di Giovanni Iozzoli

Dopo le elezioni regionali del Brandeburgo, il partito di Sahra Wagenknecht (BSW) ha confermato di essere una presenza consolidata nel panorama politico tedesco. Il profilo stesso di questa aggregazione non autorizza la sua collocazione nel campo delle performance elettorali effimere o occasionali: le radici sociali sono solide e si collocano dentro un pezzo di storia della sinistra tedesca, con legami sindacali e territoriali radicati nel tempo. Non una forza d’opinione né, si presume, una meteora.

Per la sinistra “alternativa” europea, lo sviluppo impetuoso di questa ipotesi politica, nel cuore geografico ed economico del continente, pone mille interrogativi. Non a caso coincide con lo svuotamento repentino della Linke e la (sacrosanta e meritatissima) eclisse dei Verdi. Ciò che resiste dell’SPD va probabilmente letto dentro la dimensione residuale dei poteri amministrativi e di governo; niente di socialmente vivo e destinato a crescere.

Del resto tutte queste sinistre liberali (le vicende della guerra in Ucraina hanno purtroppo avvicinato anche la Linke a quel versante nefasto), sembrano destinate in qualche modo a diventare un elemento marginale o comunque minoritario delle società europee: approdo naturale per ceti urbani protetti, benestanti o élite acculturate che compiono scelte elettorali “di testa”. Perdere il contatto con le classi operaie, con le periferie, con la sofferenza sociale, orienta ineluttabilmente verso il “centro” anche le migliori intenzioni politiche. Come classificare, dunque, il partito di Sahra Wagenknecht che è un competitor della sinistra “ufficiale” ma anche un argine oggettivo al dilagare dell’AFD? Il rovello sta rovinando i sogni di molti progressisti perplessi.

L’avventura di BSW presenta alcune caratteristiche in comune con La France Insoummise: entrambe le formazioni nascono dalla crisi dei partiti della sinistra tradizionale; entrambe raccolgono consensi nelle periferie territoriali e sociali; entrambe presentano un forte profilo leaderistico. Entrambe non sembrano spaventate dall’accusa di “populismo” e attraversano volentieri il campo tematico che corrisponde a questo stigma perbenista. Le due esperienze si dividono sul tema guerra (intransigente la posizione anti Nato di BSW, mentre Melanchon ha dovuto cedere molto su quel terreno in fase di costruzione del programma elettorale), oltre che sulla spinosissima questione delle migrazioni.

Addentrarci in questa sede in una discussione su quest’ultimo tema sarebbe impresa impossibile. Il cantiere del dibattito dentro la sinistra sociale e di classe italiana su tali questioni non è stato ancora neanche allestito. Nessuno ha il coraggio di infilarci il naso, la testa e il cuore… Nessuno pare aver elaborato una visione complessiva né sembra avere voglia di farlo. Generalmente ci limitiamo a ripetere le giaculatorie cristiane sul dovere di accoglienza (sacrosanto) mentre la dimensione politica dirompente del tema migrazioni – sicuramente la questione del secolo, che sta incidendo più di qualsiasi altra sugli equilibri politici del nord del mondo – resta letteralmente al di fuori del nostro raggio di attenzione. Con i temi epocali siamo a disagio, mancano gli strumenti di analisi e anche il coraggio della presa di parola.

Il risultato è che qualsiasi cretino di destra – anche il salumiere sotto casa – è in grado di fare un suo discorso sull’immigrazione (conservativo, maligno o paranoico a seconda delle fonti di formazione della sua opinione) mentre a sinistra ci limitiamo a balbettare argomenti sconnessi, sempre difensivi, dando l’idea di intelligenze di corto raggio, che non hanno la minima idea di come affrontare la complessità e la crisi delle società tardo-liberali.

Dal basso della sua inanità politico e sociale, la sinistruccia dell’Italietta è però sempre pronta a sputare su tutto ciò che si muove: rossobrunismo è diventato ormai una categoria dell’animo. Sospetto rossobruno è chiunque si ponga delle domande su temi “sensibili” o controversi; chiunque non si allinei al “washingtonianamente corretto” dell’agenda globale; chiunque non si prefigga il compito di educare i popoli del mondo ai valori scintillanti della modernità liberale. Sono da etichettare come rossobruni in particolare tutti quelli che hanno ancora la capacità di parlare con i proletari: che significa ascoltare, comunicare e organizzare pezzi di società confusi, ostili, ormai refrattari ai ragionamenti collettivi. Le “sinistre” europee sembrano accontentarsi di occupare angolini rassicuranti e disdegnare qualsiasi contatto non solo con il salumiere xenofobo, ma anche con l’operaio preoccupato del prezzo a cui svende la sua forza-lavoro, dentro il nuovo selvaggio mercato del lavoro globale… Ma torniamo alle elezioni tedesche.

Non vivendo in Germania, la maggior parte di noi può informarsi solo attraverso le testimonianze dirette degli osservatori italiani e dei materiali tradotti e pubblicati. E quello si sta cercando di fare in queste settimane: acquisire punti di vista e rielaborarli. Le varianti di cui tener conto, del resto, sono tante, a partire dalle specificità regionali del voto tedesco. Ma cosa si riesce a ricavare, da una lettura generale degli elementi noti?

1) BSW dimostra la oggettiva capacità di aprire canali di dialogo dentro una società fortemente atomizzata. Non è una forza autoreferenziale. Non parla a se stessa. È riuscita a dialettizzarsi con pezzi di società e territorio che si sentono privi di rappresentanza politica.

2) Il suo target è la vasta platea sociale dei perdenti della modernità, che non significa i “poveri” ma larghe masse lavoratrici, a cavallo tra working class e ceto medio, che sentono di subire un arretramento sostanziale e irreversibile della loro condizione, retaggio consunto dei “trenta gloriosi”. La crisi di questi ceti è crisi del patto sociale fordista e dell’imperialismo unipolare a centralità anglosassone.

3) dentro il concetto di “perdente” va compreso il disorientamento per una società che non riesce a gestire i flussi globali di uomini e capitali da cui è investita (da qui l’immigrazione vista come pericolo) e ha paura di trovarsi in prima linea nella guerra contro la Russia. Da questo punto di vista è una platea che invoca protezione sociale in tutti i sensi: dalla insicurezza quotidiana al terrore di ritrovarsi dentro l’incubo della guerra. Non possiamo dividere le ansie della gente in sane o non sane: la paura è paura e basta – le paure “percepite” sono una invenzione di psicologi e statistici. Si tratta di persone che guardano alle tecnologie con diffidenza, che si sentono ingannate, disorientate, sballottate, in preda ai programmi di centri di comando remoti e invisibili (e non hanno tutti i torti: nella sostanza è quella la loro vita)

4) quindi non stiamo parlando degli “ultimi”, ma di ceti produttivi, pezzi di classe operaia attivi o in dismissione, segmenti anziani o giovani a bassa scolarizzazione, emarginati a causa delle scarse competenze professionali o da un’appartenenza territoriale penalizzante, ma comunque interni al dispositivo della produzione sociale. Si tratta di larghe masse – tendenzialmente maggioritarie – in libera uscita, culturalmente parlando. È come se la Germania stesse rivivendo un nuovo anno zero: risvegliandosi non più tra le macerie del dopoguerra, ma tra le crepe del modello tedesco e della sua supposta invincibilità. Recessione, chiusure di stabilimenti, continua contrazione del salario reale: e la sensazione di essere rappresentati da un ceto politico che non risponde più alle esigenze di protezione dell’interesse nazionale.

5) questo humus di massa, non rievoca la drammatica temperie di Weimar – nessun caporaluccio austro-tedesco si intravede all’orizzonte della storia – ma apre comunque a scenari imprevedibili. I vecchi partiti non reggono, non orientano più la maggior parte della società, non rappresentano queste nuove inquietudini di massa. Anche l’evocazione antifascista non funziona più: chi vota AFD non coltiva revanchismo, semplicemente vuole esprimere nel modo più netto possibile la sua distanza dal ceto politico “europeista” e da tutte le sue scelte storiche. Sempre più cittadini europei – soprattutto ceti popolari – votano ormai per le forze identificate come “antisistemiche” – con tutta la fuffa e gli imbrogli che tale attribuzione si porta dietro. Sono isole sociali di livore di massa e di paure in parte reali in parte artificiosamente alimentate. In questa dinamica si possono rintracciare anche i segni di molte gravi rotture maturate durante la stagione dei lockdown, che erano rimaste sottotraccia e aspettavano l’occasione buona per saltare fuori. Voto di protesta, voto di rabbia, voto di stanchezza, voto di sfiducia: tutto si mescola in un calderone acido in cui però è indispensabile mettere le mani. Chi vuole tenersele linde e asettiche, sarà fuori dai giochi.

6) Del resto gli ambienti della sinistra “alternativa” sono pieni di persone di buona volontà che ormai hanno rinunciato a parlare anche coi vicini di casa o con i colleghi di lavoro. Militanti che esibiscono una qualche triste ortodossia, danno a tutti del fascista e non godono della fiducia neanche dei parenti stretti. È da questi ambienti che provengono le peggiori accuse rivolte a Sara Wagenknecht: xenofobia, nazionalismo e riproposizione di “banalità keynesiane”… Qualcuno ha pure scritto che nei programmi di BSW non si parla più di socialismo: sarebbe interessante capire quale forza politica della sinistra europea (al di sopra del 2,5%) cita il socialismo nei suoi programmi elettorali. Quanto alla xenofobia, è curioso che l’accusa provenga da partiti prevalentemente “bianchi e autoctoni”, mentre il gruppo dirigente di BSW è in massima parte composto da cognomi non tedeschi. Cosa che non garantisce di per sé ortodossia e purezza, ma rende perlomeno incongrua l’accusa di “odio verso gli stranieri”.

6) BSW si sta ponendo come unica alternativa praticabile in Germania, in questa fase storica, tra il mondo di Ursula e l’estrema destra liberista. Criticarla sulla base del livore ideologico, oltre che ridicolo è anche controproducente. Significa proprio spingere verso destra un bacino di voti e progettualità che non nascono in quell’alveo e non sembrano volerci finire. Il modello BSW è uno di quelli in cui si articolerà la sinistra europea nei prossimi anni, piaccia o non piaccia. Le cose non vanno come immaginiamo nelle nostre innocue fantasie idealistiche, fatte di iconografie rassicuranti e pugnetti chiusi. Con questo pezzo di realtà bisogna fare i conti: hic et nunc. Questo populismo di sinistra – di cui alcuni segmenti del Movimento 5 Stelle sono stati precursori proprio nel laboratorio Italia – è in grado di parlare con le persone semplici, con gli sfruttati, con i socialmente deboli. È una capacità di dialogo che la sinistra-sinistra non possiede più, a causa della sua insipienza, della sua pigrizia e del suo rifugiarsi in cause ultra-minoritarie, abbandonando i legami di massa e le culture popolari. In Germania – e ovunque se ne creeranno le condizioni – bisogna dialogare con queste esperienze ed evitare che esse finiscano assorbite in un “frontismo” di antifascismo perbenista e istituzionale; o che deraglino verso destra, deriva purtroppo sempre possibile.

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