di Marco Sommariva
Vent’anni fa lessi La volgarità in letteratura di Aldous Huxley, una raccolta di saggi dello scrittore inglese; fra questi, mi colpì La pubblicità dove, fra le altre cose, scriveva che “La storia dello sviluppo della pubblicità, dall’infanzia dei primi anni del XIX secolo fino alla rigogliosa maturità del XX secolo, costituisce un capitolo essenziale nella storia della democrazia. E sempre a proposito di democrazia, aggiungeva: con la democrazia l’arte pubblicitaria è entrata in pieno rigoglio. […] Già adesso la sezione dedicata alla pubblicità costituisce la parte più interessante e in qualche caso anche la più leggibile di quasi tutte le riviste americane. E il futuro, che cosa ci riserva?” Vi assicuro che fu grande la mia soddisfazione nel leggere queste parole perché, fra sguardi esterrefatti di chi si rende conto di avere un marziano in casa e commenti poco generosi, erano anni che predicavo che era la pubblicità a raccontarci chi eravamo davvero, cosa ci stava intorno, forse meglio di tanti articoli sui giornali e servizi alla TV. Mi sembrò d’impazzire quando mi si guardò come una qualsiasi merdaccia che aveva visto San Pietro sulla traversa di una porta di calcio, quando puntai ripetutamente il dito verso spot che reclamizzavano prodotti utilizzando famiglie composte da figli, genitori e nonni che, però, nonni non erano: erano attori anagraficamente ben lontani dal poter essere nonni, ma diventati tali grazie a un trucco a tratti pure pacchiano, a tinte grigie applicate qua e là su capelli ben lontani dal pericolo di cadere. Per me era evidente: la Società voleva far fuori i vecchi, proprio come ci aveva raccontato Umberto Simonetta nel suo romanzo I viaggiatori della sera o Adolfo Bioy Casares nel suo Diario della Guerra al Maiale. Insomma, ero proprio contento di non sentirmi più solo ma, anzi, di essere in ottima compagnia, avendo al mio fianco Huxley, mica bruscolini!
Sono vent’anni che mi rimbomba nella testa la sua domanda: E il futuro, che cosa ci riserva?
Quando mi capitò di leggere Gli Antimercanti dello spazio di Frederik Pohl, libro pubblicato in Italia nel 1984, pensai che, forse, lì, c’era la risposta alla domanda di Huxley. In questo romanzo, il protagonista – convinto pubblicitario – si ritrova vittima di una zona a pubblicità “campbelliana”, ossia una delle numerose aree sparse per la città segnalate da cartelli poco riconoscibili, capaci di rendere la vittima totalmente dipendente da un prodotto grazie allo stimolo e alla manipolazione dei centri nervosi. Tutto questo in un mondo dove le aziende pubblicitarie detengono il potere reale e i politicanti sono ridotti a banali marionette che le stesse agenzie costruiscono e pubblicizzano durante le campagne elettorali.
Un mondo dove le persone sono circondate da pubblicità e offerte di ogni genere: “Slogan pubblicitari a cristalli luminosi scorrevano sui muri, i più recenti luminosi come il sole, i più vecchi sporchi e resi irriconoscibili dai graffiti. Sul marciapiede i chioschi fornivano campioni gratuiti di Fuma-Godi e Caffeissimo e tagliandi di sconto per mille prodotti. Nell’aria nebbiosa apparivano immagini olografiche di cucine miracolose e di viaggi fantastici ed esotici della durata di tre giorni; da ogni parte si sentivano canzoncine pubblicitarie…”
Un mondo dove i messaggi pubblicitari vengono impressi sulla retina: “Qui era il Potere. L’intero immenso edificio era consacrato ad una missione sublime: il miglioramento dell’umanità attraverso l’ispirazione a comprare. Vi lavoravano più di diciottomila persone. Redattori di slogan e apprendisti giocolieri di parole; specialisti in media, capaci di far risuonare un comunicato dall’aria che respirate, o di imprimere un messaggio sulla vostra retina; ricercatori che ogni giorno inventavano nuove e più vendibili bevande, nuovi cibi, aggeggi, vizi, manie di ogni genere; artisti; musicisti; attori; registi; compratori di spazio e compratori di tempo… la lista continuava all’infinito.”
Un mondo dove la noia dà vita al buon consumatore: “Ciò che faceva il buon consumatore era la noia. La lettura era scoraggiata, le case non erano una gioia a starci… cos’altro potevano fare delle proprie vite, se non consumare?”
Ma sì, dai, non c’era dubbio, la risposta alla domanda E il futuro, che cosa ci riserva? non poteva altro che essere lì, nel romanzo di Pohl: immagini olografiche, messaggi pubblicitari impressi sulla retina, scoraggiare la lettura e annoiare le persone. Occorreva stare all’erta, e su questo ci era già stato detto qualcosa nel romanzo Un mondo sinistro di Vladimir Nabokov: “In altre nazioni notiamo un numero enorme di organi di stampa in concorrenza fra loro. Ogni quotidiano vuole convincere il lettore del proprio punto di vista, e tale sconcertante diversità di tendenze produce la confusione totale nella mente dell’uomo della strada; nel nostro paese veramente democratico una stampa omogenea è responsabile, nei confronti della nazione, della corretta educazione politica che fornisce. Gli articoli che compaiono sui nostri giornali non sono frutto della fantasia individuale di questo o di quello, bensì un messaggio maturo preparato con cura per il lettore il quale, a sua volta, lo riceve con il medesimo atteggiamento mentale fatto di serietà e attenzione. Un’altra caratteristica importante della nostra stampa è la collaborazione volontaria dei corrispondenti locali – lettere, suggerimenti, dibattiti, critiche, eccetera. Pertanto, è evidente che i nostri cittadini hanno libero accesso ai giornali, uno stato di cose sconosciuto altrove. È vero che in altri paesi si parla molto di “libertà”, ma, nella realtà dei fatti, la mancanza di fondi non consente l’accesso all’uso della parola stampata. È palese che un milionario e un operaio non hanno le stesse opportunità. La nostra stampa è proprietà pubblica della nazione. Quindi non è gestita su base commerciale. In un quotidiano capitalista, finanche gli annunci pubblicitari possono influire sulle sue tendenze politiche”.
Eccolo lì il punto fondamentale: In un quotidiano capitalista, finanche gli annunci pubblicitari possono influire sulle sue tendenze politiche.
Negli anni mi sono domandato spesso, in attesa che ci venga impresso sulla retina un qualche messaggio pubblicitario, se non si fosse trovato un modo per impressionarci comunque, ma senza passare attraverso l’evidenza di uno spot, di un cartellone pubblicitario, di un’immagine. E me lo domandavo perché, se la risposta fosse stata affermativa, avremmo corso un bel pericolo; giorni fa ho scoperto che, sì, questo modo è stato trovato e, vista l’assoluta mancanza di alzata di scudi registrata, direi che l’obiettivo è stato raggiunto, e pure alla grande perché una pubblicità pubblicata in calce a un articolo dove si parla di un probabile stupro, facendola passare come una normale appendice della tragedia prima descritta è, a modo suo, un capolavoro. Uno schifosissimo capolavoro, questo lo ammetto. Sto parlando dell’articolo pubblicato on-line su Il Giornale d’Italia intitolato “Genova, studentessa 19enne in gita scolastica violentata su una nave da crociera, arrestati 3 coetanei francesi”.
Vi chiedo la cortesia di leggerlo per intero, anche soffermandovi a riflettere sull’uso del grassetto per evidenziare alcune parole. Incredibile, vero? In poche righe, si passa con spaventosa naturalezza da “Nell’ospedale genovese i medici hanno confermato la violenza” a “La nave sulla quale è avvenuta la violenza è una delle navi di punta della nota compagnia di navi da crociera: offre suite lussuose con vasche idromassaggio e cabine confortevoli per famiglie e gruppi.”
Ora vi dico le prime due cose che mi sono venute in mente terminata la lettura.
La prima è quello che mi disse, anni fa, il mio responsabile d’ufficio quando compilai un form negativo relativo a un periodo di prova di un ragazzo che aveva sempre lavorato come orafo, ma che qualcuno lo voleva far assumere a tutti i costi nel mio reparto di logistica, mi disse: “Visto che l’unica nota positiva di questo ragazzo è che si è sempre presentato puntuale al lavoro, riscriviamo il form mettendo prima tutte le cose negative e, alla fine, quella positiva: sono trucchi che ci sono stati insegnati durante l’ultimo corso tenuto per noi dirigenti.”
La seconda, forse perché si parlava di navi, è stato un passaggio del bellissimo romanzo del 1889 di De Amicis, Sull’oceano, in cui si cita la popolarità di un passeggero che la doveva “a un tesoro pornografico che aveva ereditato da un parente: un grosso quaderno tutto pieno di caricature oscene, di sciarade sporche o di aneddoti, i quali, letti a pagina piegata, eran brani di vite di santi, e a pagina aperta, troiate dell’altro mondo.”
Riguardo la prima, vedete un po’ voi quante analogie trovate con l’articolo in questione; riguardo la seconda, ho provato tanto rammarico nello scoprire che troiate dell’altro mondo le leggiamo anche a pagine piegate, che dilaga una pornografia di cui nessuno si scandalizza e che, forse, chissà, un giorno prenoterò una cabina su una nave da crociera o su un’astronave perché sulla mia retina è rimasto impresso l’ultimo passaggio di qualche articolo di cronaca o all’improvviso sarò preda di un irrefrenabile desiderio di una tazza fumante di Caffeissimo, tanto da sgomitare e calpestare la gente in coda, anche loro indemoniati da un improvviso e ingovernabile impulso.
Alla fine, riusciamo a far diventare spettacolo tutto quanto, anche uno stupro. E ora… pubblicità.