di Sandro Moiso
Graziano Giusti, Comunisti e Fronte Unico. Il “Biennio Rosso” e gli anni della politica del “Fronte Unico” in Italia (1918-1924), Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria, Milano 2023, pp. 573, 18 euro
Come si afferma nella quarta di copertina della recente ricerca di Graziano Giusti, pubblicata dalla Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria, «il termine “Fronte” è forse uno dei più usati – ed anche abusati – in politica. Per l’uso che ne viene fatto in campo militare, esso richiama il concetto del “fare argine” contro il nemico, del porsi su una linea di efficace difesa per raccogliere le forze e passare successivamente al contrattacco».
Pertanto il Fronte Unico di cui si parla, come è possibile espungere dalle date, è quello intorno a cui si svolse un acceso e combattuto dibattito, sia a livello internazionale che nazionale, negli anni immediatamente successivi a due degli avvenimenti fondativi per le strategie politiche del XX secolo: la prima carneficina mondiale e la rivoluzione russa.
Dibattito aperto dalla convinzione, diffusa nella Terza Internazionale appena fondata, che tale strategia fosse la migliore o la più adatta per togliere dall’impasse l’iniziativa dei partiti comunisti appena formati o in via di formazione. Una tattica che, senza dichiararlo apertamente, andava nella direzione di accelerare la Rivoluzione in Occidente. Sia per liberare dalla schiavitù capitalistica milioni di proletari e lavoratori, che per superare l’isolamento in cui la neonata Unione Socialista delle Repubbliche Sovietiche era venuta a trovarsi durante la Guerra civile, inizialmente foraggiata dalle potenze occidentali tra il 1918 e il 1919.
A questo andava ad aggiungersi la controffensiva della parte avversa che, soprattutto in Italia e in Germania, iniziava ad affidare le sue sorti alle milizie del Fascismo italiano e dei Freikorps tedeschi, in cui avrebbero poi affondato le loro radici le formazioni paramilitari naziste.
Purtroppo, però, l’iniziativa “rivoluzionaria” aveva raggiunto il suo apice proprio durante gli ultimi anni della guerra mondiale, manifestandosi sia con la Rivoluzione russa che con gli ammutinamenti di soldati1 e, talvolta, degli operai e dei contadini, tra il 1917 e il 1919. Anno in cui le armate bianche persero l’appoggio delle armi occidentali su tutti i fronti interni alla Russia, dal Baltico alla Siberia, proprio per lo spirito di rivolta che percorreva ormai le fila dei quindici eserciti occidentali impegnati nella guerra civile russa2.
Tali discussioni e battaglie intorno al Fronte Unico hanno attraversato quella generazione di rivoluzionari, ma costituiscono ancora utile materiale di approfondimento e di riflessione per i militanti di oggi. La tattica all’epoca proposta si proponeva, infatti, di raccogliere le forze, di strappare ai rinunciatari partiti socialisti ed ai sindacati da essi diretti la maggioranza del proletariato in vista di un rilancio dell’”offensiva di classe”.
Dibattito che fu particolarmente vivace in Italia, dove il Biennio rosso aveva riacceso la speranza di ripresa delle lotte, dopo un 1917 che aveva visto il rifiuto dei soldati di continuare a combattere nei giorni di Caporetto3 e l’insurrezione operaia di Torino qualche mese prima. Esperienze tradite entrambe da un Partito socialista che mai immaginò, nemmeno lontanamente, di porsi alla testa o alla direzione di un’insurrezione e, tanto meno, di una rivoluzione.
Motivo per cui i giovani socialisti dissidenti erano giunti alla conclusione, alimentata anche dalle richieste di Lenin e dell’Internazionale Comunista, di dover dar vita al Partito comunista d’Italia a partire da una scissione nel Partito socialista, poi realizzatasi a Livorno nel 19214. Scissione avvenuta comunque in ritardo rispetto ai sommovimenti di classe che, ancora nel 1919, avevano scosso la stabilità sociale e politica del paese, senza giungere però ad un ribaltamento dei rapporti di forza, anche grazie all’incapacità di quegli stessi giovani socialisti di andare oltre un operaismo un po’ troppo rigidamente inteso5.
Il testo di Graziano Giusti si divide in due parti ben distinte, anche se coese nel contenuto: la prima dedicata agli anni del primo dopoguerra (1918-1920) e, sostanzialmente, agli avvenimenti e ai dibattiti intorno al Biennio Rosso e una seconda rivolta agli anni in cui il tema del Fronte Unico esplose nel dibattito (1920-1924). In entrambi i casi, però, rimangono “centrali” le opinioni espresse già allora da Amadeo Bordiga e le critiche all’operato dello stesso, soprattutto alla sua ferma opposizione al coinvolgimento dei gruppi “sportivi” del PCd’I con il movimento degli Arditi del popolo e le loro azioni militari rivolte contro le squadracce fasciste. Opposizione derivante, secondo l’autore, anche da una sottovalutazione dello stesso Bordiga del ruolo e dell’autonomia del Fascismo mussoliniano rispetto sia alla repressione di classe che nei confronti dello Stato borghese e liberale dell’epoca.
Ma, tralasciando il gran numero di argomenti e dibattiti riportati dall’autore all’interno di una ricerca molto ampia e approfondita, ciò che conta sottolineare, almeno per l’estensore di questa recensione, è che ciò che ancora si rischia di non cogliere oggi, ma che forse colse Bordiga all’epoca, è che la fase involutiva del movimento rivoluzionario era iniziata proprio col fallimento delle iniziative autonome di classe sia nell’esercito che nelle fabbriche e nelle campagne di quegli anni e che il dibattito sul Fronte Unico giunse in ritardo rispetto alla reale esplosione rivoluzionaria avvenuta in Europa tra il 1917 e il 1919.
Se, infatti, le condizioni materiali e politiche per una rivoluzione possono covare sotto le ceneri e svilupparsi nel corso di anni, se non di decenni, il momento in cui queste possono effettivamente concretizzarsi è estremamente breve. Proprio nell’aver compreso ciò sta il genio politico e militare di Lenin nel 1917, che pur dovette già muoversi in ritardo a causa dei ritardi e delle incomprensioni del suo stesso partito prima del suo arrivo alla stazione di Finlandia.
Come ha affermato, in anni più recenti, un teorico distante dalle posizioni dell’ortodossia comunista, ma attento lettore di Lenin: «Basta aver vissuto una fase rivoluzionaria, una sola, per capire la complessità degli elementi che entrano in gioco: ma non la complessità fatta per confondere, quella di cui parlano i postmoderni, ma quella invece degli elementi che convergono, che si attraversano e che certe volte bisogna recidere, dove la dose di caso e la dose di volontà restano sempre»6.
La tattica del Fronte Unico, che in seguito si sarebbe trasformata, sotto l’influenza dell’Internazionale stalinizzata, in quella ben più perniciosa dei Fronti popolari, cercava dunque di porre tardivamente rimedio a ciò che non era stato fatto, o si era stati impossibilitati a promuovere, non solo per inadeguatezza politica, negli anni precedenti.
Quello che giustamente sottolinea Giusti, fin dalle prime pagine, è come tutto il “comunismo rivoluzionario” dell’epoca fosse comunque affetto da una ferrea fiducia nel fatto che “la crisi del capitalismo fosse irreversibile” e che “la rivoluzione fosse alle porte”, nonostante si parlasse anche di “fase di ritirata del movimento operaio”. Forzature e giravolte analitiche che finivano col fossilizzare l’azione politica o, perlomeno, con l’indirizzarla su strade difficilmente percorribili.
Anche i dati che il testo riporta a proposito degli scioperi di quel periodo non confortano l’idea della possibilità, all’epoca, di un effettivo rivolgimento sociale, visto che in una parte significativa del mondo occidentale, soprattutto in due paesi usciti comunque vincitori dalla guerra (Gran Bretagna e Stati Uniti), non si elevavano al di là di richieste di miglioramenti salariali e lavorativi che rimanevano pienamente nella tradizione tradunionista senza mai spiccare il volo verso richieste più politiche e radicali.
D’altra parte, anche consultando altri testi più ricchi di dati sul movimento degli scioperi nel corso del XX secolo7, si può cogliere come, quasi sempre, il movimento rivendicativo organizzato più forte nel seno delle fabbriche e della classe operaia sia sgorgato. in maniera impetuosa, più in fasi di crescita economica che non di debolezza o riflusso dell’economia capitalistica.
In tale situazione, infatti, sia la socialdemocrazia che i sindacati ufficiali non potevano ottenere molto e si sono trovati davanti ad una risposta dell’imprenditoria che, seppur diversamente articolata, ha quasi sempre teso a mostrare il suo volto più aspro e deciso nel tentativo di salvaguardare i propri profitti e interessi di classe. Come si può cogliere ancora oggi nelle strategie liberiste e repressive messe in atto dal capitale occidentale, ma non solo.
Strategie che non possono far altro che preludere a nuove guerre piuttosto che a un’intensa ripresa della lotta di classe in chiave rivoluzionaria. Questa, infatti, se verrà in Occidente, esattamente come nel biennio compreso tra il 1917 e il 1919, sarà sulla base di devastanti contraccolpi sociali, economici e militari che metteranno in pericolo la stessa sopravvivenza delle classi subalterne e medie impoverite.
Proprio per questo, ieri come oggi, il tentativo di costruire “fronti” tra forze politiche diverse per indirizzo, tattica e strategia e sindacati egualmente diversi tra di loro, a causa del loro posizionamento “politico”, può risultare un escamotage inutile e, soprattutto, dannoso, indirizzando il movimento di classe verso tattiche e strategie subalterne alle logiche di compromesso che, da sempre, hanno limitato e limitano nei fatti tutti i tentativi di dare vita a quegli stessi fronti.
Lasciando ai lettori la scoperta del ricco dibattito dell’epoca raccolto e, talvolta, riassunto nelle quasi seicento pagine del libro, val ancora la pena di sottolineare come, in fin dei conti, anche l’azione degli Arditi del popolo non potesse consistere in altro che in una difesa di diritti e condizioni di vita e lavoro, acquisite precedentemente, dall’assalto militare, politico ed economico fascista. Mentre, proprio per questo, non avrebbe mai potuto costituire, nemmeno in nuce, il possibile prologo alla formazione di un’armata rivoluzionaria impegnata ad aggredire l’esistente, più che a difenderlo.
Quindi, anche se è giusto cogliere, come fa l’autore della ricerca, le contraddizioni e i limiti teorici e politici di chi all’epoca lottò contro una teorizzazione tattica di cui denunciava i limiti e i compromessi, è anche vero che ciò che circondava davvero quelle scelte e quell’azione politica, talvolta avventate e per altre troppo limitate, era il fatto che la controrivoluzione, in tutte le sue forme, aveva già vinto, essendo venuta meno l’iniziativa di classe dal basso, e che, con l’affermazione di Stalin ai vertici del partito sovietico, avrebbe vinto definitivamente anche nel cuore degli organismi politici che avrebbe dovuto rappresentare l’avanguardia della rivoluzione mondiale.
Sugli ammutinamenti e le diserzioni nelle armate zariste nell’inverno tra il 1916 e il 1917, rimane insuperato: China Miéville, OTTOBRE. Storia della Rivoluzione russa, Nutrimenti, Roma 2017. Mentre sugli ammutinamenti in Francia si può consultare P. Caporilli, Francia – Anno 1917. Gli ammutinamenti nelle trincee, I Dioscuri, Genova 1989. ↩
Si veda in proposito, e solo per la parte del fronte Nord, Liudmila G. Novikova, La “controrivoluzione” in provincia. Movimento bianco e Guerra civile nella Russia del nord, 1917-1920, Viella libreria editrice, Roma 2015, in particolare alle pp. 326-331: La campagna militare dell’estate 1919 e la fine dell’intervento alleato. ↩
Sul clima nell’esercito italiano, prima e dopo Caporetto si vedano: M. Isnenghi, I vinti di Caporetto, Marsilio Editori, Vicenza 1967; E. Forcella, A. Monticone, Plotone di esecuzione, Casa editrice Gius. Laterza & Figli, Bari 1968; Q. Antonelli, Storia intima della grande guerra. Lettere, diari e memorie dei soldati dal fronte, Donzelli editore, Roma 2014 e C. Malaparte, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti (prima edizione 1921), Vallecchi Editore, Firenze 1995. ↩
Sullo scontro tra i giovani militanti socialisti e la dirigenza del PSI dell’epoca si vedano: M. Mingardo, Cronache rivoluzionarie a Milano (1912-1923). Dalla Sinistra socialista alla Sinistra comunista, Quaderni di pagine Marxiste, Milano 2022 e L. Gorgolini, Gioventù rivoluzionaria. Bordiga, Gramsci, Mussolini e i giovani socialisti nell’Italia liberale, Salerno Editrice, Roma 2019. ↩
In proposito si veda: R. Bianchi, Pace, pane, terra. Il 1919 in Italia, Odradek Edizioni, Roma 2006. ↩
Toni Negri in un’ intervista rilasciata il 13 luglio 2000. ↩
Si veda, ad esempio, G. P. Cella, Il movimento degli scioperi nel XX secolo, casa editrice Il Mulino, Bologna 1979. ↩