Di Jack Orlando
Ed Mead; Lumpen, autobiografia di una canaglia; Edizioni Malamente; Urbino 2024; pp. 513 18€
A metà tra Eddie Bunker e i Weather Undergrond, la vita e le parole di Ed Mead rendono giustizia ad una America doppiamente dannata. Quella sottoproletaria e militante.
La grande stagione della New Left americana ha determinato un quasi trentennio di sperimentazione politica, sociale e culturale probabilmente senza eguali e, proprio per questo, impossibile da leggere sotto una lente univoca.
Nessuna contrapposizione tra le punte avanzate di una militanza rivoluzionaria dura, tra antimperialismo e Potere nero, e una generale esplosione di forme di vita altre, comunitarie, lisergiche.
Sentieri che si intrecciano e sovrappongono fino ad essere inestricabili.
Poi la chiusura brutale. Le trame di FBI, l’eroina, le vite sepolte sotto anni di galera, le morti di polizia, i pentimenti e le diserzioni, i sogni spezzati di quelle comunità che avevano pensato per un momento di uscire dal cono d’ombra e miseria cui erano state destinate.
Sono sopravvissuti un innocuo immaginario di hippie fatti di acido, la consolante formula sesso-droga-rock’n’roll e un bel pezzo della classe dirigente liberale degli USA, quasi sempre la parte bianca, benestante e moderata di quella parentesi.
Le storie e i sogni interrotti di quella stagione hanno ricominciato a prendere di nuovo ossigeno e ritornare via via che la crisi dell’Occidente metteva incrinava l’ordine americano.
Le braci covano sotto la cenere e periodicamente un soffio di vento riattizza il fuoco.
Quella di Mead è una delle storie interrotte, che riesce a risalire finalmente dal baratro della galera e della damnatio memoriae.
Cresciuto nella white trash, il sottoproletariato bianco delle famiglie che vagano per gli States a caccia di lavori iperprecari e sottopagati, tra case miserabili, alcolismo e violenza domestica; è solo uno degli innumerevoli dannati che ha il cammino segnato in partenza: delinquenza e carcere o fame e fatica.
È in uno dei numerosi soggiorni in carcere che si politicizza, entra ladro ed esce militante, nel tentativo di difendersi dal sistema legale punitivo.
Un ex detenuto che torna in libertà nel pieno delle contestazioni contro la guerra in Vietnam e trova una nuova casa e nuova soggettività all’interno del movement.
L’incontro col marxismo e le teorie rivoluzionarie che portano a riflettere sulla propria condizione da un punto di vista inedito, non più legge naturale del “cane mangia cane” ma condizione soggettiva determinata dal sistema di sfruttamento capitalista; e poi l’azione anti imperialista nel Ventre della Bestia, al fianco dei vietnamiti, degli afroamericani e dei nativi.
È qui che germoglia la George Jackson Brigade, uno degli innumerevoli gruppi armati che portarono la guerra in casa a Washington, in un profluvio di attacchi dinamitardi, rapine e sabotaggi compiuti a ritmo quotidiano.
Poi di nuovo la galera, ma stavolta da prigioniero politico, Prisoner Of War, e gli innumerevoli tentativi di portare rivolta ovunque vada. I gruppi e le azioni per migliorare le condizioni di vita dei detenuti, per farne un corpo politicamente cosciente, non solo dell’oppressione legale e semischiavile operante dentro le prigioni, ma dei meccanismi del dominio operanti all’interno delle viscere e delle menti dei subalterni.
È il caso del Men Against Sexism, esperimento collettivo volto a ridare potere e dignità ai detenuti queer e spezzare la perversa dinamica di sfruttamento e violenza sessuale attiva nel corpo carcerario.
È una dote immancabile degli animali politici, quella di vedere sempre e ovunque i fili che muovono i meccanismi della realtà, dalla struttura al soggetto, dalla tendenza alla contingenza e viceversa; e di poterli toccare nel tentativo costante di spezzare degli equilibri iniqui e dare nuova forma alla vita.
E quello di Mead è un tentativo che non cessa mai, anche dopo anni di galera e di semilibertà. Sempre rimodulato sull’esigenza transitoria e sempre centrato sulla sovversione del presente e sulla solidarietà con gli ultimi.
Ed è a questi ultimi che si rivolge direttamente nelle sue pagine conclusive: ai detenuti, ai delinquenti, agli sbandati, nella speranza che possano trovare una via d’emancipazione collettiva.
Ricorda un po’ il nostrano Andrea Bellini che sognava di finire la sua storia davanti al plotone d’esecuzione per salvare cento, mille cafoni come lui.
Perché, ed è questo il lascito prezioso di Mead, al netto delle teorie, dell’organizzazione e di tutto quello che si vuole, a ribaltare la Storia sono sempre dei delinquenti che scalpitano e a un certo punto, incontrano una scintilla che li trasforma in rivoluzionari.
L’energia ipnotica e inarrestabile che sprigionano rivolte e rivoluzioni, ha sempre radici sporche ma vive, nella più piena accezione del termine.