di Paolo Lago
Guido Santato, Pasolini oggi. Studi e letture, Carocci, Roma, 2024, pp. 234, euro 25,00.
Il titolo del recente volume di Guido Santato, Pasolini oggi, appare particolarmente significativo; come scrive lo stesso autore, esso “intende sottolineare da un lato la permanente e straordinaria attualità di Pasolini, dall’altro la necessità di una rinnovata e approfondita lettura della sua opera, estremamente complessa per la sua articolazione multimediale: un’opera che spazia dalla poesia alla narrativa, alla saggistica, al cinema, al teatro, alle traduzioni dei classici, al giornalismo, alla pittura”. L’opera di Pasolini è estremamente poliedrica e complessa e deve essere oggetto di una lettura seria e rigorosa, “rinnovata” e “approfondita”. Pasolini non può continuare ad essere una sorta di “ovetto Kinder della cultura italiana”, come ha scritto Pierluigi Sassetti utilizzando una suggestione offerta da Slavoj Žižek1, un ovetto nel quale ognuno trova la sorpresa che più gli aggrada. Non può essere usato e citato a sproposito da clowneschi politicanti da strapazzo. Una citazione dall’opera di Pasolini dovrebbe essere sempre preceduta da una conoscenza rigorosa e approfondita, mai superficiale: basti solo pensare all’“infame mantra”, come lo definisce Wu Ming 1, su “Pasolini che stava con la polizia e i manganelli”2, emerso anche lo scorso febbraio in merito ai fatti avvenuti a Pisa (giovani manifestanti pro Palestina picchiati dalle forze dell’ordine).
Per affrontare l’opera poliedrica e multimediale di Pasolini, Guido Santato, uno dei massimi esperti dell’autore bolognese, adotta svariati punti di vista. I saggi presenti nel volume – alcuni già editi presso diverse sedi, altri inediti e presentati adesso per la prima volta – intendono sondare diversi aspetti e sfaccettature dell’opera pasoliniana, cercando di abbracciare i più svariati ambiti: la poesia, la narrativa, il cinema, il teatro, financo la musica (di cui Pasolini era appassionato ed esperto). Il primo saggio è dedicato all’importante presenza di Dante nell’opera di Pasolini, da Ragazzi di vita (1955) fino al postumo Petrolio. Lo studioso attraversa l’intera opera pasoliniana sondando il fondamentale ‘sostrato’ dantesco presente in essa, anche negli interventi critici e negli articoli giornalistici. Il secondo saggio analizza invece l’importanza che Erich Auerbach ha giocato per Pasolini, soprattutto per la “mescolanza degli stili” presente nell’intera sua opera nonché per il “realismo creaturale”. Auerbach è l’autore dell’importante saggio Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, che rappresenta un fondamentale punto di riferimento per Pasolini in qualunque genere o stile si cimenti.
Diversi saggi presenti nel volume di Guido Santato sono poi dedicati alla produzione poetica in friulano: è necessario infatti ricordare che Pasolini è prima di tutto poeta e comincia la sua attività poetica proprio componendo in friulano. Le poesie friulane rappresentano quindi un’importante chiave di accesso per tutta la produzione artistica successiva. Particolarmente interessante risulta l’analisi condotta dallo studioso su La seconda forma de “La meglio gioventù” (1974) in cui viene sondata la riscrittura che Pasolini attua della sua poesia friulana giovanile nella raccolta La nuova gioventù. Si tratta di una riscrittura ‘in nero’ in cui, al posto dell’idillio, dominano il dolore ed il lutto, in una società dominata dall’abbrutimento dei nuovi consumi che ormai ha perduto qualsiasi caratteristica idilliaca e qualsiasi innocenza.
Il rigoroso excursus attuato dallo studioso attraverso l’opera pasoliniana prosegue con un saggio dedicato alla tragedia Pilade e con un’analisi del tema della tradizione in Pasolini. Interessante è ricordare, a questo proposito, che già a partire da un articolo scritto quando aveva vent’anni, Pasolini “teorizza un uso antitradizionale della tradizione: una tradizione proposta in funzione di un sostanziale rinnovamento rispetto alla cultura ufficiale”. Il saggio successivo è dedicato alla presenza della musica nel cinema di Pasolini, dall’importante funzione ‘sacralizzante’ della musica di Bach in Accattone (1961) fino alle inserzioni di musica etnica e tradizionale, ad esempio, in Edipo re (1967) e Medea (1970). Alla complessa ricezione di Pasolini oggi è dedicato il saggio dal titolo Un grande autore che non ha bisogno della qualifica di “classico”: infatti – scrive Santato – l’edizione di tutte le opere di Pasolini all’interno della collana dei “Meridiani” rischia di trasformarlo in un “classico”, “operando uno slittamento dal piano editoriale a quello della definizione critica”. Però, “l’attribuzione della qualifica di «classico» a Pasolini appare problematica per più ragioni e non sembra poter essere riferita in modo appropriato alla sua opera”. Infatti, “Pasolini è il più anticlassico e trasgressivo fra i grandi autori del Novecento: tende costantemente alla rottura degli ordini formali e delle separazioni tra i generi”.
Dopo un suggestivo saggio dedicato ai (densi) rapporti fra Pasolini e il Giappone (paese in cui lo studioso Hideyuki Doi svolge una rigorosa opera di analisi dell’autore corsaro), Santato avvia una interessante e pionieristica ricerca su Pasolini come possibile “precursore” della “decrescita”. Infatti, soprattutto negli ultimi decenni, “il pensiero di Pasolini è stato ripreso anche nell’ambito della sociologia, dell’economia e del diritto”. Lo studioso osserva che, recentemente, due economisti come Giulio Sapelli e Serge Latouche sembrano aver raccolto a distanza l’appello di Pasolini in tema di sfruttamento operato da uno cieco “sviluppo” capitalistico (opportunamente distinto dal “progresso”). Se Sapelli dedica un interessante e innovativo studio a Pasolini, dal titolo Modernizzazione senza sviluppo. Il capitalismo secondo Pasolini, Latouche sembra riprendere, nella sua idea di “decrescita felice”, le polemiche pasoliniane contro il modello di sviluppo neocapitalistico. Come scrive Santato, “per Latouche è necessario decolonizzare l’immaginario occidentale che è stato colonizzato da quello che egli chiama «l’economismo sviluppista»”. Si può inoltre ricordare che all’interno della collana “I precursori della decrescita” diretta da Latouche, nel 2014, è stato pubblicato il volumetto di Piero Bevilacqua dal titolo Pier Paolo Pasolini. L’insensata modernità, nel quale lo scrittore corsaro viene annoverato fra i precursori del pensiero della “decrescita”. Anche lo stesso Latouche, in un volume del 2016, annovera Pasolini fra i precursori della “decrescita felice”. Come nota Santato, “in conclusione, credo che Pasolini possa essere considerato un precursore della «decrescita felice» a condizione di non racchiuderne strumentalmente il pensiero entro gli schemi della stessa. Il pensiero in continuo e spiazzante movimento, la capacità di analisi, lo spirito di denuncia, l’acutezza anticipatrice del Pasolini corsaro non possono essere racchiusi in alcuno schema più o meno preordinato”. D’altra parte, come ebbi modo di scrivere proprio qui su “Carmilla”, sarebbe interessante porre a confronto il pensiero di Pasolini anche con quello di un altro lucido interprete della contemporaneità come Robert Kurz, studioso della Wertkritik (la “critica del valore”), secondo il quale è necessaria un’“anti-modernità radicale ed emancipatoria […] che tagli i ponti una volta per tutte con la storia fin qui data, una storia di rapporti feticistici e di dominio”3.
Dall’analisi di Santato emerge un Pasolini prepotentemente fuori dagli schemi, un autore che non può essere racchiuso e incasellato in pensieri a senso unico: si tratta infatti di un autore “multimediale”, incline alla mescolanza degli stili e dei registri, alla rottura degli ordini formali, all’utilizzo di linguaggi sempre nuovi e sempre diversi. Anche nel saggio che chiude il volume, dedicato all’enorme fortuna che l’opera pasoliniana ha conosciuto in tutto il mondo, emerge il profilo di un autore difficilmente incasellabile in schemi predefiniti. Oggi, in una società digitalizzata e sempre più avviata verso un universo dominato dalle fake news, dall’intelligenza artificiale e dall’irrealtà, fatta di pensieri preconfezionati e di schieramenti obbligati, comprendere e studiare Pasolini – come capiamo dalla lettura di Pasolini oggi – è un sicuro esercizio di realtà, di appiglio a un rigore che sembra perduto, di anticonformismo e di ricerca di luce laddove sembra regnare un indefinito e inquietante buio.
Cfr. P. Sassetti, Post(f)azione, … Per gli eredi … Per coloro che sapranno apprezzare l’eredità…, in A. Guidi e P. Sassetti (a cura di), L’eredità di Pier Paolo Pasolini, Mimesis, Milano-Udine, 2009, p. 118. Cfr. anche S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario, trad. it. Meltemi, Roma, 2004, p. 73. ↩
Cfr. Wu Ming 1, La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia, uscito su “Internazionale” il 29 ottobre 2015. Per avere una visione scevra da idee preconfezionate si invita a una lettura integrale dell’articolo. Cfr. anche Guy van Stratten, Pasolini, il ’68, gli studenti e la polizia, “Codice Rosso”, 2 novembre 2020. ↩
Cfr. R. Kurz, Ragione sanguinaria, trad. it. Mimesis, Milano-Udine, 2014, pp. 20-21. ↩