di Sandro Moiso
AA.VV. La critica radicale in Italia vol.2°: Organizzazione consiliare Comontismo 1971-1974, Tomo I pp. XV + 405 – Tomo II pp. 470, Nautilus, Torino 2023, 35 euro.
Non è forse vero che la lotta degli uomini contro il potere è anche la lotta della memoria contro l’oblio? (Primo Moroni)
Nulla di questo mondo ci appartiene. Solo la rabbia è nostra, la voglia di vivere e questo tempo senza ritorno (Scritta di Paolo Ranieri sui muri del quartiere Gallaratese – Milano 1972)
In tempi bui come questi, non soltanto per colpa del governo delle destre, può far bene alla salute fisica e mentale la riscoperta o la scoperta di quanto una delle fazioni più radicali dell’antagonismo di classe critico produsse in Italia agli inizi degli anni Settanta.
Certo, però, per digerirne il contenuto occorre lasciare da parte qualsiasi riferimento al politically correct o al piagnisteo democratico, ordinativo e istituzionale, o all’antifascismo da loggione teatrale, perché tra le pagine del corposo lavoro pubblicato da Nautilus si veleggia su altri mari e verso altre rive.
Nelle circa 900 pagine dei due tomi, che pur non sono ancora sufficienti a contenere tutto il materiale raccolto, per il quale si rimanda a un sito on line, è tracciata la breve e intensa storia di un’organizzazione che, fin dal suo apparire, avrebbe seminato lo scompiglio non soltanto tra le fila dei rappresentanti del potere e dei suoi sgherri, ma anche, e forse ancor di più, tra quelle di una Sinistra che anche là dove si riteneva “estrema” ed extra-parlamentare finiva con ricalcare le orme moralistiche e burocratiche del più grande partito (ex?) stalinista fuori dall’URSS: il PCI.
Organizzazione, di soggetti e individui più che di massa e masse, che fece del rompere gli argini della morale, della mentalità e dell’accettazione dei parametri culturali e politici di stampo borghese la propria missione, come ben ci indica il primo saggio, contenuto nel secondo dei due tomi, a cura di Leonardo Lippolis e non a caso intitolato: Contro il capitale lotta criminale.
Titolo sicuramente ad effetto che, però, non fa altro che riprendere quello di due dei più celebri volantini prodotta dall’Organizzazione consigliare a Torino e in quella città distribuito tra la seconda metà del 1970 e l’inizio del 1971.
Titolo che rinviava ad uno degli aspetti più significativi del lavoro teorico e pratico svolto dall’Organizzazione, quello nei confronti di quel sottoproletariato urbano con cui alcuni fondatori del movimento, poi, comontista erano entrati in contatto durante un periodo di detenzione nelle patrie galere torinesi.
Il primo, distribuito a Porta Palazzo1, citando un’estorsione proletaria avvenuta in quartiere, afferma come il furto sia l’«unica forma di sopravvivenza in questa società che non offre alternativa se non la propria prostituzione nelle fabbriche», e fa appello «alla criminalità collettiva la quale, manifestando una sempre maggior intolleranza a ogni forma di assoggettamento alle norme e ai codici borghesi, si presenta come unica forma radicale di lotta rivoluzionaria…Compagni proletari, rinunciamo ai regolamenti di conti tra bande rivali, l’unica banda da sconfiggere è la società».
Il secondo sposta l’analisi sulle rivolta che stavano incendiando le carceri italiane in quei mesi, nello specifico sull’ennesima sommossa esplosa nelle Nuove di Torino nel gennaio 1971: «Diventiamo tutti criminali. Non esiste altro modo di essere solidali con i compagni carcerati; non solo intensificando la nostra attività antisociale, non solo estendendola a tutti i compagni – è assurdo che gli studenti comprino i libri quando è possibile rubarli, che le massaie acquistino le merci quando è possibile saccheggiare i supermercati – ma rendendola realmente rivoluzionaria, ossia collettiva al fine del rovesciamento di qualsivoglia carcere, sia esso chiamato scuola, famiglia, fabbrica, sistema, o qualsiasi altra puttanata. I detenuti non vogliono autogestire questo carcere, così come i proletari non intendono dirigere questa società di merda ma distruggerla»2.
Non solo, però, da quell’incontro quasi fortuito nella prigione e dalla rivolta che ne scaturì, con tanto di appoggio del movimento studentesco cittadino nell’aprile del 1969, derivava la furia di quelle affermazioni e l’urgenza di liberazione che trapelava da ogni parola espressa in quel contesto. Torino era stata la città dove era apparsa la prima “banda armata” proletaria, quella di Piero Cavallero e Sante Notarnicola, dedita all’esproprio proletario delle banche quasi un decennio prima e sull’onda dei fatti “ribelli” di piazza Statuto.
Ma anche ciò non basterebbe a spiegare del tutto l’autentica ribalderia di pensieri, comunicati e azioni che vedevano le loro radici affondare anche nelle esperienze della critica radicale italiana degli anni precedenti3, nel pensiero di Guy Debord e dell’Internazionale Situazionista e, last but not least, in certa critica portata dalla Sinistra Comunista allo stalinismo e ai suoi burocrati e scherani sopravvissuti all’ombra della facciata democratica del PCI o apparentemente rivoluzionaria dei gruppi m-l filocinesi oppure operaisti.
Lontani, comunque da qualsiasi sigla e anche dall’anarchismo, i “militanti” comontisti soffiavano innanzi tutto sul fuoco della vita e della rivolta. Indissolubili tra di loro in un’epoca in cui si poté immaginare di saldare i conti, una volta per tutte, col Capitale e il suo miserabile e schiavistico modo di produzione e riproduzione della vita. All’Ovest come nell’Est del mondo, come ben sintetizzava un testo dello stesso gruppo fin dal titolo: Danzica e Stettino come Detroit.
Una raccolta documentaria e di testimonianze amplissima che serve a introdurre il lettore, soprattutto se giovane, a un’epoca e a tesi rivoluzionarie scevre da qualsiasi ideale di compromesso con i funzionari del Capitale e delle sue costituzioni farlocche. Nate anch’esse da compromessi oggi spacciati per “equilibrio”, ma tutte tese a far della condizione schiavile dei proletari e delle classi meno abbienti l’obiettivo ultimo e insuperabile della “civiltà del lavoro”.
Lavoro salariato contro il quale, invece, con anni di anticipo rispetto ad altre teorizzazioni successive, il ristretto numero di comontisti si scagliò con veemenza e ragione, come dimostrano ancora molti testi contenuti nei due tomi.
Un’opera indispensabile per vaccinarsi, vita natural durante, contro il virus della partecipazione democratica ad elezioni, dibattiti televisivi o falsamente antagonisti sul valore della democrazia parlamentare e sul numero dei suoi eletti, delle costituzioni oppure della validità o meno della firma per il MES e degli infiniti patti di stabilità che ci infangano le orecchie e la mente da molto, troppo tempo.
Un sincero ringraziamento deve quindi andare ai compagni delle edizioni Nautilus per il certosino lavoro svolto nel riportare alla luce una stagione troppo spesso rimossa dalla storia dei movimenti antagonisti del passato. Che, però, con Debord ci ricordano ancora che:
Le teorie non sono fatte che per morire nella guerra del tempo: sono delle unità più o meno forti che bisogna impegnare al momento giusto nella lotta…
Le teorie devono essere sostituite, perché le loro vittorie più decisive, più ancora delle loro sconfitte parziali, determinano la loro usura4.
Ringraziamento cui si aggiunge, dopo tanti anni, il ricordo personale, dell’estensore delle presenti note, di un volantino distribuito presso il V Liceo scientifico di Torino nel febbraio del 1971, mentre frequentava la classe quarta dello stesso, e riportato nella raccolta di testi acclusa alla ricerca.
Mercato centrale cittadino e quartiere fortemente disagiato caratterizzato, ieri e ancora oggi, da una vivace dialettica tra proletari e sottoproletari immigrati, un tempo dal Sud e oggi dai paesi extraeuropei e del Nord Africa – N.d.R. ↩
L. Lippolis, Contro il capitale lotta criminale in AA.VV. La critica radicale in Italia vol. 2°: Organizzazione consiliare Comontismo 1971-1974, Nautilus, Torino 2023, Tomo II p. 6. ↩
Si veda: La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018, recensito qui ↩
G. Debord, In girum imus nocte et consumimur igni – 1978. ↩