di Serena Penni
Ezio Sinigaglia, Grave disordine con delitto e fuga, Terrarossa, Bari, 2024, pp. 105, euro 14,00.
Grave disordine con delitto e fuga, l’ultimo romanzo di Ezio Sinigaglia, racconta la storia di un incontro tra due mondi, tra due realtà sociali e culturali diametralmente opposte. L’ingegner De Rossi, degno rappresentante dell’alta borghesia, incrocia infatti il suo destino con quello di Michelangelo detto Jimmy, fattorino della ditta di cui l’ingegner De Rossi è a capo. Quest’ultimo sembra riassumere in sé tutte le virtù possibili: la bellezza, la grazia, la gentilezza, l’empatia nei confronti del prossimo. L’altro appare invece, sulle prime, come il classico uomo tutto d’un pezzo: un tempo cocco di mamma, oggi è marito e padre accorto e premuroso, dirigente dotato di senso degli affari e abilità manageriali. Ma, come sempre accade in Sinigaglia, le cose non sono come sembrano, e i ruoli dei personaggi vedono sfumare progressivamente i loro confini, fino a perdersi in una nebulosa di desideri più o meno consapevoli, di istinti più o meno repressi, di verità più o meno rivelate. Grave disordine con delitto e fuga mette in scena i giochi di potere che hanno luogo tra due personalità complesse e contorte. Il mondo di carta che l’ingegner De Rossi ha costruito attorno a sé crolla solo apparentemente all’improvviso, dal momento che il personaggio, in qualche modo, ha come inconsciamente preparato la propria caduta da tempo immemorabile. Ma anche la maschera di Michelangelo-Jimmy è destinata a sgretolarsi, e pure in questo caso si ha l’impressione che tale disfacimento covasse i propri germi da mesi, forse da anni. Nel racconto di Sinigaglia si sente senz’altro l’eco dei personaggi inventati da Pasolini; Jimmy appare come una sorta di ragazzo di vita, ma più disincantato, disilluso; a suo modo più colpevole. Si intuisce anche il riverbero dei romanzi e dei racconti di Moravia: l’ingegner De Rossi richiama in parte il Michele degli Indifferenti, ma rispetto a lui è meno cosciente dei propri limiti, e ripone troppa fiducia nella classe sociale di appartenenza, che tuttavia non lo salva di fronte a sé stesso. Come non citare poi Gadda? Il disordine del titolo richiama alla mente il “pasticciaccio”: in entrambi i casi, ci troviamo di fronte a matasse che non si sbrogliano ma, per quanto riguarda il lavoro di Sinigaglia, la responsabilità della matassa è da ricercarsi proprio nelle psicologie dei personaggi, divorati progressivamente dalla loro ombra, che a tempo debito non sono stati in grado di accogliere.
Sullo sfondo ci sono i deboli, le creature fragili, le vittime innocenti. La moglie dell’ingegner De Rossi, il suo bambino, il suo gattino. Ma esistono davvero esseri privi di colpa? Sinigaglia, con toni ironici e irriverenti, pare gettare su tutti il dubbio del peccato originale. Gli innocenti forse non sono davvero tali perché non hanno saputo o voluto osservare, capire, impedire, così come i colpevoli non sono del tutto colpevoli perché la loro aggressività è frutto della loro stessa disperazione. L’amore ha tante facce quante ne ha la crudeltà; il bisogno di affetto ha tanti simboli quanti ne hanno la rabbia, il cupio dissolvi, la volontà di distruggere e di distruggersi. Il sesso ha tante possibilità quante sono le sfaccettature dell’animo umano.
Il cliché della “moglie in vacanza” è qui richiamato per essere stravolto: la signora De Rossi se n’è andata per assistere il fratello, che ha fatto l’ennesimo incidente, l’ennesima sciocchezza, l’ennesima spacconata da enfant gâté ormai troppo cresciuto. La donna ha portato con sé il bambino e, com’era prevedibile, ha lasciato il gatto – creatura, quest’ultima, tanto graziosa quanto selvatica. E sarà proprio la tenera bestiola ad assumere il ruolo di vittima sacrificale. Il vuoto temporaneo che la signora lascia non apre infatti il varco a scappatelle inconsistenti e ludiche, da “commedia all’italiana” o B-movies, ma, al contrario, funge da viatico al disvelarsi di sentimenti e conflittualità che attingono alle parti più recondite degli animi dell’ingegner De Rossi e del suo fattorino Michelangelo-Jimmy. Tornare indietro poi non sarà più possibile. La vita di tutti loro, lo si intuisce, non sarà mai più la stessa, anche se i gesti, i luoghi, i modi e i riti probabilmente non cambieranno.
Anche in questo romanzo di Sinigaglia, come già nei precedenti, colpiscono il ricorso frequente all’ironia, l’approccio dissacrante con cui il narratore osserva i suoi personaggi, raccontandoci il loro progressivo, doloroso avvicinamento a sé stessi con un linguaggio polimorfo e sapientemente cangiante.
Michelangelo-Jimmy, il cui nome di battesimo viene descritto dall’autore come “un po’ pretenzioso, come spesso accade nelle famiglie modeste e nascostamente ambiziose” e che, storpiato in Jimmy, sembra già alludere alla sua natura doppia e bifronte, fa venire in mente i protagonisti de L’amore al fiume (e altri amori corti), dello stesso autore, uscito per Wojtek nel 2023: anche in quest’opera si incontravano giovani alle prese con la conoscenza, faticosa e intrigante insieme, della propria sessualità, del loro stesso modo di essere.
In questo suo ultimo romanzo Sinigaglia dà prova, una volta di più, di essere un profondo conoscitore dell’animo umano, che racconta con distacco e ironia ma anche con un senso forte di vicinanza ai suoi simili, siano essi angeli o bestie. Si tratta di una prova molto felice che si somma alla ricca e cospicua produzione dell’autore, e che merita senza dubbio l’attenzione dei lettori.