di Sandro Moiso
Jean Baudrillard, Carnevale e cannibale / Il male ventriloquo, Meltemi editore, Milano 2024, pp. 110, 10 euro.
Jean Baudrillard (1929-2007), sempre in bilico tra filosofia, sociologia e critica (rivisitata) dell’economia politica, è stato sicuramente uno dei punti di riferimento della critica radicale dell’esistente dai primi anni Settanta fino alla sua morte. Affascinato dalla patafisica di Alfred Jarry, egli ha applicato, spesso ribaltandoli e rivisitandoli funambolicamente, alcuni aspetti della critica marxiana del valore applicandoli alla critica della società dei consumi, dell’alienazione e del simulacro rappresentato dalla promessa di democrazia e libertà all’interno di un organismo sociale interamente sottomesso all’imperativo categorico della produzione di merci,
Anche se è stato considerato vicino a Edgar Morin e a Roland Barthes, soprattutto per la sua attenzione critica ai differenti aspetti della semiologia, in realtà ha dato vita ad una critica irrimediabile della società capitalistica, negandone qualsiasi valore assoluto e qualsiasi bisogno (valore d’uso) che non sia artefatto e finalizzato soltanto al consumo di massa1, che ha ritenuto l’autentico fondamento della medesima a differenza del marxismo che lo ha, invece, sempre individuato nella produzione. Motivo per cui è possibile avvicinarlo, per molti versi, all’analisi della società dello spettacolo teorizzata da Guy Debord fin dal 1967.
Una critica che dalla iniziale critica dalla merce lo ha portato2 progressivamente a destrutturare l’intero impero dei segni che regola la società, che rimarrà nella sua visione solo e sempre luogo di apparenze e simulacri.
I due brevi testi appena pubblicati da Meltemi nella collana Melusine, entrambi inediti in lingua italiana, sono stati originariamente pubblicati in Francia nel 2004 il primo come saggio e nel 2008 il secondo, come trascrizione di una conferenza tenuta dall’autore. In entrambi, come afferma il traduttore Dario Altobelli:
lo straordinario percorso intellettuale dello studioso trova in questi due testi una brillante e si direbbe memorabile dimostrazione di quanto egli fosse stato acuto interprete del tempo corrente, fieramente e caparbiamente sempre contro ogni conformismo intellettuale e politico, soprattutto liberal-progressista, ma non solo, e più ampiamente delle varie forme della “Sinistra divina” e del “politically correct”3.
Appartenenti, come si è visto, all’ultima parte della produzione di Jean Baudrillard i due interventi si caratterizzano per un taglio polemico e provocatorio di estrema attualità. In cui l’analisi impietosa della società globale dei consumi e dello spettacolo, giunta allo stadio estremo e simulacrale, e la critica serrata al conformismo intellettuale e politico di ogni colore – vere e proprie cifre dell’opera dell’autore francese –, sono gettati come sassi nelle acque apparentemente rassicuranti del dominio politico e tecnoscientifico di un Occidente in fase terminale.
Cosa rimarcata con forza soprattutto nel primo dei due interventi, in cui l’Occidente, pensatosi all’apice del suo successo per il tramite della globalizzazione non coglie la semplice verità rappresentata dal fatto che la diffusione dei suoi valori e idealili consumistici non contribuisce a null’altro che alla sua carnevalizzazione e cannibalizzazione da parte dei suoi concorrenti, un tempo “sottosviluppati”.
Si può cominciare dalla famosa formula di Marx sulla storia che si produce una prima volta come evento autentico per ripetersi poi come farsa. Si può concepire così la modernità come l’avventura iniziale dell’Occidente europeo, poi come un’immensa farsa che si ripete su scala planetaria, a tutte le latitudini dove si esportano i valori occidentali, religiosi, tecnici, economici e politici. Questa “carnevalizzazione” passa per gli stadi, essi stessi storici, dell’evangelizzazione, della colonizzazione, della decolonizzazione e della globalizzazione. Ciò che si vede meno è che questa egemonia, questa impresa di un ordine mondiale i cui modelli – non solamente tecnici irresistibili, si accompagna a una reversione straordinaria da cui questa potenza è lentamente minata, divorata, “cannibalizzata” proprio da quelli che essa carnevalizza. Il prototipo di questa cannibalizzazione silenziosa, la sua scena primordiale per così dire, sarebbe questa messa solenne a Recife, in Brasile, nel XVI secolo, dove i vescovi venuti espressamente dal Portogallo per celebrare la conversione passiva degli Indiani sono da questi divorati – per eccesso di amore evangelico (il cannibalismo come forma estrema dell’ospitalità). Prime vittime di questa mascherata evangelica, gli Indiani si spingono spontaneamente al limite e oltre: essi assorbono fisicamente coloro che li hanno assorbiti spiritualmente.
È questa doppia forma carnevalesca e cannibalesca che vediamo riverberata ovunque su scala globale, con l’esportazione dei nostri valori morali (diritti umani, democrazia), dei nostri principi di razionalità economica, di crescita, di performance e di spettacolo. Ovunque ripresi con più o meno entusiasmo, ma in una totale ambiguità, da tutti questi popoli sfuggiti alla buona parola dell’universale, “sottosviluppati”, dunque fertile terreno di missione e di conversione forzata alla modernità, ma molto più che sfruttati e oppressi: ridicolizzati, trasfigurati in una caricatura dei Bianchi – come quelle scimmie che un tempo venivano mostrate alle fiere in costume da ammiraglio.
[…] Ma c’è da chiedersi se questi Bianchi qui, il principale, la guardia, il generale, questi Bianchi “originali” non siano già figure mascherate, se non siano già una caricatura di sé stessi –confondendosi con le loro maschere. I Bianchi si sarebbero così carnevalizzati, e quindi cannibalizzati, molto prima di esportare tutto questo nel mondo. È la grande parata di una cultura in preda a uno spreco di risorse e che si offre alla propria consumazione: divoramento di se stessa, di cui il consumo di massa e di tutti i beni possibili è la forma più attuale.
[…] Che tutte le popolazioni adornate dei segni del biancore e di tutte le tecniche venute da altrove ne siano al contempo la parodia vivente e la derisione: è questo che è semplicemente ridicolo, ma che noi non possiamo più vedere. È nella loro estensione su scala globale che si svela la frode dei valori universali. Se davvero c’è stato un primo evento, storico e occidentale, della modernità, noi ne abbiamo esaurito le conseguenze, ed essa ha preso per noi una svolta fatale, una svolta da farsa. Ma la logica della modernità ha voluto che l’imponessimo al mondo intero, che il fatum dei Bianchi fosse quello della razza di Caino, e che nessuno sfuggisse a questa omogeneizzazione, a questa mistificazione della specie.
Quando i Neri tentano di sbiancarsi, non sono che lo specchio distorto della negrificazione dei Bianchi, automistificati fin dall’inizio dalla propria maestria. Così l’intero arredo della moderna civiltà multirazziale non è altro che un universo in trompe l’oeil in cui tutte le singolarità di razza, di sesso, di cultura saranno state falsificate fino a diventare una parodia di se stesse.
Tanto che è l’intera specie che, attraverso la colonizzazione e la decolonizzazione, si autoparodia e si autodistrugge in un gigantesco dispositivo di simulazione, di violenza mimetica in cui si esauriscono sia le culture indigene che quella occidentale. Perché quella occidentale non trionfa in alcun modo: ha perso la sua anima molto tempo fa. Essa stessa si è carnevalizzata, aggiungendovi ancora il ridicolo di organizzare con grandi spese il museo mondiale degli orpelli di tutte le culture 4.
Valore di scambio che domina sul primo di fatto annullandone l’importanza attribuitagli sia nell’opera di Marx che in quella di Adam Smith. ↩
Si vedano in proposito alcune delle sue opere più importanti: Le Système des objets (1968) tradotto in Italia come Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano1972; Pour une critique de l’économie politique du signe (1972) trad. it. di Mario Spinella, Per una critica dell’economia politica del segno, Mazzotta, Milano 1974 e, in seguito a cura di Pierre Dalla Vigna, Per una critica dell’economia politica del segno, Mimesis, Milano-Udine 2012; La Société de consommation (1970) trad. it. La società dei consumi, il Mulino, Bologna 1976 e L’Échange symbolique et la mort (1976) trad. it. di Girolamo Mancuso, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979. Solo per citare le più importanti. ↩
D. Altobelli, Nota del traduttore in J. Baudrillard, Carnevale e cannibale / Il male ventriloquo, Meltemi editore, Milano 2024, pp. 8-9. ↩
J.Baudrillard, Carnevale e Cannibale, ovvero il gioco dell’antagonismo globale, in J. Baudrillard, op. cit., pp. 45–50. ↩