di Gioacchino Toni
“Non sono affatto pacifista, io sono personalmente antimilitarista, che è una cosa completamente differente. […] Mi fanno schifo non tutte le guerre, ma sicuramente le guerre di potere, non le guerre civili, che a volte sono sacrosante. […] La sostanza del discorso è questa: il nemico è di sopra. Il nemico non è di fianco a noi, per cui tutto quello che va a colpire le classi subalterne è un atto di guerra contro il proletariato. La risposta deve essere di guerra a chi fa la guerra, guerra alla guerra, si diceva un tempo”.
Con queste parole Valerio Evangelisti è intervenuto, il 9 aprile 2022, ad un’iniziativa bolognese intitolata Disarmiamo La Guerra1.
Di seguito si intende dare conto di come Evangelisti si è espresso sulla sua “Carmilla” a proposito della guerra in Iraq scoppiata nel 2003, anno in cui la testata è passata alla versione digitale tuttora in attività, nella certezza che quanto ha scritto allora su quella guerra specifica scriverebbe ancora oggi sulle guerre in corso e su quelle a venire.
Sin da prima dell’invasione del Paese ad opera di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, Evangelisti, come del resto l’intera Redazione, prende posizione “contro l’omicidio di massa che George W. Bush e i suoi complici Blair, Berlusconi, Aznar ecc. stanno preparando”2. Nel criticare aspramente i “commenti degli editorialisti e dei timidi intellettuali di casa nostra”, Evangelisti mette in luce come in essi manchi totalmente “il punto di vista delle vittime” e come i servizi giornalistici si limitino cinicamente a catalogare “i morti in degni di compassione o in ‘perdite collaterali’ a seconda della loro collocazione geografica o del tipo di ‘civiltà’ in cui sono inseriti, si valuta l’utile (politico, economico, strategico, ecc.) corrispondente al loro strazio prima di decidere se meritino pietà”.
A risultare ripugnante sopra ogni altra cosa, scrive Evangelisti, è l’ipocrita “tendenza ad incolpare del sangue che scorrerà il demonio che non si è tolto di mezzo dall’Iraq, e ha pertanto costretto il ‘liberatore’ a lavorare di coltellaccio (o di missili)”: la “guerra preventiva” viene dunque preceduta da un’“assoluzione preventiva”.
Ad essere presi di mira dallo scrittore sono anche gli “esponenti di quella tendenza europea che vede ex leader dell’estremissima sinistra, un tempo incensatori dei regimi più aberranti, dall’Iran di Khomeini […] alla Cambogia di Pol Pot […], passare al campo opposto con la stessa sicumera, quasi non vi fosse rottura di continuità. Dove per ‘campo opposto’ deve intendersi la ‘difesa dell’Occidente’, anche quando l’Occidente ha il viso poco rassicurante di George W. Bush o del suo partner naturale in Medio Oriente, Ariel Sharon”3.
Per cogliere la natura intima del conflitto in atto, Evangelisti invita a riprendere I Proscritti, di Ernst von Salomon, opera che – nel rendere “la voluptas necandi di un’armata”, i Freikorps tedeschi dopo la prima guerra mondiale, “che non ha altro referente ideale che se stessa (con valori quali l’onore astratto e il cameratismo virile), e altro scopo che l’eccidio sistematico di chi la contrasti” – delinea “un paradigma quasi archetipico applicabile a ogni guerra priva di vero movente”4.
La figura emblematica del conflitto in atto, sostiene Evangelisti è ben rappresentata da “l’anziano contadino che, quando l’elicottero degli invasori, gonfio di potenza tecnologica, sorvola il campo, prende il fucile e gli spara (somiglia alla sequenza iniziale di V-Visitors, qualcuno la ricorderà)”. Indipendentemente dal sostegno o meno a Saddam Hussein, dall’essere sciita o sunnita, in quel preciso istante egli opera per difendere l’indipendenza del proprio Paese. “Il partigiano con la barba bianca non reagiva in nome dell’onore o della gloria, che sono valori militari. Reagiva in nome della dignità, che è un sentimento profondamente umano. La madre e il padre di tutti i sentimenti, amore compreso”5. Oppure, scrive in un altro pezzo, come immagine emblematica della guerra in atto si potrebbe prendere quella, mostrata dai media, di un giovane padre che tenta amorevolmente di distrarre dal dolore la figlioletta di pochi anni distesa su un lettino, tutta fasciata6.
Evangelisti dedica diversi interventi all’inaffidabilità delle notizie sulla guerra fornite dai media italiani prendendo di mira, in particolare, i servizi di alcuni giornalisti de “La Repubblica” accusati di redigere i reportage attingendo acriticamente da altri media7. Ad essere citata positivamente è invece l’efficace copertina del numero di aprile della rivista “Volontari per lo sviluppo” che su sfondo nero reca a lettere bianche una frase pronunciata, nel corso del processo di Norimberga, da Hermann Goering che potrebbe benissimo essere stata detta da qualche politico del momento a proposito della guerra in corso e che spiega come sia tutto sommato semplice convincere la popolazione, tanto di paesi democratici quando dittatoriali, dell’inevitabilità della guerra insistendo sia sul fatto di essere stati attaccati che nella denuncia della mancanza di patriottismo tra i pacificasti che si oppongono al conflitto bellico8.
Tra i tanti esempi riportati dai media occidentali utili a mostrare la barbarie del nemico, dunque la necessità dell’intervento militare, Evangelisti si sofferma sulla notizia del ritrovamento, nei sotterranei di Baghdad, di una Vergine di Norimberga, micidiale strumento di morte che trafigge il prigioniero con punte. Stando a quanto riportato dai giornalisti, vi faceva ricorso uno dei figli di Saddam Hussein per punire i calciatori della nazionale irachena rei di aver fornito cattive prestazioni in campo. Visto l’esito mortale prodotto dalla Vergine di Norimberga, ironizza amaramente Evangelisti, la formazione della nazionale sarà stata spesso da rifare. “Adesso che l’Iraq è stato liberato potrà avere, se non altro, una squadra di calcio dalla composizione stabile”. Tutto sommato, si potrebbe dire che tra i meriti della “guerra umanitaria” che ha amputato gli arti ai bambini, vi è stato quello di evitare loro di diventare calciatori con annesso rischio di essere richiusi in quello strumento di morte. “Perché noi siamo l’Occidente, vale a dire la Civiltà. E adesso venite avanti con la vostra scodella, ché vi diamo da mangiare. In ordine, però, e senza spingere, altrimenti vi frustiamo. Arabi di merda”9.
Evangelisti si sofferma anche sul linguaggio che prepara, accompagna e traina la guerra e lo fa a partire da un pezzo sul sito “Iraqui Whores” contenente scene di violenza carnale da parte di marines statunitensi su donne irachene. Pur trattandosi, probabilmente, di messe in scena, a colpire, sostiene Evangelisti, è il linguaggio utilizzato a partire dal nome stesso della testata (trad. “Puttane irachene”) e da altre didascalie che vi compaiono (es. “Sex Crazed Iraqi Bitches”, trad. “Puttane irachene affamate di sesso”).
Le donne irachene sono dunque disprezzate in assoluto, e la violenza che subiscono – sia pure a livello di fiction– è presentata in chiave di costrizione, sì, ma anche di desiderio recondito che i virili marines finalmente soddisfano. In effetti, ciò coincide con la maniera in cui numerosi commentatori, anche italiani, hanno presentato la guerra all’Iraq nel suo complesso: una violenza necessaria per sprigionare desideri sepolti, con una risposta, da parte delle vittime / beneficiarie, al tempo stesso riluttante e vogliosa10.
Varie didascalie insistono “sulla sottomissione, riferita alle donne, certo, ma anche all’Iraq tutto intero”. Probabilmente, nota Evangelisti, il sito è stato pensato per “un pubblico a suo modo patriottico, però poco convinto quando il suo governo parla di una ‘liberazione’ dell’Iraq”. Non possono che tornare alla mente le fotografie delle sevizie, in questo caso assolutamente vere e non messe in scena, dei militari italiani in Somalia – sempre e comunque brava gente, gli italiani – e chissà, continua Evangelisti, che il cineasta dilettante nostrano non abbia aperto un suo “Somali Whores” capace di battere in realismo e “umiliazione della femmina” gli americani. “Se lo trovo vedrò di segnalarlo, in modo che voi maschi occidentali, bianchi e democratici, possiate masturbarvi con patriottica voluttà”.
Evangelisti ricorda come l’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale avesse costruito la sua identità alla luce di quel fenomeno denominato Resistenza indicante tanto la lotta popolare al fascismo quanto all’occupazione armata del suolo nazionale e, in diversi casi, alle disparità sociali. Da allora, e per diversi decenni, il termine “colonialismo” restò carico di negatività. “Nessun capo di Stato, nessun governo europeo od occidentale si sarebbe permesso di sostenere pubblicamente la liceità di un’invasione armata, anche quando ne conduceva o tentava di fatto”11. È stato necessario parecchio tempo per demolire quel tabù.
Desta scandalo che “misteriosi” guerriglieri iracheni prendano di mira i marines. Spesso indicati come nostalgici di Saddam Hussein o come integralisti islamici, in pochi sembrano disposti ad ammettere che si tratti in primo luogo di iracheni con alle spalle un certo consenso popolare e ancora in meno riescono ad ammettere “che hanno il sacrosanto diritto di fare quello che fanno”. Chi osa sparare su chi occupa militarmente il suo Paese è immancabilmente definito “terrorista”. “Oggi un film come La battaglia di Algeri verrebbe ribattezzato La battaglia dei terroristi. Anzi, non sarebbe nemmeno più girato, visto che il colonialismo è tornato in auge. Non è più chiamato così, ma, da tabù che era, è rientrato a fare parte dei valori universalmente condivisi”.
Affinché il tabù colonialista cadesse, scrive Evangelisti, occorreva un passaggio intermedio ed a questo si sono prestate “le forze socialdemocratiche, o comunque di matrice ‘progressista’” che, giunte al governo di numerosi paesi europei negli anni Novanta del Novecento, non hanno esitato a rivedere tutti i loro principi.
Aderirono al liberalismo in politica e al liberismo in economia, spostarono il loro referente dalle classi subalterne ai ceti medi, accantonarono le tematiche egualitarie, si riconobbero a fondo nell’Occidente quale assieme di valori inviolabili. Il socialismo privato dell’egualitarismo si riduce automaticamente a beneficenza; e la beneficenza non si esercita tra soggetti autonomi e di pari dignità, bensì tra un privilegiato e un inferiore da soccorrere. Ecco trovato il pretesto culturale per riportare d’attualità la guerra quale strumento principe di risoluzione delle contraddizioni, e restituirle silenziosamente le forme antiche.
Al di là dei pretesti volti a dare giustificazione morale all’intervento militare – dal burkha da togliere alle donne alle armi di distruzione di massa, dal ritorno della democrazia alla lotta al terrorismo – è evidente come sia in Afghanistan che, in maniera ancor maggiore, in Iraq, l’invasione sia stata preceduta da promesse di benefici economici destinati ai partecipanti. “In epoca di mercato trionfante e assurto al rango di ‘valore’, è al mercato che sono state affidate senza tanti giri di parole le motivazioni di due guerre”.
La Resistenza non compare più come momento fondante dell’Europa, non è più necessario rifiutare con sdegno la pratica colonialista e riconoscere il valore morale delle lotte di liberazione nazionale. “Accettata la nozione di guerra preventiva […], inseriti gli interessi economici tra le motivazioni valide di un conflitto, il campo è sgombro per la conquista e la sottomissione di qualsiasi paese male armato che si dimostri indocile o troppo geloso delle sue ricchezze”.
Il liberalismo, tanto come sistema politico che come dottrina economica, ha il colonialismo nel proprio patrimonio genetico. Ritiene che l’arricchimento di una minoranza, tanto su scala nazionale che su scala mondiale, diffonda a pioggia ricchezza su chi sta sotto. Crede, altresì, che perché ciò possa avvenire, la minoranza debba essere intralciata dal minor numero possibile di regole imposte dalla collettività. Pretende, infine, che a quella minoranza spetti la gestione del potere (il suffragio universale fu strappato ai liberali da lotte condotte dal basso, non ultima la Resistenza europea) e che l’unica democrazia concepibile sia quella che non ostacola l’applicazione della legge del più forte in campo economico.
Per denunciare la follia del concetto stesso di “guerra preventiva”, Evangelisti ricorre anche ad un breve racconto dal titolo Marte distruggerà la Terra, pubblicato originariamente su “il manifesto”12.
A pochi giorni dall’attentato del 12 novembre 2003 alla base italiana dei Carabinieri di Nassiriya, in cui persero la vita numerosi militari italiani, “Carmilla online” pubblica un editoriale firmato da Valerio Evangelisti in cui viene ricordato come, al di là delle tragedie che toccano i parenti delle vittime, occorra pur sempre ricordare come, al pari dei francesi in Algeria, dei belgi in Congo, dei portoghesi in Angola e così via, anche gli italiani in questione si trovassero a svolgere il ruolo di invasori in territori altrui. “Questa volta i patrioti sono gli altri. Noi siamo gli austriaci, i Radetzki, i Cecco Beppe. Gli occupanti, gli invasori: quell’“austriaca gallina” che l’Inno a Oberdan invitava a massacrare a suon di bombe e a colpi di pugnale”. Dunque, conclude perentoriamente il pezzo: “Sia maledetto chi ci ha messi in questa posizione del cazzo, ed espone giovani vite alla morte per quattro latte di petrolio”13.
Affermazioni riportate nello scritto Guerra alla guerra. L’ultimo intervento di Valerio Evangelisti, Potere al Popolo Bologna, in “Contropiano”, 19 aprile 2023. ↩
Valerio Evangelisti, Con gli occhi delle vittime, in “Carmilla online”, 24 Febbraio 2003. ↩
Valerio Evangelisti, Giocare a Risiko in una pozza di sangue, in “Carmilla online”, 21 marzo 2003. Editoriale a firma Valerio Evangelisti. ↩
Valerio Evangelisti, Pulsioni di morte, in “Carmilla online”, 21 marzo 2003. Editoriale a firma Valerio Evangelisti. ↩
Valerio Evangelisti, Né onore né gloria, in “Carmilla online”, 25 Marzo 2003. ↩
Cfr. Valerio Evangelisti, Uccidere un bambino, in “Carmilla online”, 2 aprile 2003. Editoriale firmato Valerio Evangelisti. ↩
Ad essere presi di mira sono in particolare gli inviati Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, definiti ironicamente gli “Stanlio e Ollio” de “La Repubblica” e Magdi Allam del medesimo quotidiano. Cfr.: Valerio Evangelisti, La Repubblica delle patacche, in “Carmilla online”, 27 Marzo 2003; Valerio Evangelisti, Nuove avventure di Bonini & D’Avanzo, in “Carmilla online”, 30 Marzo 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Prima parte: i sosia), in “Carmilla online”, 7 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Seconda parte: i boia), in “Carmilla online”, 9 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Terza parte: San Remo), in “Carmilla online”, 14 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Quarta parte: Allam contro Allam), in “Carmilla online”, 21 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (quinta parte: i parà), in “Carmilla online”, 7 maggio 2023. ↩
Cfr. Valerio Evangelisti, Volontari coraggiosi, in “Carmilla online”, 18 aprile 2003. ↩
Cfr. Valerio Evangelisti, La Vergine di Norimberga, in “Carmilla online”, 26 Aprile 2003. ↩
Valerio Evangelisti, L’America laida, in “Carmilla online”, 6 maggio 2003. ↩
Valerio Evangelisti, L’Iraq è un severo maestro, in “Carmilla online”, 13 agosto 2003. ↩
Cfr. Valerio Evangelisti, Marte distruggerà la Terra, in “Carmilla online”, 26 agosto 2003. Pubblicato originariamente da “Il manifesto” del 17 agosto 2003 col titolo Guerre stellari preventive. ↩
Valerio Evangelisti, Poche parole, in “Carmilla online”, 17 novembre 2003. Editoriale firmato Valerio Evangelisti. ↩