di Francisco Soriano

Fu Errico Malatesta a curare la prefazione della prima edizione di Tormento, silloge poetica di Virgilia D’Andrea pubblicata a Milano nel 1922. Proprio il 13 marzo di quell’anno, come già ricordato,[1] un attento funzionario di polizia della questura di Milano la denunciò per vilipendio e istigazione all’odio di classe.

Malatesta, come moltissimi altri anarchici del suo tempo, nutre nei confronti di Virgilia una profonda stima personale, umana e politica. L’anarchica divenne un punto di riferimento per molti anarchici in esilio dopo essere stata costretta a fuggire all’estero: l’esempio più lampante è la collaborazione di moltissimi intellettuali e anarchici alla pubblicazione, a Parigi, degli otto numeri in veste raffinatissima della rivista “Veglia”, che rimane un’esperienza unica nel panorama mondiale delle riviste di opposizione e di lotta. Così Errico Malatesta scrive in esergo alla raccolta poetica Tormento:

Qui troverai, o lettore, la storia di questi ultimi anni quale fu sentita e vissuta da chi nelle alterne vicende di vittorie e di sconfitte, di fulgide speranze e di disinganni amari conservò fede nell’ideale di fratellanza umana, di giustizia, di benessere, di pace e di progresso per tutti. […] Ella si serve della letteratura come di un’arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla ed in faccia al nemico, o da una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che alla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta.[2]

Le qualità di Virgilia D’Andrea come letterata e poetessa, come anarchica e biografa, sono indubbiamente oggetto di studio e riflessione anche se, come è avvenuto per secoli anche nei confronti di altre donne di lettere impegnate in lotte ideologiche, le sue opere hanno subito un vergognoso ostracismo, una sistematica cancellazione, un subdolo oblio. I testi poetici di Tormento rappresentano un chiaro esempio di poesia civile, non riconducibile tuttavia a uno specifico canone, partorito in una cornice storica dominata da autoritarismi e sistemi di governo che non esitavano a utilizzare metodi violenti per reprimere le libertà di pensiero e di parola. Violenze ampiamente e puntualmente subite da Virgilia D’Andrea con il carcere e la censura: donna tenace e straordinariamente incisiva nella critica politica, sociale e antropologica del fascismo, volta a metterne a nudo i rituali lugubri e retorici, che nulla avevano a che fare con la tradizione culturale italiana, soprattutto rinascimentale e risorgimentale. L’azione di smascheramento che l’anarchica attuò con precisione, in prosa e in poesia, nei saggi e negli articoli giornalistici, durante le conferenze e i comizi, danneggiò l’immagine del fascismo, falso e privo dell’umanesimo al quale la poetessa si ispirava.

Errico Malatesta

I testi poetici di Virgilia D’Andrea rappresentano documenti storici importanti a testimonianza di eventi che hanno segnato una pagina brutale del nostro Paese. Quelle della scrittrice e poetessa sono visioni antagoniste, di opposizione fiera e, soprattutto, di discernimento politico, mai veicolate da un impulso fine a se stesso. Virgilia D’Andrea ha progettato e fortificato in un arco temporale molto breve il suo credo, arricchito da una fede monolitica che aveva come scopo il perseguimento di obiettivi e valori dei quali tutti sono testimoni: libertà, giustizia sociale, uguaglianza, contrarietà alla guerra. Originalità poetica e conoscenza delle regole metriche e sintattiche della lingua rendono i testi di Virgilia D’Andrea un affresco elegante e abbastanza imperturbabile al passaggio del tempo, quest’ultimo caratterizzato dai tentativi talvolta subdoli di cancellazione sistematica di tutto quello che rappresenta asimmetria ai valori della produzione, dello sfruttamento, delle politiche editoriali. Virgilia D’Andrea è vittima di questo riprovevole e silenzioso sistema di oscuramento, non meno colpevole della censura che ha prodotto danni indicibili, in tempi non lontani, al nostro Paese.

Ancora Errico Malatesta ci avverte del temperamento letterario e politico dell’anarchica di Sulmona, scomparsa prematuramente in un ospedale di New York nel 1933 dopo una gravissima malattia:

Tu troverai, o lettore, qui appresso condensata in pochi poemetti, la storia di un’anima gentile e fiera che si affaccia alla vita piena di un sogno d’amore e della vita esperimenta tutti i dolori, tutti i disinganni, tutti i disgusti. Ella vede la gente umana dolorante e con essa soffre e freme; vede l’ingiustizia trionfante, la boria e l’insensibilità dei padroni, l’abbiezione e la viltà dei servi. Ma non si accascia sotto il peso del suo sogno infranto, e si ribella e lotta perché il sogno si realizzi un giorno; e, pronta a tutti i sacrifizii, continua a lottare e lotterà fino al trionfo auspicato, o fino alla morte.[3]

Il 1922 fu un anno orribile per le persecuzioni attuate dai fascisti, con uno squadrismo becero e assassino: milizie armate bastonavano e uccidevano i dissidenti nelle strade e nelle proprie abitazioni. Virgilia D’Andrea e Armando Borghi, ad esempio, non venivano neppure ammessi ad albergare negli hotel, perché si temevano le ritorsioni dei fascisti. Intanto l’anarchica chiese e ottenne il passaporto per la Germania. Il 22 dicembre 1922 partì per Berlino per partecipare al Congresso operaio sindacale internazionale e non fece mai più ritorno in Italia: visse per tutta la sua breve esistenza nella sofferenza e nelle ristrettezze economiche che attanagliavano centinaia di esiliati. La coppia dunque riuscì a fuggire affidando le valigie al tipografo Enrico Zerboni, lo stesso che aveva stampato Tormento: purtroppo quest’ultimo verrà arrestato e le valigie sequestrate dalla polizia. Dopo il mandato di cattura emesso dalla questura di Milano contro Borghi e Virgilia D’Andrea, i due decisero di rimanere a Berlino, ma il 27 febbraio 1923 Virgilia subì una denuncia per il suo libro. Il rapporto della polizia politica fascista ne descrive dettagliatamente la copertina:

Il libro ha la prammatica copertina rossa. In alto, in nero, la figura d’una donna alata, con disperata espressione di invocare dall’alto, verso cui vola, la liberazione dalle catene, cui è legata nei polsi, e che sono trattenute in una seconda vignetta, in fondo alla pagina, da mani artigliose di evidente marca borghese, e nell’intermezzo è semplicemente stampato: Virgilia D’Andrea, Tormento. Il libro è scritto in versi, ed i versi sono trasmodanti di felina bile contro l’Italia nei suoi poteri e nel suo assetto sociale: sono versi scritti pensatamente e con studio per istigare a delinquere, eccitare all’odio e vilipendere l’Esercito. A Berlino, Virgilia sta male, anche a causa della miseria e della denutrizione, che le provocano svenimenti.[4]

Nel primo anniversario della morte di Virgilia D’Andrea, Auro D’Arcola le dedica uno scritto apparso il 12 maggio 1934 sull’“Adunata dei Refrattari” che citiamo a testimonianza del contributo che l’anarchica ha fornito alla propaganda delle idee anarchiche soprattutto con la sua opera letteraria:

L’apostolato di Virgilia D’Andrea è stato breve, perché breve è stata la sua vita; ma è stato intenso. Vi ha portato il senso squisito di un’arte bellissima; il coraggio di tutte le temerità; la tenacia dell’eroismo; e un pensiero profondamente umano che tutto comprendeva e tutto abbelliva. […] La poesia di Virgilia D’Andrea, fosse scritta in versi o in prosa, era espressione di un pensiero vigoroso che non conosceva alla ragione e al sentimento altri limiti che quelli della vita.[5]

Il ritorno dell’esule (Bologna, dicembre 1919).[6]

Virgilia D’Andrea dedica la lirica Il ritorno dell’esule a Errico Malatesta. I due anarchici erano legati umanamente da affetto e stima profonda. Soprattutto Malatesta aveva ben inteso le qualità di Virgilia e la modalità di lotta politica che la scrittrice sosteneva coraggiosamente con le armi della parola.

Egli ritorna. Da la nave bianca

Guarda le azzurre austerità profonde…

Attorno attorno una dolcezza stanca

Scende dall’alto e perdesi nell’onde.[7]

L’immagine della “nave bianca” è momento di purezza e accoglienza: quale altro colore avrebbe potuto rappresentare meglio questo momento? Per Virgilia, tuttavia, non vi è una felicità appagante, assoluta. Fra le “austerità profonde”, infatti, una “dolcezza stanca” si perde nelle onde. Malatesta ritorna dall’esilio, una vita fra prigioni, sorveglianza e lontananza che mai più potrà essere rivissuta, perché il tempo ci trascina nel suo ineluttabile e quotidiano cono d’ombra. Ad accogliere l’anarchico, fiero combattente, “un ribelle coro”, le cui note “vibrano” in un poetico “silenzio appassionato e arcano”. Lo sguardo è sereno, forte dell’ideale che persegue lo spirito di un militante vero: “le pupille placide e severe”, le notti “palpitanti di febbre e di tensione”. Eppure, in questo vagare senza sosta, a perseguire un lontano ideale, mai le speranze hanno trovato ostacoli, in quell’“attesa folle e inutile soffrire”. Sotto i cieli tersi i “sofferenti”, i “miseri”, i “dispersi” sono invitati al canto, affinché alle verità e alle promesse, a quel pensiero che si materializza nelle “fulgenti aurore”, nella mente di ogni uomo finalmente si apra il “varco”, “vindice e possente”. Virgilia canta un sogno:

E in piedi, avvinti e liberi, cantate,

L’inno d’un vasto e rinnovato mondo…

Mentre si squarcia il sogno rigiurate,

A questa fede, un palpito profondo.[8]

Ancora un cuore “d’acciaio” e di “granito”, in fondo, per fronteggiare “l’urto immane della ‘rossa’ storia”.

* In anteprima al volume Virgilia D’Andrea: una poetica sovversiva, in uscita nel mese di novembre per i tipi di Nova Delphi, pubblichiamo la parafrasi di una delle poesie di Virgilia D’Andrea, dalla raccolta Tormento (1922), testo colpito dalla censura fascista dei tempi.

[1] Cfr. supra, p. 17.

[2] Virgilia D’Andrea, Tormento, con prefazione di Errico Malatesta, Galzerano, Casalvelino Scalo 1976, citato nella versione elettronica consultabile al link: https://bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/20 16/01/d_andrea_tormento.pdf, pp. 12-13.

[3] Ivi, p. 12.

[4] Acs, Cpc, b. 1607, fasc. 3033, D’Andrea Virgilia.

[5] Auro D’Arcola (Tintino Persio Rasi), “Coraggio, e viva l’Anarchia!”, in “L’Adunata dei Refrattari”, XIII, 12 maggio 1934, n. 19, p. 1.

[6] Ead., Il ritorno dell’esule, in Tormento cit., pp. 32-33.

[7] Ivi, vv. 1-4, p. 32.

[8] Ivi, vv. 25-28, p. 33.