di Nico Maccentelli
Vladimir Pereladov, Il battaglione russo d’assalto, Anteo Edizioni, pag. 80 € 15,00
In onore e memoria delle vittime di Monte Sole nell’80° dall’eccidio nazifascista di Marzabotto.
In tempi di ostracismo e discriminazioni verso i russi in Europa e in Italia, di voti bipartisan al Parlamento Europeo che equiparano il comunismo al nazifascismo, di rilettura falsificante della storia a uso e consumo della guerra che USA UE e NATO stanno conducendo per mezzo degli ucronazi in Ucraina, questo piccolo libello è una boccata d’ossigeno storico e anche politico. E che restituisce all’Armata Rossa sovietica e ai suoi combattenti nei fronti europei, il ruolo centrale che ha avuto nella vittoria contro il nazifascismo nella Seconda Guerra Mondiale del secolo scorso.
In particolare il libro ripercorre le tappe, con dati e spiegazione dei vari eventi il ruolo che i sovietici, spesso prigionieri scappati dalla schiavitù del duro lavoro per la costruzione di trincee e firtificazioni, per conto della Wermacht di Hitler, hanno avuto nel liberare l’italia, operando nelle formazioni partigiane (anche con unità proprie) del Comitato di Liberazione Nazionale.
L’autore, Vladimir Pereladov scrisse questo libro molti anni fa e in Italia uscì per le Edizioni della Squilla già nel 1975. Ciò che però lo rende ancora più utile è il saggio introduttivo di Giambattista Cadoppi, che ripercorre quei fatti con una scrupolosa metodologia storiografica. Pereladov rappresenta una testimonianza importante: prigioniero dei tedeschi e utilizzato insieme a tanti altri russi nella realizzazione delle fortificazioni della Linea Gotica, lungo l’Appennino emiliano, riuscì a fuggire e a unirsi alle formazioni partigiane operanti nelle montagne del modenese.
Nel marzo del 1944, Pereladov fu alla testa di un reparto partigiano in cui militavano in prevalenza sovietici che successivamente si organizzò nel Battaglione russo da cui prende il titolo dell’opera. Rilevante fu la sua attività nella costituzione e nella difesa della Repubblica patigiana di Montefiorino (1), che oggi non lo si sa, fu un’esperienza di gestione comunitaria popolare secondo gli ideali del socialismo e della democrazia di popolo, alla quale aderirono tutte le forze antifasciste. Persino le cattoliche Fiamme Verdi(2), molte delle quali futuri elementi della Democrazia Cristiana ebbero parole di elogio verso i partigiani russi.
Ma le azioni e le operazioni di guerriglia nel teatro italiano, in cui si distinsero i partigiani sovietici, furono numerose. Si calcolo che furono 5-6 mila i combattenti russi che parteciparono alla Liberazione dell’Italia. Nel libro si parla della determinazione di questi uomini negli attacchi al grido di “hurrà Stalin” che spesso metteva terrore (3) tra le fila di militari tedeschi già demotivati da un andamento della guerra non certo favorevole ai nazifascisti E qualcuno potrebbe commentare ritenendo questa ricostruzione come frutto di un’esaltazione retorica più dettata dall’ideologia, che dai fatti per come sono realmente accaduti. Ma non dobbiamo dimenticare un “dettaglio” non da poco al di là di ogni ideologia da una parte e dell’altra: che nei combattenti partigiani sovietici operanti in Italia e altrove, era ben chiaro ciò che stava accadendo da qualche anno nelle terre sovietiche alle proprie popolazioni. L’Operazione Barbarossa e tutta la conduzione della guerra sul fronte orientale, fu una storia di eccidi efferati sui civili, di massacri di massa perpetrati dai militari nazisti tedeschi e dai loro kapò, come in Ucraina come l’organizzazione nazionalista di Stepan Bandera e i corpi SS ucraini, repsonsabili di migliaia di assassinii di massa tra ebrei, polacchi, russi e ucraini stessi per tutta l’occupazione nazista.
Con la prefazione di Cadoppi, il libro è ricco di analisi storiche sulle scelte politiche fatte dal fronte alleato, a cui lascio ai lettori farsi un’opinione. Quello che mi interessa sottolineare è che stiamo vivendo un momento storico segnato da una volontà di guerra e di mantenimento di una supremazia declinante nel mondo e nel processo al multipolarismo, da parte di un ‘Occidente che nei secoli ha solo portato sfruttamento, schiavitù e predazione attraverso il razzismo colonialista. Non posso non rilevare l’arroganza suprematista di dirigenti o ex tali dell’UE nel definire giardino fiorito i paesi dell’UE e giungla il resto del mondo (4): ci sono forti assonanze tra questa visione razzista e suprematista e la visione hitleriana verso altri popoli, tra cui gli slavi, considerati dai nazisti come subumani. E che dire dell’etno-nazionalismo sionista (definizione appropriata data da Moni Ovadia) verso il Popolo Palestinese, che considera le popolazioni arabe alla stessa stregua di chi aveva i baffetti 80 anni fa? Tutto nel nome di “popolo eletto” e di una “terra promessa” (ma quante volte dio gliela promette?) che configura una “grande Israele nelle loro stesso monete. Che, detto per inciso nulla ha che vedere con l’ebraismo e che milioni di ebrei anche di stretta osservanza religiosa non sono per nulla d’accordo con il sionismo genocida e della pulizia etnica e dell’esaltazione terrena.
Riportare elementi di verità storica all’attezione dell’opinione pubblica è importante e vitale per un futuro di giustizia sociale, democrazia popolare vera, pace e cooperazione tra i popoli. E visto che la storia la fanno i popoli e non semplicemente le loro classi dirigenti, nel rileggere queste pagine non si tratta di esaltare esperienze fallimentari del passato a cui una gran parte della sinistra radicale è purtroppo ancora legata in modo fideistico, e direi religioso, per un’incapacità poco o nulla marxista di elaborare percorsi di liberazione dallo sfruttamento capitalistico che partano da “un’analisi concreta della situazione concreta” (per dirla come la disse Lenin). Ma si tratta di capire, per esempio, che in un’Europa dove 27 milioni di cittadini sovietici sono morti per sconfiggere il nazifascismo e che il tributo più grande in militari caduti in combattimenti o sterminati nei campi di concentramento nazisti, l’ha dato l’Armata Rossa, non si può prescindere da questo fatto storico tragico, ma anche straordinario, che ha dato vita nella Liberazione e poi nel prosieguo del sistema socialista sovietico a lotte di liberazione antimperialista nel Terzo e Quarto Mondo e, di contrappeso geopolitico, persino a quelle Costituzioni e a quel welfare nell’Occidente capitalistico che per decenni hanno espresso la forza materiale delle classi popolari, dei loro partiti e dei sindacati, nonostante la lunga riorganizzazione della bestia imperialista sotto altre bandiere. E quindi non si può prescindere, piaccia o meno, dalla funzione progressiva e di contrasto all’imperialismo nel pianeta che ha avuto l’URSS durante e nel dopoguerra.
Capire questo significa comprendere anche cosa è accaduto dopo e la lunga preparazione delle élite finanziarie imperialiste che ha portato alla fine di queste democrazie borghesi, al loro svuotamento lasciandone un vacuo involucro. E quindi al ritorno di un’era di guerra nei mutati scenari mondiali. La comprensione dei fatti storici del passato deve servire a questo, senza che le sacrosante esaltazioni nostalgiche offuschino la realtà presente e i compiti che ci aspettano. E con la determinazione di proseguire la lotta in nuovo contesto geopolitico e sociale.
Questo libro è un piccolo ma utile tassello di verità.
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NOTE
1. Il battaglione partigiano russo d’assalto, pag. 16
2. Ibidem, pag. 19
3. Ibidem, pag. 18 e 19
4. Faccio rispondere a questi euroburocrati una ragazza adolescente che vive a Lugansk: