di Edoardo Todaro
Suaad Genem; Edizioni Q, 2024, pp. 180; € 17
Scrivere qualcosa a proposito di “ Il racconto di Suaad “ vuol dire non solo ringraziare le Edizioni Q per aver dato alle stampe questa testimonianza, ma vuol dire prendere spunto da quanto la ex prigioniera palestinese descrive per dire qualcosa a proposito del genocidio in atto. Il genocidio portato avanti dall’entità sionista, con la complicità dell’occidente e dei paesi arabi, nei confronti del popolo palestinese. Suaad è stata incarcerata per ben tre volte: 1979; 1983; 1991. Suaad descrive quanto viene subìto da lei e dai tantissimi prigionieri politici palestinesi. Suaad ci mette di fronte a ciò che tantissimi rivoluzionari,da Ho Chi Min a Che Guevara, da George Jackson a Sante Notarnicola, in tutto il mondo, in tante esperienze di liberazione anticoloniale e di lotta per il potere, ci hanno insegnato: le carceri come scuola di formazione politica all’interno del percorso di liberazione nazionale.
Possiamo dire, senza smentita alcuna, che in Palestina non c’è famiglia che non abbia fatto i conti la repressione e con la prigionia e quindi, conseguenza logica, i prigionieri hanno avuto sempre, ed hanno anche ora, un ruolo centrale nella lotta di liberazione. Quanto sta accadendo è sotto gli occhi di tutti: da una parte ospedali bombardati, uomini torturati; deceduti mangiati da animali; la fame come strumento di guerra; dall’altra la resistenza di un popolo che soffre ma non è disperato, che si sostiene grazie allo spirito di resistenza , al senso di unità in difesa di una identità collettiva: politica, culturale, sociale. Un senso di unità che fa sì che non ci sia alcun tipo di vittimismo, ed il dolore verso ciò che sta succedendo diviene resistenza, una lotta di un popolo che ha assunto un carattere universale.
Resistenza che i palestinesi attuano, come, storicamente, hanno fatto tutti i popoli colonizzati. Ma quanto sta accadendo non è opera di un sicario psicopatico; c’è un’entità criminale che sta portando avanti un’opera di annientamento. La solidarietà che in tutto il mondo si esprime dalle facoltà occupate, al blocco dei porti, è un’arma fondamentale per i palestinesi ma anche per tutti coloro che si schierano apertamente contro l’entità sionista e per un vero e proprio boicottaggio dei rapporti diplomatici e commerciali tra questa ed i governi che la sostengono. Detto questo, appena inizi a leggere ti rendi conto di cosa hai tra le mani.” ….. a tutta la mia famiglia, ai combattenti, ai prigionieri ….. “. Suaad ci parla della seconda prigionia, il 1983. Oggi, nel 2024, assistiamo a quello che è già accaduto in passato, pulizia etnica, città rase al suolo, date alle fiamme; incursioni dell’esercito nelle case. Ma di fronte a questo Suaad ci ricorda che la dignità non può essere comprata e che nella mente di tutti i palestinesi c’è un solo pensiero: liberare la Palestina, le sofferenze non potranno fermare il cammino verso la giustizia, non esistono alternative alla lotta, la liberazione della Palestina è solo una questione di tempo, il colonialismo, al di là di quanto potrà durare, è destinato a finire. Suaad ci racconta l’interrogatorio, le pressioni subìte, le molestie sessuali, i programmi sistematici di tortura psicologica; ci racconta la capacità di resistenza attraverso la consapevolezza che la propria resistenza appartiene alla resistenza di tutti, resistere al dolore e non cedere, non dargliela vinta, e che è meglio morire che essere umiliati, perché la morte è un qualcosa che i palestinesi mettono in conto.
Un imperativo categorico guida Suaad: “ tacere, pazientare, resistere “ perché i carcerieri li puoi sconfiggere con la calma e l’indifferenza ed evadere con l’immaginazione, perché “ la Palestina è nelle mie vene, più vicina dei battiti del cuore “. La resistenza di Suaad si concretizza nel non riconoscere i tribunali israeliani, perché la tragedia dei prigionieri politici è la tragedia di tutti i palestinesi; nell’evitare le contrapposizioni e divisioni, volute da israele con le detenute comuni. Vivere il carcere significa anche mantenersi in forma sia a livello fisico che mentale leggendo, discutendo, imparando; significa rapportarsi con la detenzione amministrativa, senza accuse, senza incontri con i familiari ecc …; significa costruire amicizie indimenticabili e lottare contro il lavoro svolto dalle detenute per aziende israelo/statunitensi o per cucire divise militari; le celle con letti di ferro che in realtà sono sbarre di ferro saldate tra loro;la privazione del sonno; il comitato di lotta con azioni che scaturiscono da un’analisi attenta e non da una emotività dovuta alle provocazioni, lo sciopero della fame. Suaad è l’esempio che sfata tanti pregiudizi a proposito del ruolo delle donne, con la loro, crescente, partecipazione alla lotta; donne che hanno assunto ruoli di responsabilità del movimento dei prigionieri; che hanno potuto strappare quanto rivendicato perché hanno lavorato tutte insieme, unite al di là dell’appartenere ad una fazione o ad un’altra. Una testimonianza , quella di Suaad, necessaria, oggi più di ieri, per far conoscere quanto sta avvenendo. In conclusione ritengo giusto citare proprio Suaad: “ Il sole del mio paese sorge all’alba di ogni giorno e la sua luce non verrà mai reclusa nelle celle dell’occupazione “ e consigliare a coloro che vogliono approfondire la questione della detenzione dei prigionieri politici palestinesi , di visitare il sito di ADDAMEER , realtà da sempre impegnata nel denunciare i soprusi dell’occupazione e per questo messa al bando dall’entità sionista.