di Luca Cangianti

Alberto Prunetti, Troncamacchioni. Novella nera con fatti di sangue, Feltrinelli, 2024, pp. 160, € 16,00 stampa, € 8,99 ebook.

Avevo un nonno dal nome strano. Odiava la guerra che aveva conosciuto in Libia nel 1911 e poi nel primo conflitto mondiale. Si era beccato una pallottola che era entrata in una spalla e aveva attraversato tutto il torace per uscire dall’anca, ma se l’era cavata solo con una leggera zoppia. La tessera del fascio l’aveva sempre rifiutata, più per cocciutaggine che per altro. Leggeva e scriveva a malapena, ma conosceva a memoria il canto contadino della Pia de’ Tolomei. Con il vino ci andava giù duro, fino al giorno in cui si accorse che i figli glielo allungavano con l’acqua. Sdegnato, non lo volle più toccare, manco uno spumantino per Capodanno. Gli ultimi giorni di vita, ormai cieco e allettato da anni, li passò a chiedere al Signore di farlo morire, ma visto che quello tardava ad assecondarlo, infarciva le preghiere con bestemmie potenti e visionarie. Io lo guardavo dalla soglia della porta e mi chiedevo da quale pianeta fosse mai arrivato, qui a Roma, un uomo così. Adesso, grazie a Troncamacchioni di Alberto Prunetti, mi spiego tante cose: era maremmano!

La nuova opera dello scrittore toscano è una miscela esplosiva di epica stracciona, cultura folklorica locale, spaghetti western, romanzo storico e indagine a pista fredda. La sua realizzazione è stata possibile grazie a un’approfondita ricerca archivistica che viene arrangiata in maniera letteraria con una forte voce autoriale, a tratti quasi cantata, e un’attenta cura dello stile. Questo si ispira al linguaggio popolare, con largo uso di analogie tratte dalla vita quotidiana e una terminologia tecnica di origine contadina e operaia.
La Maremma narrata da Prunetti è quella di un secolo fa, quando bambini e bambine si chiamavano con nomi insoliti: Atea, Comunarda, Giordano Brunone, Anarchino, Baconina, Lenina Socialina, Marse, Proletaria, Sovietta, Comevoglio Libero, Guerriglio, Ribella, Robespierrina, Vanda e Lismo (sorella e fratello), Rivo, Luzio e Nario (parto trigemellare, ovviamente). Insomma, siamo in una terra incredibile, disseminata di miniere e campi, coperta da boschi fitti e sterminati nei quali si nascondono disertori, sovversivi, antifascisti e banditi sociali. Come ad esempio Curzio Jacometti, detto il Pretaccio, che mette insieme un piccolo esercito di individui armati che si dedicano all’esproprio dei ricchi: «Mangiate radici?», chiede ai suoi compagni, «Capponi dovete mangiare! Andate nelle case dei signori e prendeteli! Non lavorate, non occorre lavorare». Non si tratta di persone che vorremmo avere necessariamente come vicini di casa: sembrano personaggi lombrosiani, vivono “a troncamacchioni”, cioè senza starci troppo a pensare, vanno in giro con le cartuccere incrociate sul petto alla Pancho Villa, sono rissosi, violenti, pronti alla bestemmia, senza alcuna moderazione con il vino; tuttavia conoscono a memoria interi canti della Divina Commedia e improvvisano in ottava rima.
Prunetti scova tra i faldoni degli archivi questa umanità oppressa e rimossa; la riporta in vita anche con l’aiuto di due narratori vicari, non sempre attendibili e sicuramente ambigui: un carabiniere amante del quieto vivere, «passionista di verbali e resoconti», e un socialista perseguitato dai fascisti, ma anche accusato di abusi sessuali ai danni di una minorenne.

Di quel mondo rimane ben poco: oggi, dice Prunetti, «I fucili del passato sparano a qualche fagiano d’allevamento o, col tappo, alla fiera del paese». Tuttavia Troncamacchioni non ha nulla di nostalgico, di retorico o vittimistico. Portando di fronte al lettore quei volti coriacei l’autore esercita la giustizia poetica, crea un immaginario ribelle che potrà essere nuovamente impugnato da chi, nel presente e nel futuro, avrà il coraggio di alzare nuovamente la testa.