di Edoardo Todaro
Vincenzina ora lo sa, romanzo di Maria Rosaria Selo, pp. 276, ed. Rizzoli, 2023 € 18,50
Il protagonismo operaio è un elemento che dobbiamo prendere in considerazione nel momento in cui abbiamo di fronte a noi, finalmente possiamo dire, film e libri che mettono in evidenza quanto una classe fondamentale in tutti i conflitti mette in campo.
Per anni, abbiamo letto indagini, inchieste sociologiche, abbiamo letto esperti, tuttologi, che devono dire la loro a proposito della fine della conflittualità, dell’arrendevolezza degli operai, della fine della classe operaia …. e poi di fronte all’oggettività del quotidiano è necessario riavvolgere il nastro ed annullare le tante cose lette, le teorie ammantate di novità. GKN a Campi/Firenze; Whirlpool a Napoli; Wartsila a Trieste; Miniere del Sulcis; l’Italsider di Bagnoli e Taranto. Mettere insieme le lotte per l’occupazione e per la salute? Anni ’70? No oggi. Lotte di difesa, lotte di Resistenza? Forse sì; di sicuro lotte che ci fanno capire da che parte stare, nel mettere insieme lotta e resistenza. Ho visto il film “Palazzina LAF”.
Anche in questo si potrebbe parlare di un qualcosa del passato, di un passato che ha lasciato il segno nei lavoratori che non vogliono essere sottomessi ai voleri, ed agli interessi, del padrone di turno. “ Palazzina LAF “ non è qualcosa di caso a parte, di caso isolato. No, ho messo gli occhi su “ Vincenzina ora lo sa “ e mi sono reso conto di quanto sia importante nel 2024 dare voce a chi mette in discussione i rapporti di forza, oggi come ieri. Già il nome, Vincenzina, non può non rimandarci alla mente il mai dimenticato Enzo Jannacci con la sua “ Vincenzina e la fabbrica “.
Quanto descritto in queste pagine ci mette di fronte cosa sono state le lotte operaie, le bandiere rosse, i caschi gialli, le assembleee interne, la nocività rappresentata dal comignolo da cui fuoriesce un fuoco bello ed allo stesso tempo terribile; presente nelle aziende come l’Italsider con tutti coloro che sono morti per un pezzo di pane da portare a casa; come ad esempio le decine di assassinati per l’amianto; lo sciopero strumento di unità collettiva e grazie a questo gli operai divengono una cosa sola; perché la fabbrica , nonostante tutto, è come la famiglia dove tutto “ è messo in piazza … “, anche se la famiglia dovrebbe essere altro, dovrebbe tutelare e non ammazzare: “ nasciamo, viviamo e moriamo qui “; il suicidio che diviene la concretizzazione dell’alienazione aziendale ed effetto della prospettata cassa integrazione; l’aver a che fare con la complicità sindacale.
Vincenzina, e la consapevolezza che sarà dura, che niente ti verrà regalato, anzi che tutto dovrà essere strappato; il cui padre, iscritto al PCI, che senza problemi va verso Torino per portare quella solidarietà operaia che è il pane di nutrimento di un altro modo di vivere,un altro modo di intendere il lavoro e la fabbrica; che dentro o’ cantiere si è ammalato di cancro, perché non potrebbe essere diversamente, visto che è un luogo malato che ammala, e le condoglianze della direzione risultano quelle che realmente sono: un rituale, che va a Firenze a dare solidarietà agli alluvionati perché anche questo è il COMUNISMO. La storia di Vincenzina, la 3° in famiglia all’Italsider, dopo il nonno ed il padre …. morti di Italsider, è la storia della fabbrica/città, in cui tutta la vita gira attorno ad essa, in cui tutti si conoscono, anche se nessuno conosce nessuno, tutti si aiutano, dove periferia e paese si sovrappongono, dai vicoli di Forcella ai bassi, i balconi, dignità ed umiltà imposte dal cantiere danno il senso di appartenenza, e persino il “ menù “ autunnale a base di minestra calda e pane abbrustolito con olio e pomodorini che riesce a sopraffare l’olezzo della fabbrica, perché la vita è fetente e non guarda in faccia nessuno; perché la fabbrica è un destino, non una scelta, ed in cui anche i rapporti che nascono vengono dettati dalla quotidianità aziendale, come del resto la consapevolezza di donna ed operaia, con l’avere a che fare con l’aborto clandestino, la manifestazione nazionale a 3 mesi dal massacro fascista del Circeo e gli stipendi minori degli uomini, perché le donne, in quanto tali, devono lottare per avere qualsiasi cosa.
Vincenzina e l’accentuarsi della propria consapevolezza di fronte ai malori dei colleghi alla catena, che cadono uno dietro l’altro; perché sentire parlare di morte in cantiere è come un qualcosa di inevitabile, come in guerra, perché i soldi facili non esistono se non nella menzogna, nel furto, nella violenza, nello sfruttare le ragazzine. Vincenzina con le aspettative di non finire la propria vita presso o’cantiere. Mettiamola come si vuole, condividere o meno quanto scritto ma non possiamo non dire che ci troviamo di fronte ad un romanzo sulla coscienza operaia e la sua comunità, che si scrolla di dosso asservimento, complicità, cose belle e brutte che qualcuno può ricondurre ad un tempo che fu, ma che in realtà e ciò che oggi abbiamo di fronte e sostenere perché chi non ha memoria non ha futuro, il lavoro in fabbrica che è scuola di vita, che insegna la concretezza , l’obiettivo, lo scopo. Vincenzina si sente orgogliosa di essere stata parte della comunità operaia, di essere stata parte dell’Italsider anche con gli ultimi rimasti conseguenti di una inutile ed illusoria riconversione che non hanno più niente da dire se non aspettare che tutto finisca e che di fronte all’ultimo caffè hanno solo un senso di smarrimento e vuoto.
Quanto letto non deve essere preso come un epitaffio, anzi leggere per conoscere quanto i caschi gialli di Bagnoli sono stati una componente importante della vita lavorativa e conflittuale di uno dei più grandi stabilimenti d’Europa, perché Bagnoli, come del resto il conflitto capitale/lavoro in questo paese ha, e deve aver un futuro all’insegna dell’autorganizzazione e del protagonismo operaio, working class o meno queste pagine ci consegnano qualcosa a cui non possiamo sottrarci.