivo Primosig falciato da una raffica di mitra della polizia anglo-americana nell’aprile del 1946; e altri come Josko Osgnach, Danilo Trusgnach e Mario Sdraulig, eroi di cui andrebbe raccontata l’intera vita.
Necessaria è ora la riedizione di All’ombra del Tricolore, pubblicato nel 1997, il libro con cui Petricig indaga i decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, che continua il lavoro di contro storia di questo imperdibile Per un pugno di terra slava.
[N.B. La Libreria Editrice è al suo primo titolo e non ha ancora un sito web. In caso di difficoltà con la distribuzione libraria, chi è interessato può rivolgersi alla mail lalibreriaboerpietro@gmail.com.]