Marta Stella, Clandestine, Bompiani, pp. 396, euro 20,00
di Roberta Cospito
In un momento in cui il Governo italiano ha approvato un emendamento che spalanca le porte alle associazioni antiabortiste nei consultori pubblici, legittimandole e finanziandone l’azione, e in cui Papa Francesco accosta i contraccettivi alle armi, arriva in libreria per i tipi di Bompiani il romanzo Clandestine. Il romanzo delle donne di Marta Stella.
L’autrice, giornalista trentaseienne, qualche anno fa raccoglie un frammento di storia – una “diapositiva”, le piace dire – in cui riesce a vedere se stessa, le donne della sua famiglia, le donne che ha conosciuto e le donne che non è riuscita a incontrare. L’immagine che le viene consegnata è quella di un’interruzione di gravidanza che avviene in clandestinità poiché in quegli anni, siamo nel ’68, è in vigore il Codice Rocco, di matrice fascista, per cui l’aborto è un reato che prevede il carcere.
Da questa scintilla parte il romanzo, con un impianto narrativo particolare; l’autrice, infatti, raddoppia il piano della narrazione, seguendo da un lato la storia della protagonista – una sessantottina in viaggio verso l’autocoscienza – dall’altro la storia dei grandi collettivi degli anni ’70, del femminismo in genere e del combattuto approdo alla legge 194 che disciplinerà la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza.
A dire il vero, se questa nuova regolamentazione da un lato ha formalmente legalizzato, reso gratuita e assistita dalla sanità pubblica l’interruzione volontaria di gravidanza, riconoscendo di fatto l’aborto come diritto civile, dall’altro ha anche imposto dei confini regolati dall’obiezione di coscienza, non sottraendo quindi in toto il corpo delle donne alle mani dello Stato.
Questo libro, molto corale, è davvero il romanzo delle donne, come dichiarato sulla copertina dove, su uno sfondo rosso, vengono mostrate due mani femminili aperte con tutte le dita distese e i rispettivi indici e pollici a toccarsi sino a porsi a “L” formando, così, una specie di triangolo: gesto rappresentante la vagina, praticato dalle femministe e nato negli anni ’70, simbolo di tutte le donne in lotta.
Sia nella parte più intima dedicata alla protagonista, sia nella parte collettiva più legata agli eventi storici, si snoda la marea femminile: donne che salgono su un pulmino, di notte, per andare ad abortire; che s’incontrano per parlarsi la sera nelle case da cui son stati estromessi gli uomini; che prestano i loro appartamenti affinché si possa effettuare un aborto; donne che muoiono, che sopravvivono, che vivono manifestando e lottando.
Ci imbattiamo in nomi noti a chi ha seguito il nascere e l’esplodere del femminismo, come Carla Lonzi, Miriam Mafai ed Emma Bonino, e nomi forse meno conosciuti a cui Marta Stella ridà un volto e una storia, come Milly Pastorino, Elvira Banotti e Adele Faccio.
Da questo romanzo emerge chiaramente tutta la fatica che le donne hanno fatto per uscire dalla clandestinità, non solo quella in cui sono state relegate dal Codice Rocco, ma anche quella voluta dalla vita quotidiana che le colloca ai margini della storia un po’ per abitudine mentale, un po’ per circostanze oggettive e un po’ per ruoli imposti dalla società, gli stessi che tuttora facciamo fatica a scardinare.
Almeno per la sottoscritta, resta chiaro come l’aborto, il diritto a una maternità consapevole e all’autogestione del proprio corpo, siano diritti costantemente a rischio. I diritti in generale, ma in particolare quelli delle donne, come ammonisce Simone de Beauvoir, sono costantemente messi in discussione, specie in momenti in cui la società attraversa una crisi, politica, religiosa o economica; non a caso, il diritto ad abortire è ancora ostacolato da procedure lunghe, domande invasive e giudizi riguardo questa nostra decisione, per non parlare di alcuni Stati americani dove s’è criminalizzato l’aborto e, in Italia, della percentuale sempre più alta di medici obiettori di coscienza, tale da costringere alcune donne a cambiar regione per l’interruzione di gravidanza.
Marta Stella ha raccontato tante donne e lo ha fatto con enorme rispetto, senza giudizi o pregiudizi, riportando le loro idee con chiarezza e certosina documentazione, comprese le diverse dissonanze raccolte e le molte sfaccettature incontrate, ricordandoci come in realtà tutto sia già stato detto, scritto, denunciato, e che siamo state noi ad aver dimenticato queste voci che, per fortuna, ritornano a urlare e vivere tra le righe di Clandestine: Il respiro del tempo è sempre pronto a cambiare direzione. Bisogna leggere, stracciare le pagine e poi ricominciare dal principio. Una volta e un’altra volta ancora. Lasciare che le voci delle altre prima di noi non ci abbandonino. Solo la memoria può salvarci. La memoria fallace, redentrice. La memoria partigiana. Non è mai troppo tardi per dire: “Io dico io. Io sono io.” Non è mai troppo tardi per marciare di nuovo, insieme alle ragazze che sono tornate giù in strada, a Milano, invocando al cielo un nuovo canto di battaglia: Noi siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce.