di Giorgio Bona

Giovanni Greco, Bruciare da sola. Una notte di Nadja Mandel’štam con i suoi fantasmi, pp. 144, € 15, Ponte alle Grazie, Milano 2022.

Vivere nel ricordo. Oltre il tempo. Perché il tempo è memoria e la memoria spinge avanti i ricordi, soprattutto quelli belli, o meglio quelli che lo sarebbero stati se la brutalità di quei tempi non avesse spento gli ardori e gli impeti che fiorivano dentro cuori in tumulto.

27 dicembre 1968: Nadežda Jakovlevna Khazina, vedova del poeta Osip Mandel’štam ricorda. Ricordare è stata una sua missione, un dovere, un atto d’amore verso l’uomo che amava e che la storia aveva messo in ginocchio. Nonostante tutto, anche se gli eventi e le persecuzioni lo stavano annichilendo Osip Mandel’štam non aveva smesso di comporre versi di grande bellezza, tali da farne uno dei più grandi poeti del Novecento.

“Nadežda” in russo significa speranza e mai come nella memoria di Nadežda Mandel’štam sperare, nonostante tutto e contro tutti, è stato un imperativo e un insegnamento.

 

Ci si ammala di somiglianza dopo tutto questo tempo insieme. S’infetta la memoria e non si sa più chi ha detto cosa, chi ha mangiato cosa, chi ha pensato per primo ad aprire la finestra e ci si ferma un attimo prima di dire in coro quello che si è concepito insieme per poi dirlo insieme comunque, dopo due, tre esitazioni, con un sorriso rassegnato. Al punto che si finisce comunque per credere molte volte sia accaduto quello che non è mai accaduto, si ricorda quello che brilla feroce e quello che non è male, si spera, cioè si è convinti, che l’altro abbia fatto quello che non è andato in porto, mentre si crede di essersi inventati quello che invece è stato davvero, senza dubbio, la coperta rubata e ripresa ogni notte tra la veglia e il sonno o la mano confusa con la propria, a forza di tenerla stretta mesi e anni con le dita che tendono a incastrarsi perfettamente le une con le altre.

 

La compagna di vita di uno dei più grandi poeti del Novecento nelle pagine di questo Bruciare da sola è rappresentata in uno straordinario monologo sulla sopravvivenza di quei versi proibiti, mentre dialoga con i fantasmi che le hanno fatto compagnia per tutta la sua esistenza. Nadežda sarà la custode dell’opera del marito, figura capitale della resistenza intellettuale al regime sovietico.

La voce di Osip Mandel’štam attraverso il racconto in prima persona della moglie diventa un unico coro perché si uniscono all’unisono i tanti compagni delle purghe staliniane, un’intera generazione di scrittori che è passata nel tritacarne della ferocia di un regime che, come diceva l’autore medesimo, non ha amato i suoi poeti. Ecco comparire nel loro straziante dolore Marina Cvetaeva, Anna Achmatova. La prima si suiciderà dopo il tentativo di intercedere presso Lavrentij Berija per perorare la causa del marito arrestato per attività controrivoluzionarie e condannato a morte, la seconda perseguitata e condannata a vivere in miseria dopo la fucilazione del marito, il poeta Nikolaj Gumilëv con la vita del figlio appesa a un filo perché giurava di vendicare la morte del padre.

Il titolo del libro Bruciare da sola già offre tutti gli ingredienti: dolore, amore e potere suonano tutti la musica di una condizione di disperazione.

Occorre ricordare che il poeta russo Iosif Brodskij nel suo celebre saggio Fuga da Bisanzio caratterizzerà la figura di lei in un racconto importante.

 

La vidi l’ultima volta il 30 maggio 1972, in quella sua cucina a Mosca. Il pomeriggio era agli sgoccioli e lei sedeva, fumando, in un angolo, nell’ombra profonda proiettata sul muro della grande dispensa. Nadežda assomigliava all’avanzo di un grande incendio, una minuscola brace che ti ustionava toccandola.

 

L’essenza di quei tempi feroci è diluita in una narrazione diretta, minuziosa, una prosa che è un tributo del dolore. Giovanni Greco in queste pagine fa trapelare un senso di gratitudine. nella certezza che il lavoro di Nadežda in vita non è stato vano: nonostante il buio che ha accompagnato il suo lungo cammino nel tormento, nella fame e nella fatica, ha sempre camminato a testa alta tra le tante difficoltà con un senso di responsabilità incrollabile.

 

Ogni notte le mie labbra carezzano il tuo nome, Osip. E ogni notte lotto contro l’oblio, perché non divori questa bocca e anche questa mia preghiera.

Ti prego, non perdermi. Ti prego non abbandonarmi!

Ricordi il tuo sorriso quando ti dissi che il mio nome, Nadežda, significa speranza?

 

Osip Mandel’štam morì in un campo di transito in Siberia, a Vtoraja rečka, mentre era diretto a Vladivostock. Data della morte sembra, secondo le testimonianze più attendibili, il 27 dicembre 1938.

Dal momento del suo arresto, nel maggio dello stesso anno, Nadežda non ebbe più notizie, ma gran parte della sua opera fu salvata e molti versi conservati nella cassaforte della memoria della moglie.