di Francisco Soriano

In Italia negli ultimi mesi dopo la vittoria elettorale delle destre e, in parte, anche per quanto avvenuto da tempo in altri contesti geografici con un allargamento della sfera di influenza di un pensiero che si basa su modelli in prevalenza autoritari, assistiamo a un’importante operazione da parte delle nuove élite al governo di un infiltrante impossessamento di alcuni valori culturali tradizionalmente legati alla sfera di influenza politica della sinistra storica italiana. A questo processo articolato si aggiunge, quasi simmetricamente, e solo apparentemente in contraddizione, quello, con radici più profonde e lontane, che consiste nell’azione di depauperamento di ogni capacità propulsiva della sinistra italiana. Questa azione si è imposta non solo per l’affermazione delle destre in alcune congiunture elettorali avvenute negli anni del populismo berlusconiano, che ha eroso con capillare progettualità conquiste e valori fondanti la cultura e la coesione sociale, ma si è rafforzata anche per l’incapacità delle forze progressiste di opporsi allo sradicamento delle radici fondanti la democrazia del nostro Paese.

Le attenzioni oggi rivolte all’opera di Antonio Gramsci si sono concentrate sullo spazio e sulle modalità in cui egli operava come intellettuale, filosofo, uomo politico, critico letterario e pedagogo, soprattutto per essere stato il valore assoluto e un punto di riferimento ineludibile per la cultura e la dottrina politica internazionale. Per quanti hanno studiato e accolto la genialità delle intuizioni di questo straordinario intellettuale, infatti, la domanda ricorrente è sul perché le sue opere e i suoi contributi anche letterari non siano mai stati inseriti in programmazioni didattiche della scuola pubblica italiana in modo strutturale e organizzato. È il primo quesito che si potrebbe porre oggi a quanti vorrebbero appropriarsi del pensiero e dell’opera dell’intellettuale sardo in salsa destrorsa. Molti intellettuali che cercano di veicolare una linea culturale e politica della nuova destra italiana appartengono, tuttavia, a un’area ideologica che nelle diverse epoche storiche ha spesso ostracizzato e impedito che le idee di Gramsci potessero diffondersi copiosamente. La questione dell’egemonia culturale come struttura, azione politica sistemica e progetto pedagogico, elemento più di tutti caratterizzante l’ideologia gramsciana, riemerge oggi in una serie di azioni convergenti che consistono nella rilettura e nel tentativo di ripristino strumentale del pensiero di Gramsci verso le nuove esigenze di un potere per ideologia agli antipodi del filosofo sardo. I nuovi maîtres à penser della destra cercano strumenti e modalità per la costruzione di un’impalcatura ideologica forte e propulsiva per le politiche di un’intera area ideologica che non si libera, in Italia, dalle incrostazioni di un passato decisamente compromettente. Il tentativo tuttavia appare categorico e ben orchestrato, con una modalità di sostituzione-sovrapposizione dell’architettura ideologica gramsciana attraverso una sorta di restyling funzionale e strategico.

Come prova di questo sforzo si alternano articoli, dissertazioni, incontri, pubblicazioni che denotano una sublimazione del pensiero gramsciano pur da una prospettiva ideologica diametralmente opposta, nell’asserzione convinta dell’attualità delle sue idee, come ad esempio: Gramsci è vivo (Rizzoli 2024) di Alessandro Giuli, oppure Antonio Gramsci – L’egemonia culturale (Historica 2022) a cura di Francesco Giubilei. Per capire il punto della questione bisogna innanzitutto risalire e sottolineare il complesso storico subìto dalla cosiddetta destra sociale italiana, cioè il suo sentirsi subalterna in termini culturali alla mastodontica elaborazione filosofica, politica, sociale ed economica della sinistra italiana: elaborazione che ha prodotto complessità e differenze anche sostanziali, le quali hanno contribuito ad arricchire il quadro dello spazio in cui agivano le forze politiche. Il secondo punto cruciale è ricordare che egli fu il fautore incontrastato di una nuova teoria generale del marxismo, interpretandolo con meravigliosa creatività e incisività, senza abiurare a molti dei suoi aspetti fondanti e dotandolo di strumenti culturali strutturati attraverso un’opera di contaminazione proficua nell’aspirazione di costruire una società migliore.

La lettura delle dinamiche e delle contraddizioni sociali che Gramsci fornisce ancor oggi, non solo alla riflessione della sinistra italiana (seppur quest’ultima sia consapevole-colpevole di una svariata serie di fallimenti macroscopici), ci induce a ricordare che la lotta politica pensata dal filosofo deve espletarsi in uno spazio di diritti universalmente riconosciuti e non relativizzabili in nessuna regione del mondo, né in un tempo specificamente circoscritto. Ciò avviene, ad esempio, quando si tratta di diritti umani ed eguaglianza, due corollari spesso aggirati o relegati in un angolo dalla parte politica di chi oggi vorrebbe Antonio Gramsci sottoposto a revisione: punti irrinunciabili che però appaiono scomparsi totalmente dal vocabolario politico delle forze di governo e, purtroppo, anche di quelle all’opposizione.

Si afferma dunque in uno dei quotidiani che si è occupato qualche settimana fa della novità editoriale riguardante il libro su Antonio Gramsci di Alessandro Giuli, che esso rivisita il concetto di egemonia culturale dalla prospettiva della destra al potere in Italia. Dalla celebrazione della Costituzione italiana alla vocazione sociale delle arti; dalla critica alla cultura woke al superamento del sovranismo. Ma anche dal ritorno della politica come “fatica dello spirito”, alla ricerca di un nuovo umanesimo digitale e comunitario; dalla missione euro-mediterranea dell’Italia, alla costruzione di una narrativa dinamica dell’identità nazionale. È bene ricordare con forza che l’identità nazionale si è costruita non con la storia di una dittatura feroce e razzista in un Paese sempre orfano di un padre autoritario o di un uomo designato dal destino, ma con la costruzione di valori costituzionali democratici egualitari. Neppure è possibile risolvere retoricamente una fantomatica trasformazione della destra italiana con semplici affermazioni di buona volontà che alluderebbero alla morte del fascismo e del sovranismo: questi ultimi pericolosi aspetti ci appaiono oggi addirittura più che vivi e vegeti. La realtà invece vorrebbe che il cambiamento venisse espresso in forma intellettualmente onesta, comprovato nel quotidiano da azioni reali e incisive, come ad esempio la messa al bando una volta per tutte delle formazioni nazi-fasciste che imperversano liberamente contro le leggi dello Stato e, soprattutto, la cancellazione come atto etico e morale di una relazione e continuità storica con gli ideali del periodo storico più buio del Paese: una contiguità con quel passato ad oggi mai debellata. Inoltre il nostro esistere come entità-identità nazionale proviene da una storia tragica che appartiene alla lotta di affrancamento dal giogo dittatoriale per un’utopia di eguaglianza e libertà realizzata in parte nella nostra Costituzione, che si fonda sui principi della liberazione dal nazi-fascismo. La resistenza al riconoscimento di questo punto blocca il progresso collettivo della nazione e non consente una dialettica completamente democratica fra le parti opposte. Oggi la base sulla quale doveva poggiarsi il dialogo e il leale consenso al confronto su cui si sarebbe dovuta costruire la rinascita del nostro Paese appare in serio pericolo. Sia perché chi detiene il potere si affida ancora a logiche e retoriche vuote, sia perché non ha interrotto il filo rosso che lo lega alla fonte di un’idea del passato caratterizzato da chi ha perpetrato crimini liberticidi e razzismo contro gli ebrei, etnie ed oppositori politici nelle modalità più ripugnanti della nostra storia politica.

Per questi motivi la destra italiana non potrà mai assurgere a un’egemonia culturale in stile gramsciano se non mistificandone totalmente i contenuti. Anche il tentativo, in altri contesti critici, di far passare il pensiero gramsciano sull’egemonia culturale come la strutturazione di una dittatura inflessibile verso il dissenso non può essere così semplicisticamente accettato. Tutte le forze attive di una società pregna di volontà e vitalità immaginativa devono concorrere al suo miglioramento sulla base di una elaborazione culturale, politica, letteraria, filosofica, artistica ed economica che consenta la formazione strutturale di una identità, una forma, una sostanza, una idea di libertà protesa verso i valori di giustizia ed eguaglianza, una unicità che tenga insieme tutte le componenti sociali in una singola idea di società. L’elaborazione e lo studio del concetto di egemonia da parte di esponenti della destra italiana deve dunque porli in condizione di comprendere che il disegno di Gramsci, soprattutto pedagogico e politico, non può essere utile neppure in una ridefinizione teoricamente ben congegnata, perché la sua forma non può essere scissa dai contenuti diametralmente opposti a tutti quelli che hanno ereditato dalla loro storia.

Il cosiddetto predominio di un sistema di valori che è orientato in modo unilaterale viene giustificato in base al raggiungimento di un obiettivo utopico, che consiste nella visione di una società totalmente libera ed egualitaria sotto ogni punto di vista. La società immaginata da qualsiasi gruppo conservatore di destra non è invece mai orientata in una tensione utopica, ad esempio all’idea di una totale eguaglianza di diritti fra gli uomini, né è naturalmente diretta alla formazione di progetti che aspirino a una qualsivoglia forma di potere orizzontale. Il pragmatismo e il verticismo caotico della destra è molto più funzionale, attivo e realizzabile che nelle società improntate secondo un modello di organizzazione sociale collettivo e solidale, comunista, che nelle esperienze storiche ha fallito comunque l’obiettivo soprattutto per aver ceduto alle tentazioni del potere assoluto con l’intervento di fattori autoritari e repressivi.

I valori della destra sociale populista, in particolare, sono da sempre anche strategicamente e dolosamente confusi con quelli della difesa di una eguaglianza agognata dal proletariato, dal sottoproletariato, da vaste aree di popolazione ai margini delle società, vivendo nella realtà contraddizioni perenni: essi non hanno mai inteso proteggere né lontanamente salvare dal giogo dell’asservimento alla produzione capitalista le classi subalterne, che oggi hanno assunto forme e dinamiche socio-politiche ed economiche molto diverse dal passato. La destra ha valori e obiettivi ontologicamente opposti alla conformazione genetica del concetto di egemonia culturale così come fu strutturato da Antonio Gramsci. L’egemonia pensata dal filosofo sardo non era solo un metodo, un sistema, un ordine, un percorso, ma un contenuto progettuale in cui ogni individuo con il consenso della giusta causa forniva, secondo le proprie qualità, l’emersione e la condivisione del proprio contributo nella società in cui operava, in un quadro di collettivismo solidale. L’egemonia culturale di Gramsci non era quindi fenomeno elitario, ma strumento nelle mani di tutti seppur nel riconoscimento delle proprie funzioni e nelle condizioni in cui si agisce, non precludendo a nessuno il contributo per una società migliore: Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti). Gramsci asseriva in questo modo che tutti gli uomini sono intellettuali perché, anche se inconsapevolmente, contribuiscono a modificare la realtà in cui vivono secondo la concezione del mondo di cui sono portatori. Il punto nodale risiede nella consapevolezza, nel senso che solo pochi possiedono una coscienza critica. In questo solco Gramsci distingue e rilegge la teoria marxista della relazione fra struttura e sovrastruttura, in rapporto all’analisi della centralità della prassi umana. In questo senso se struttura e sovrastruttura hanno un collegamento indissolubile, quest’ultima deve essere analizzata con una sua dimensione specifica e non semplicemente come dominata dalla struttura economica. Entra in gioco il ruolo centrale della società civile come comprensiva di funzioni ed istituzioni complesse, come partiti, associazioni, giornali, ecc., e questa centralità non si può ridurre a qualcosa di deterministico o derivante completamente dalla struttura economica. In questo Gramsci rilegge il marxismo e non autorizza a una interpretazione autoritaria del suo concetto di egemonia culturale. Infatti, a differenza di quanto sostengono i critici del suo pensiero, egli ipotizza alleanze fra i diversi ceti sociali interessati a processi di trasformazione del capitalismo, elemento quest’ultimo molto diverso, tra l’altro, dal marxismo tradizionale.

Da questo postulato si comprende che l’egemonia culturale è un concetto nuovo e diverso dalla dittatura del proletariato, perché egemonia non è dominio e classe egemone non significa classe dominante. La classe egemone agisce secondo i tempi e le circostanze cercando autorevolezza in un sistema politico e sociale che preveda alleanze di forze sociali. Per questo il consenso come paradigma della gestione intellettuale e morale va ricercato anche all’interno di contesti politici differenti, tra quelli progressisti e disponibili alla costruzione del progetto comune. Questa modernità di approccio e di analisi non può avere nulla a che fare con la buona volontà di chi vorrebbe appropriarsi del suo ragionamento, perché non esistono punti di approdo per chi intravede forme autoritarie e non collettive della gestione del potere.

Se dunque si vuole costruire una nuova identità culturale con un metodo e una forma strutturati e armonici alle esigenze della contemporaneità, il sistema gramsciano rimane pienamente in vita e fortemente propulsivo, ma nella sua cornice e nella sua orbita di valori intangibili. Le parole e i termini egemonia, cultura, intellettuale organico, ecc., devono essere ben compresi nella loro profondità ontologica e nella funzione per essi immaginata: Intellettuale in senso specifico è colui che produce la consapevolezza critica e dà omogeneità a un gruppo sociale: sono gli agenti dell’egemonia, fanno da cerniera fra struttura e sovrastruttura.

La differenza macroscopica che rimane in vita ancora oggi fra destra e sinistra da un punto di vista teorico risiede nell’immaginazione, nella visione utopica, nella funzione pedagogica all’interno di una società, nel confronto senza flessioni sui diritti umani e di genere, nell’idea di un consenso su forme collettive e di condivisione del progetto di una identità che non sia mai prevaricazione ed esclusione. Gli interventi del governo di destra in Italia su aspetti fondanti la comunità che hanno riguardato la inderogabile questione della lingua, l’arte, la gestione dei beni culturali, il sentimento di appartenenza a modelli umanistici fondamentali sono stati approcciati con retorica, superficialità e ricerca di consensi elettorali. È l’utopia di una nuova società fondata sui contenuti della libertà e dell’eguaglianza che la riscatta e migliora.

 

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