Impossibile non mettere a confronto Fallout con The Last of Us di HBO, di cui già abbiamo parlato a suo tempo. Entrambe le serie infatti si ispirano a franchise di videogiochi per consolle e dimostrano in questa scelta la piena crisi letteraria della fantascienza: in mancanza di libri interessanti le produzioni preferiscono attingere ad altre più vitali forme di narrazione. Con particolare fortuna, mi permetterei di aggiungere. Ai polpettoni fallimentari e noiosi derivati da classici, più o meno travisati, come Foundation (e, al cinema, non esiterei ad aggiungere anche il soporifero Dune), si contrappongono invece queste più originali e spigliate declinazioni di un immaginario SF ormai sedimentato nelle nostre menti e accettato come tale, humus visionario indifferenziato: una serie di ritagli pot-pourri, frammenti patchwork non riconducibili a nessun autore in particolare e a tutti contemporaneamente – un po’ Dick, un po’ Ballard, un po’ Asimov, o Bradbury, o Heinlein, per dire – fette di inconscio globalizzato, già messo in scena migliaia di volte sulle playstation delle universali moltitudini desideranti, da Abu Dabi a Los Angeles, da Singapore a Sidney. Una scommessa molto più sicura! E le moltitudini oggi desiderano l’Apocalisse: o forse, apotropaicamente, la evocano per esorcizzarla, come in un rituale medievale di fine millennio, perché sanno che è maledettamente vicina.
Così, se The Last of Us, la serie di Mazin e Druckmann, profilava la sua escatologia apocalittica lungo un copione già scritto e molto preciso, con personaggi e situazioni già dati, Fallout, show targato Prime Video e basato sul franchise creato da Black Isle e Tim Cain, realizzato da Interplay e in seguito passato nelle mani di Bethesda, può permettersi invece un margine di invenzione e innovazione, rispetto al videogioco, assai più vasto: scenario e atmosfera sono quelle del preciso universo videoludico – un’estetica retrofuturista che attinge tanto ai B-Movie postapocalittici degli anni ’60, quanto alla saga di Mad Max e allo Spaghetti Western – ma la storia è quasi inedita ed i personaggi diversi.
La serie TV di Prime Video è infatti ambientata nel 2296, esattamente a 9 anni di distanza dalle vicende raccontate in Fallout 4 che è l’episodio cronologicamente posteriore nel videogioco di Bethesda, i cui capitoli sono disposti in ordine temporale consequenziale, lasciando agli spin-off la possibilità di esplorare periodi antecedenti o alternativi: una consecutio temporum, che potrebbe rendere la versione TV del gioco il prototipo di una sorta di Fallout 5, possibile espansione del gioco, derivata questa volta, se venisse realizzata in futuro per consolle, dal prodotto filmato. Un effetto speculare che conferisce piena autonomia creativa a Jonathan Nolan e Graham Wagner, rispettivamente produttore e sceneggiatore del progetto, che pare siano entrambi videogiocatori affezionati alle varie generazioni di Fallout dal 1997 al 2015.
Jonathan Nolan, il fratello meno noto del Cristopher Nolan fresco di Oscar, già autore di una serie che non ho amato affatto e la cui visione ho interrotto piuttosto presto, Westworld, in compagnia della stessa sceneggiatrice Lisa Joy e della showrunner Geneva Robertson-Dworet (quella di Captain Marvel), sono gli autori di quest’inedita riscrittura di Fallout – Nolan è anche regista della puntata pilota – cui conferiscono la struttura di un road movie corale ambientato nella California distopica del 2296 devastata dalla guerra nucleare. A differenza della troppo seriosa Westworld, Fallout si muove invece sul registro, molto più efficace, dell’umorismo nero, spaziando tra il comico, il cupo, e il grottesco, con abbondanza di sequenze estremamente splatter (un gusto che molto ricorda lo stile irriverente di The Boys) corredate, con evidente intento provocatorio, da una colonna sonora composta di classici musicali orecchiabili e briosi compresi tra gli anni ‘30 e i ’60, ad esempio, What a Difference A Day Made, It’s Just a Matter of Time, I’m Tickled Pink, I Don’t Want to See Tomorrow, We Three (My Echo, My Shadow and Me), titoli che acquistano, come nel videogioco, una risonanza del tutto particolare considerato il contesto. L’estetica anni ’50 dei flashback pre-bomba o quella vintage che caratterizza i Vault sotterranei nel presente diegetico, rendono memorabile la scenografia della serie, così come i set in esterno del panorama lunare e desertico di superficie, girati in location reali in Namibia e sulle montagne dello Utah.
Su questo scenario già noto ai gamers si muovono i nuovi protagonisti: Lucy (Ella Purnell, già vista in Yellowjackets), giovane nata e cresciuta nel Vault 33, una delle strutture antiatomiche apparentemente concepite per salvare una parte dell’umanità, che dopo un lavaggio del cervello durato vent’anni nelle strutture falsamente idilliache e protette della Vault-Tec, è costretta ad avventurarsi in superficie nella Zona Contaminata, alla ricerca del padre rapito (Kyle MacLachlan, attore iconico di David Lynch, protagonista di Dune, Blue Velvet e agente speciale Dale Cooper in Twin Peaks); Maximus (Aaron Moten), aspirante scudiero membro della Confraternita d’Acciaio, la setta militare di cavalieri meccanizzati ben nota ai videogiocatori, il personaggio probabilmente più stucchevole e meno riuscito; e il Ghoul cacciatore di taglie (Walton Goggins, già noto per Justified, o The Righteous Gemstones), ex attore in Western scadenti ad Hollywood, precedentemente noto come Cooper Howard, assai ben caratterizzato nell’audio in lingua originale dall’interpretazione in dialetto texano da vero cowboy. I ghoul, si situano da qualche parte nel continuum tra umani e zombie, in base al tempo passato dalla loro contaminazione e di quante medicine sono riusciti a rimediare: a Cooper Howard non è andata troppo male, perché è ancora vivo dopo due secoli, anno più, anno meno. Infatti il Ghoul è sopravvissuto alla guerra e al bombardamento atomico del 2077 che ha generato il mondo post-apocalittico, e proprio intorno alla sua esistenza pre e post-atomica si focalizzano i momenti narrativi forse più significativi e provocatori della serie: il mondo del 2077 è ancora alle prese con una prolungata Guerra Fredda caratterizzata da due diverse sfere d’influenza, una rappresentata dagli U.S.A. e l’altra dal blocco comunista dell’ancora esistente Unione Sovietica e dalla Cina. L’America, dal canto suo, è ancora immersa nella cultura e nell’estetica degli anni ’50 del ‘900, con le star di Hollywood impegnate a sponsorizzare le varie iniziative di propaganda anticomunista del governo. Come sanno bene tutti gli appassionati del gioco, l’apocalisse nucleare che ha cambiato per sempre le sorti del mondo di Fallout ha avuto inizio con una guerra tra U.S.A. e Cina, i cui governi si sono reciprocamente accusati di aver lanciato per primi l’attacco atomico. Il finale di stagione della serie Tv propone però una nuova prospettiva sugli eventi che hanno portato il mondo al collasso. Dietro il disastro, potrebbero infatti esserci le macchinazioni della Vault-Tec, società che ha prosperato con la progettazione e la vendita dei rifugi antiatomici. Un’eventualità suggerita dalla sequenza che vede Howard Cooper ascoltare i discorsi dei dirigenti della Vault-Tec, che auspicano una guerra nucleare come la più grande opportunità commerciale della storia: accrescerebbe la domanda di rifugi antiatomici, dei quali hanno ottenuto dal governo il monopolio. Un barlume quindi anche di vaga polemica politica, in una trama votata soprattutto ad un puro, per quanto cinico e perfido, divertissement.
Negli otto episodi che compongono questa prima stagione di Fallout, della durata di un’ora l’uno circa, la trama si dipana soprattutto intorno a questi tre personaggi, le cui vicende si vanno a intrecciare fino a un epilogo che incarna appieno l’atmosfera della serie in equilibrio fra comicità dissacrante (irresistibilmente sboccata e volgare, alla The Boys, come dicevamo) e drammaticità cupa e aggrottata. Fallout non delude neppure dal punto di vista tecnico e registico, essendo in grado di riprendere esattamente sia la palette cromatica tipica del gioco per quanto riguarda le ambientazioni, che i costumi indossati dai protagonisti e dalle bizzarre creature umane o meno che abitano la Zona Contaminata. Solo una licenza degli sceneggiatori ha disturbato alcuni fanatici appassionati del gioco. La città di Shady Sands, capitale della New California Republic (NCR), è considerata un punto fermo di tutti i capitoli del videogioco. Nella serie invece apprendiamo che Shady Sands è stata bombardata nel 2277, proprio dallo stesso Hank MacLean, il padre di Lucy, quando questa era solo una bambina. Al luogo è inoltre legato il personaggio di Maximus, che ha perso la famiglia nel bombardamento. Questa decisione di fissare la distruzione di Shady Sands nel 2277 della timeline ha scatenato un vero e proprio dibattito sulla legittimità della scelta, dal momento che sarebbe in contraddizione con gli eventi descritti in Fallout: New Vegas, ambientato nel 2281. Insomma ermeneutica e filologia non disertano nemmeno il canone dei videogame.