Di Jack Orlando

Abbecedario dei Soulèvements de la Terre. Comporre la resistenza per un mondo comune; Ortothes Edizioni; Napoli 2024; 193 pp. 18€

Il cordone di gendarmi, bardati come robocop o stormtroopers, è schierato davanti a un mostruoso macchinario, gigantesco, vorace, che sbuca da uno strato più basso del terreno.
È Luzerath, Germania, una protesta di massa contro l’estrazione mineraria. Ma potrebbe tranquillamente essere un capitolo di Star Wars.
Francia: un monaco dal volto coperto dal cappuccio brandisce un manganello sottratto ai poliziotti che arrancano nel fango. Gli ultimi bagliori della ZAD di Notre Dame de Landes.
Figure umane saltano da un albero all’altro, si rintanano dentro bizzarri rifugi costruiti tra gli alberi, dal terreno sottostante di nuovo gli uomini con caschi e scudi. Li bersagliano con proiettili di gomma e gas lacrimogeni, provano ad ancorare scale ai tronchi per raggiungere i rifugi.
Può essere una scena del secondo episodio di Planet of apes, e invece è l’occupazione contro la Cop City di Atalanta, o ancora di uno dei mille parchi che si vuole sottrare al cemento.
Andando a ritroso nel tempo e nell’infinito archivio di internet si può trovare, con un po’ di fortuna, un vecchio e ormai quasi introvabile frame video in cui figure scure fanno a pezzi una ruspa dentro un bosco, fumo e caos intorno. È un tre di luglio tra le montagne della Val di Susa.

Le immagini, a prescindere dalla loro capacità di farsi icona al tempo dei social media, ci parlano di una potenza delle lotte che si manifesta nel loro aprire scenari impensabili solo un momento prima, squarci di mondi possibili che precipitano in piccole parentesi del tempo presente.
Il fatto che possano essere montate dentro una pellicola fantascientifica o post-apocalittica, oltre all’immediato senso di straniamento, dovrebbe aprire a una riflessione su quale sia la posta in gioco su quei campi di battaglia.

Parliamo di potenza perché è questa che si dispiega e diventa visibile nel momento in cui una forza collettiva confligge con un nervo scoperto del suo mondo: che il collasso climatico sia ormai la cornice entro cui la specie umana deve muoversi è ormai una banalità, che quel collasso sia il terreno su cui avverrà la ristrutturazione del sistema capitalista e delle sue catene di comando, dovrebbe essere altrettanto ovvio, ma spesso così non è, facendo della pratica ecologica una stampella riformista di un pensiero liberale ormai al tramonto.

Ma per andare oltre le enunciazioni di principio, occorre scendere su di un piano più concreto: le forme della sopravvivenza. Le possibilità cioè di poter mangiare e vivere, di attraversare spazi la cui aria impestata non ci condanni a una morte a orologeria, la possibilità di determinare il percorso proprio e della propria collettività senza lo spettro della fame.

Fine del mondo o fine del mese, stessa battaglia!
Una parola d’ordine, quella generata nel movimento dei Gilets Jaunes, che più efficace non potrebbe essere, racchiudendo in sé tutti gli elementi che compongono la lotta tra le forze della vita terrestre e il vampirismo del capitale.
Ed è nel laboratorio francese, forse il più ricco ambito di sperimentazione politica dell’Europa contemporanea, che questo slogan si è riproposto dal 2021 nelle pratiche dei Soulèvements de la Terre, il movimento ecologista sorto da una costellazione di lotte locali e che ha trovato il suo battesimo di fuoco tra le flashball e i lacrimogeni, nei campi attorno a Saint Soline, muovendosi contro il progetto dei megabacini per lo stoccaggio delle acque.

L’ampiezza del movimento, i suoi numeri, il caleidoscopio di pratiche poste all’offensiva ne hanno fatto il nemico assoluto dell’ex ministro dell’interno Gérald Darmanin che mosse ogni strumento repressivo a sua disposizione per soffocare questa creatura, fino a imporne lo scioglimento per via giudiziaria.
Ne seguì una sconfitta su tutti i fronti: non solo il movimento è ancora in piedi, ma la stessa sentenza del tribunale ha finito per essere ritirata.

In un rapido processo di maturazione, i Soulèvements non solo hanno messo radici, ma sono stati in grado di ordinare un piccolo compendio attorno alle parole chiave su cui ruota la loro esperienza.
L’Abbecedario tradotto in italiano per Ortothes, non è quindi solo una raccolta di spunti, riflette in controluce un processo di elaborazione collettivo e plurale: hanno contribuito studiosi, militanti, realtà politiche e singoli; si mostra così l’estrema varietà di soggetti coinvolti in una lotta a tutto tondo.

La composizione è quindi il primo dato d’interesse: quel costante tentativo d’individuare il soggetto rivoluzionario, che nel pensiero politico specialmente italiano diventa quasi la ricerca della pietra filosofale, qui si dà in una frattura quasi antropologica tra quella parte di specie umana che intende abitare la Terra e quella che intende usarla per estrarne valore a costo di comprometterne definitivamente l’esistenza.
Non è una soluzione al quesito, sempre che ne esista una, ma di certo è un processo in grado di sviluppare forme di conflitto radicali e diffuse.

La capacità di far convivere pratiche differenti, di mettere in dialogo soggettività apparentemente estranee dentro il movimento crea un terreno comune dove ciascuno può trovare il proprio posto; una configurazione di contropotere che ricorda la suggestione dell’“Idra dalle molte teste”1 : privo di una direzione univoca, di un centro di comando, la resistenza è impossibile da decapitare e capace di rigenerarsi ad ogni colpo del nemico.
Eppure, se questa è la sua forza, il limite sta nell’incapacità del movimento di far emergere le proprie istituzioni, i centri di accumulazione e tutela del potenziale indispensabili al superamento delle fasi di riflusso fisiologico che seguono ad ogni momento di zenit di una lotta.
Non è un caso che ad ogni stagione di forte conflitto francese, segua una crisi delle strutture che ne determina l’inabissamento fino ad una nuova fase.
In altri termini, la ciclotimia movimentista sfugge ai tentativi di pacificazione ma manca nella costruzione di un’architettura in grado di separare antagonisticamente i corpi del sociale. Forza contro forza.

Ciò nonostante, qualcosa in più rispetto al passato aleggia nei Soulévements, l’intuizione del futuro possibile si lega alla riemersione del mondo antico.
La lotta non è più questione di mesi o di anni, ma di secoli. Le radici si allungano nelle zolle di un passato in cerca di giustizia.
Dietro l’appropriazione e finanziarizzazione delle acque si staglia il fantasma delle enclosures delle terre comuni, l’accumulazione originaria non come mito fondativo ma come processo in continuo rinnovamento. L’esproprio delle risorse vitali con tutta la violenza necessaria al suo stabilirsi, con le sue leggi e cani da guardia, rimette quotidianamente in scena il copione della sottomissione di enormi masse umane: la guerra alle donne e la brutalizzazione delle colonie, lo sterminio delle dissidenze e la messa al lavoro coatta.
Ogni spettro del capitale vive nelle condizioni del presente; allora incidere la plastica di un megabacino con un cutter o sabotare una fabbrica di cemento o armi, occupare un terreno per costruirvi una zona liberata sono tattiche di lotta che trascendono la contingenza per vendicare un passato che si rifiuta di lasciare la sua presa sulla vita.
L’emersione della potenza passa anche di qui, nel farsi movimento tellurico che smuove i rapporti di forza e ristabilisce torti e ragioni di un mondo che muore e potrebbe ancora fiorire.


  1. M. Rediker; Ribelli dell’Altlantico; Ferltrinelli 2018 

Tagged with →