di Gioacchino Toni
Francesca Marzia Esposito, Ultracorpi. La ricerca utopica di una nuova perfezione, minimum fax, Roma 2024, pp. 387, cartaceo € 19,00 – ebook € 11,99
A partire dall’esperienza autobiografica che l’ha vista, sin da ragazzina, alle prese con la danza, con un fratello appassionato di body building, in Ultracorpi Francesca Marzia Esposito indaga l’immaginario legato al corpo e alle sue trasformazioni prendendo in esame le due direzioni estreme della materialità ultradilata e della tendenziale smaterializzazione. Votati alla ricerca di una forma tanto più astratta e irreale, quanto più definita e anatomicamente controllata, i corpi plasmati dalle discipline del body building, della danza e della ginnastica sembrano dare rappresentazione estetica a forme di disagio opposte e complementari.
L’atto di pompare il corpo fino a iperdilatarlo o di castigarlo smagrendolo fino a renderlo trasparente, secondo l’autrice del volume tradisce l’illusione di «sentirsi al sicuro dagli attacchi esterni»; il corpo confinato funge da isola protetta in cui trovare rifugio. «Due corpi corazzati in modi diversi che proteggono la stessa debolezza. Iperprotetti da noi stessi, ci illudiamo di trovare un po’ di pace. Un po’ di quiete».
Si tende a guardare chi pratica il body building come a un individuo vanitoso e superficiale ma, sottolinea Esposito, è interessante notare come nei suoi confronti i giudizi negativi vengano espressi senza remore ricorrendo a un linguaggio ruvido e diretto. È come se il politicamente corretto fosse riservato soltanto ai soggetti ritenuti deboli e, a quanto pare, chi ha pompato il proprio corpo fino all’inverosimile «non ha nessun motivo di soffrire, quindi non ha senso proteggerlo. Nel suo caso si può dire esattamente quello che si pensa, usando parole cariche di connotazioni negative, sfogando così quella voglia repressa di giudizio che il bon ton linguistico ci ha compresso nella mente».
Nella società contemporanea, si chiede l’autrice di Ultracorpi, quando si assiste a una performance di ginnaste cosa di vuole realmente vedere? «Ci basta la famosa leggiadria romantica tradizionale? O esiste un bisogno estetico contemporaneo, che spinge alla ricerca del weird, del mondo al limite, del superamento del quotidiano?». È forse da tale ricerca del limite estremo, della extra-ordinarietà che deriva il bisogno di distruggere il corpo ordinario per modellarne uno perfezionato.
Questo discorso riguarda tutto il contesto sociale nel quale siamo immersi, scandito da una persistente tendenza al corpo inarrivabile, che al suo interno contiene non solo le vittime e i carnefici – intenti ognuno a perpetrare il proprio ruolo – ma anche quella indignazione che ogni tanto viene alla ribalta sul caso del momento. Non è uno scandalo. Sono cose risapute. È solo che ciclicamente finiscono nel tritarifiuti della comunicazione. […] Lo scandalo tirato fuori ogni tanto fa gioco al sistema perché permette di accogliere la crepa della disapprovazione, crepa che, anziché spaccare il meccanismo, mira a dargli aria. E in questa esternazione liberatoria da una condizione costrittiva, il pubblico si identifica, diventa protagonista passivo in forma di massa-quantità vessata. Il singolo caso diventa capro espiatorio e ognuno rivive nel suo anonimato la sofferenza di una condizione che gli appartiene ma che fino a quel momento era inenunciabile perché considerata normale. Lo scandalo crea un senso di rivalsa teoricamente possibile. Quello che fino a poco prima esisteva come vergogna privata, personale, viene finalmente rivendicato da una sofferenza analoga arrivata alla ribalta. Brevi catarsi momentanee del vivere. Piccoli movimenti simbolici senza reale estensione, o perlomeno, non strutturali. Non sto dicendo che non serva a nulla parlarne, anzi. Ma i mutamenti di un canone egemonico hanno tempi lunghi e devono grattugiare un bel po’ di storie individuali prima di permettere un reale salto quantico. Per agire su un immaginario dominante occorre rinunciare a tale canone, e rinunciare a una certa astrazione fisica è difficile soprattutto se quest’ultima è stata assorbita da un settore che usa il corpo come strumento per scrivere e disegnare nell’aria. La danza, ma anche la ginnastica ritmica, sono delle astrazioni e, in quanto tali, usano il corpo alla stregua di un prototipo in 3d. Un manichino leggero, ipersnodato, in grado di potersi piegare e muovere in forme assolutamente eccezionali, nella più assoluta e conclamata innaturalità. […]
È la società di riferimento che detta legge sul valore e la delimitazione di un concetto. La nostra, al momento, è tarata su una leggerezza horror. Una leggerezza che si innesca su un doppio cappio, tra estremismo e disciplina, tra l’inquietante e l’apparentemente spontaneo. È questo che attrae. Questo che genera ossessione. La presenza di uno spazio paradossale sul corpo weird in grado di spingerci al di là dell’ovvia vita organica (pp. 229-231).
Se nell’affrontare la trasformazione a cui sono sottoposti i corpi Esposito si sofferma su alcune personalità di rilievo del body building (Ronnie Coleman, Arnold Schwarzenegger e Iris Kyle) e della danza (Carla Fracci, Rudolf Nureyev e Roberto Bolle), non manca di dedicare alcune riflessioni a Barbie. Su quanto questa bambola abbia rappresentato un nuovo femminile, emancipato e moderno, in cui si può essere adulte senza per forza essere mogli, madri e confinate nella realtà domestica, è stato detto tanto, ma, sottolinea Esposito, non si può non notare come tale promessa di emancipazione non venga mantenuta a livello formale. «Quello che tematicamente il totem Barbie simboleggiava, la libertà per le donne di vivere come meglio loro aggradava, formalmente viene tradito da un corpicino da pin-up che, nella sua astrazione, rappresenta ancora una volta il desiderio di piacere al mondo maschile». Ecco allora che per mitigare questa spinta all’ideale inarrivabile sono state realizzate Barbie in svariate versioni, «altrettante declinazioni dello stereotipo in versione inclusiva». Il politicamente corretto incontra il marketing. «Puro mercato che cerca di accalappiarsi una fetta di pubblico in più sfruttando un tema sensibile».
Iperespansi o smaterializzati che siano, gli ultracorpi indagati da Esposito sono corpi urlanti alla ricerca di quiete e di ascolto.
Estetiche inquiete. Serie completa.