di Gioacchino Toni
Cory Doctorow, Come distruggere il capitalismo della sorveglianza, traduzione del Gruppo Ippolita, Mimesis, Milano-Udine, 2024, pp. 156, € 16,00
«Il monitoraggio permette ai ricchi e ai potenti di capire chi sta pensando di costruire ghigliottine e quale macchina del fango possono adoperare per screditare questi progetti prima ancora che arrivino al deposito di legname». Così scrive Cory Doctorow nel suo nuovo libro ruotante attorno alla convinzione che buona parte del successo delle Big Tech derivi dal controllo monopolistico sulla comunicazione e sul commercio; monitorare efficacemente gli utenti/clienti e controllare fette importanti del panorama dell’informazione significa intuire prima dei concorrenti cosa e come gli individui siano propensi ad acquistare. «Il dominio, cioè il fatto di diventare un monopolista (e non i dati in sé) è il fattore decisivo che rende ogni tattica degna di essere perseguita, perché il dominio monopolistico priva il suo target-cliente di una via di fuga».
Secondo Doctorow, l’analisi del capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff tende a sovrastimare la capacità di persuasione delle tecniche a cui ricorre tale sistema; l’efficacia, comunque di breve durata, di tali tecniche sarebbe in realtà ben meno rilevante di quel che gli stessi colossi tecnologici millantano. «L’industria tecnologica è stata così brava a commercializzare i propri presunti superpoteri che è facile credere che sia in grado di commercializzare tutto il resto con un’acutezza simile, ma è un errore cedere alla loro propaganda». I colossi del digitale mentono anche sull’efficacia dei loro sistemi di persuasione basati sull’apprendimento automatico. Il prodotto delle grandi aziende è la persuasione e ciò riguarda anche la loro efficacia.
A indirizzare gli utenti, sostiene Doctorow, non sono tanto le strategie messe in atto dalle Big Tech ma il loro operare in regime di sostanziale monopolio. La forza di Facebook, ad esempio, non risiede tanto nella capacità di sfruttare i dati raccolti per sottoporre agli utenti pubblicità mirate ma piuttosto nella sua capacità di trattenere per lungo tempo gli utenti così da inondarli da un flusso di informazioni sponsorizzate talmente elevato che per forza contiene annunci rispondenti ai loro interessi. Un colosso come Amazon è divenuto predominante (al di fuori della Cina) nell’e-commerce perché ha letteralmente assorbito i grandi ed i piccoli rivali conquistando così un ruolo di indubbio monopolio ed è proprio grazie al suo agire in stato di monopolio che può plasmare i mercati facendo scelte informate.
A permettere alle Big Tech di esercitare sorveglianza non è soltanto il loro essere tecnologiche ma anche – e soprattutto – il loro essere giganti. In un tale contesto, il tradizionale controllo dello Stato, sottolinea Doctorw, è però tutt’altro che un vecchio arnese del passato appartenente ad un’epoca ormai lontana in cui «il grande pericolo pubblico era quello di essere arrestati per dissidenza politica, e non di essere privati del proprio libero arbitrio grazie all’apprendimento automatico». Sorveglianza statale e sorveglianza privata sono in realtà molto più interfacciate. «Oggi l’unico modo veramente conveniente e concreto per condurre una sorveglianza di massa sulla scala praticata finora dagli Stati moderni – sia quelli “liberi” che quelli autocratici – è quello di subordinarli ai servizi commerciali».
Se gli Stati sono restii a limitare la potenza dei colossi tecnologici che operano attraverso la datificaizone è anche perché hanno bisogno di essi. Non può esserci sorveglianza statale di massa senza che vi sia sorveglianza commerciale di massa. Le premesse di tutto ciò si danno in quella svolta neoliberista di fine anni Settanta del secolo scorso che, dietro a tanta retorica, ha posto le basi per aggirare le limitazioni ai monopoli. Ronald Reagan si è avvalso di personaggi come Robert Bork, ex procuratore generale da lui nominato alla Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Distretto di Washington. «I monopoli sono un ottimo modo per rendere i ricchi ancora più ricchi, consentendo loro di ricevere “rendite monopolistiche” (cioè maggiori profitti) e di controllare i legislatori, portando a un ambiente normativo più debole e più favorevole, con minori protezioni per i clienti, i fornitori, l’ambiente e i lavoratori».
Per dare un’idea di quanto siano aumentate le capacità di esercitare sorveglianza da parte statale, si pensi che mentre l’apparato della Stasi in Germania dell’Est controllava in maniera capillare il Paese ricorrendo ad un informatore ogni sessanta persone, oggi la NSA (National Security Agency) ricorre a un agente per monitorare 10 mila cittadini a livello mondiale e ciò è stato reso possibile dalle Big Tech.
Il controllo di massa da parte dello Stato è possibile solo grazie al capitalismo della sorveglianza e ai suoi sistemi di targeting pubblicitario a bassissimo rendimento, che richiedono un’alimentazione costante di dati personali per dirsi redditizi a malapena. Il problema principale del capitalismo della sorveglianza è rappresentato dagli annunci pubblicitari fuori tema, mentre il problema principale della sorveglianza di massa è rappresentato dalle palesi violazioni dei diritti umani, che tendono al totalitarismo (p. 81).
Non è possibile operare una netta distinzione tra sorveglianza di Stato e capitalismo della sorveglianza visto che dipendono l’una dall’altro. In un sistema sostanziamene monopolista come l’attuale, i legislatori hanno dovuto assegnare alle Big Tech compiti onerosi simili a quelli di pertinenza di uno Stato: filtrare automaticamente gli interventi degli utenti per verificare eventuali violazioni di copyright, contenuti razzisti, sessisti, violenti, discriminatori ecc. Soltanto le grandi piattaforme hanno le risorse umane e tecnologhe necessarie per tentare, almeno formalmente, di far fronte a tali obblighi ed è anche per tale motivo che si adoperano per ostacolare l’interoperabilità concorrente che potrebbe vanificare le misure di controllo.
Senza la sfera di cristallo di Amazon, Google e tutti gli altri grandi appaltatori tecnologici, la polizia statunitense non sarebbe in grado di spiare le persone di colore, l’ICE non sarebbe capace di gestire la reclusione dei bambini al confine degli Stati Uniti, e i sistemi di welfare statali non potrebbero “ripulire” le loro liste travestendo la crudeltà da empirismo, sostenendo cioè che le persone povere e vulnerabili non sono idonee all’assistenza (p. 60).
La ritrosia degli Stati a intervenire per limitare la sorveglianza deriva, almeno in parte, dalla relazione simbiotica tra le Big Tech e lo Stato. «Non c’è sorveglianza statale di massa senza sorveglianza commerciale di massa. Il monopolio è la chiave del progetto di sorveglianza statale di massa».