Sono trascorsi dieci anni dalla nascita della rivista letteraria Achab, fondata dallo scrittore Nando Vitali e curata insieme a Giuliana Vitali. Un percorso coraggioso con la realizzazione di 13 volumi monografici che esplorano tematiche letterarie, artistiche, culturali, sociali.
Quest’ultimo volume pubblicato dalla casa editrice romana Kulturjam edizioni, porta il titolo di Achab. Gli occhi di Argo|sul carcere e che approfondisce una delle questioni più complesse e attuali della nostra società, appunto quella carceraria.

Per questo si è scelto di dialogare con Giuliana Vitali, curatrice di questo numero monografico.

In che modo si pone una rivista letteraria come Achab all’interno della società?

Tra i ruoli di una rivista letteraria c’è quello di accogliere una narrazione corale fatta di voci diverse tra loro, spesso apparentemente discordanti e che portano a interrogarsi su sé stessi e sulla realtà, insinuano dubbi, creano un certo spaesamento mettendo in discussione anche le proprie idee. Tutto questo mescolando le varie forme d’arte con i loro linguaggi e interagendo con chi legge e interviene agli incontri sul territorio. È perciò uno strumento per indagare la realtà, raccontarla e dare vita a dibattiti.

Cosa vi ha ispirato a dedicare il volume monografico “Gli occhi di Argo|sul carcere” sul tema delle carceri?
È un’urgenza che nasce dalla negazione e violazione dei diritti, di cui si parla e scrive tanto – e spesso in termini di pietas cattolica – ma l’approfondimento più radicale resta confinato in “dibattiti di nicchia”. Cambiando l’accezione di Argo Panoptes, figura leggendaria di carceriere dai cento occhi, esploriamo da diverse angolazioni ciò che riguarda la condizione carceraria – anche con uno sguardo su paesi come l’Africa e la Turchia -, attraverso la continua interazione di linguaggi critici ed espressivi fino a poter forse raggiungere contezza che la presa di posizione verso i diritti civili riguarda la società tutta, nessuno ne è estraneo.

In questo numero di Achab sono presenti contributi davvero interessanti, ce ne parla? Inoltre, sono stati raggiunti i dieci anni di pubblicazioni della rivista, un percorso davvero notevole.
Hanno contribuito sia personaggi già affermati sia giovani che da un tempo più recente sperimentano forme d’arte per raccontare la realtà affrontando temi sociali. Achab è una rivista letteraria illustrata e difatti anche le illustrazioni hanno un ruolo ben preciso nel racconto.
La copertina è stata creata da Murat Başol, illustratore turco. Abbiamo pensato a lui perché partecipò a uno dei più discussi processi sulla libertà di stampa in Turchia: il Processo Cumhuriyet. Essendo vietati telecamere, fotocamere, cellulari e registratori, un gruppo di illustratori “attivisti” ha disegnato tutto quello che accadeva al processo per poi divulgarlo fuori.
Tutte le altre illustrazioni sono dei detenuti in Italia che hanno partecipato a un progetto artistico dell’Associazione Artisti Dentro.
Un’illustrazione è stata creata dall’artista Senzarumore per la poesia inedita di Charles Simić.
Abbiamo interventi di Filippo La Porta con la visione del tempo in un contesto di reclusione, Susanna Marietti che racconta del carcere minorile, Susanna Ronconi sulla condizione delle donne in carcere, Erri De Luca, Simona Maggiorelli, Andrea Carraro, Alexandro Sabetti, Matteo Giusti, Giyasettin Șehir e tanti altri.
Arrivare a 10 anni per una rivista letteraria cartacea è un traguardo importante che nasce dalla necessità del direttore Nando Vitali nel creare un luogo di confronto che possa restare nel tempo.
Gli argomenti attraversati sono stati tanti: penso alla trilogia sul Sud (inteso come luogo dell’anima), alla forma Romanzo, alla Musica, all’Arte in relazione ai nuovi media, agli speciali su Albert Camus o su Pasolini nel suo centenario.

A proposito di attività artistiche all’interno delle carceri, secondo Lei, quale impatto reale può avere sulla riabilitazione del detenuto?
Intanto i progetti artistici in carcere sono pochissimi e organizzati soprattutto da volontari. Pensiamo alla condizione del detenuto: in un luogo dallo spazio ridotto, limitato e in un tempo immobile. La realtà fuori cambia mentre dentro resta tutto uguale. È perciò indispensabile secondo me creare un ponte tra il dentro e il fuori e viceversa. Questo per il momento potrebbe farlo solo l’arte che diventa sopravvivenza non solo allargando il tempo del detenuto ma ricercando anche una nuova consapevolezza del proprio corpo. In carcere i muscoli si atrofizzano, gli occhi si abituano alla poca luce oppure a quella artificiale, la musica, i rumori del quotidiano non esistono più. E il cervello in qualche modo cerca di ricordare e ricreare. Questa immaginazione può prendere forma solo attraverso i vari linguaggi artistici come per esempio il teatro, la scrittura, il disegno, la musica.

Prima mi raccontava della presenza di Achab sul territorio. Quali tipi di incontri state organizzando e che riscontro avete con le persone che partecipano?
Con questo volume abbiamo cercato di avvicinare le persone all’argomento carceri attraverso eventi dinamici, di stampo non “accademico” – quindi non solo per gli addetti ai lavori – ma con la collaborazione di voci autorevoli che affrontano la realtà carceraria ogni giorno in quanto detenuti, ex detenuti, attivisti, artisti engangé, associazioni, intellettuali (ahimé pochi), studiosi di tematiche socio-culturali. Ne cito alcuni: l’Associazione Antigone, Radio Radicale, Nessuno tocchi Caino, la Compagnia Teatrale Fort Apache del carcere di Rebibbia, la Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Rieti, la street artist Pax Paloscia, il regista Fabio Cavalli, Sandro Veronesi, Paolo Di Paolo, Edoardo Albinati. La rivista è solo cartacea ma utilizziamo le pagine social per incontri on-line che possano approfondire di volta in volta determinati punti del complesso tema carcere. Abbiamo per esempio dialogato con Mauro Palma – ex garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale – Emilia Santoro, Elisabetta Zamparutti, Susanna Ronconi e tanti altri. Questi eventi suscitano in molti curiosità, voglia di saperne di più, riflessioni, confronti e quindi interazione. Achab è una goccia nel mare ma crediamo che sia necessario l’atto di responsabilità esprimendo e raccontando il nostro tempo.

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